Caccia ai leader indipendentisti mentre tutta l'isola è in fiamme di Giuseppe Zaccaria

Caccia ai leader indipendentisti mentre tutta l'isola è in fiamme GLI ULTIMI COLPS DS CODA DELLE 8ANDC ANTICRISTIANE Caccia ai leader indipendentisti mentre tutta l'isola è in fiamme reportage Giuseppe Zaccaria inviato a Giakarta L. ecatombe di Timor Est ™ forse si ferma, i fragili I equilibri di Giakarta minacciano di avviarsi verso un nuovo crollo: ieri, quuandc in Indonesia erano le otto di sera, il presidente Habibie ha concluso una tormentata riunione di vertice per annunciare che il sue Paese accetta una forza d'intervento internazionale. «A Timor Est ci sono state già troppe vittime e troppe distruzioni - ha detto il presidente - il problema dev'essere immediatamente risolto...». Il ministro degli Esteri indonesiano è già in volo per gli Stati Uniti, dove nelle prossime opre incontrerà il segretario dell'Onu Kofi Annan per definire i dettagli dell'intervento. A Dili, capitale martoriata, i sopravvissuti sono usciti per le strade cantando ed abbracciandosi, come a celebrare il ritorno alla vita. L'Indonesia preferirebbe una forza di pace composta prevalentemente da Paesi asiatici, ma non ostacolerà soluzioni diverse. Quesla mattina alle undici il governo è convocato d'urgenza a Giakarta per ratificare le decisioni del presidente, e non è affatto escluso che la scadenza segni l'apertura di una crisi maggiore della precedente, se non per livelli di violenza quanto meno rispetto all'importanza della posta in gioco. Sarebbe bastato, ieri sera, osservare l'espressione del ministro della Difesa mentre nel rosso salone della presidenza la figmetta bonaria di Habibie tentava di sdrammatizzare la situazione fra ampi sorrisi e scuse al mondo per il fatto che il «vertice» fosse durato così a lungo Schierato a fianco del palco coi ministri della sicurezza e degli Esteri, il generale Wiranto - per una volta, non in uniforme - si sforzava di apparire impassibile, ma da uomo tutto d'un pezzo non riusciva a dissimulare un sentimento che doveva essere molto vicino alla furia. In pochi giorno l'«uomo forte» del regime è staio smentito due volte. Prima quando aveva sollecitato al presidente la proclamazione di uno «stalo d'emergenza» applicato poi solo alcuni giorni dopo: adesso, mentre il «si» all'intervento dell'Onu veniva accompagnato da parole che, per quanto caute, non suonavano proprio lusinghiere nei suoi confronti. Se a Timor Est ci sono stati troppi morti e troppe distruzioni, questo è soprattutto colpa dell'esercito e di chi l'ha guidato. Se i famosi, durissimi incursori del «Kopassus», le unità su cui Wiranto ha costruito le proprie fortune, domani saranno affiancati da soldati di altri Paesi non è solo perchè hanno usato la mano pesante nella repressione ma perchè -colpa imperdonabile per un soldatonon hanno mai assunto il controllo della situazione. Sia ciliari-, il generale e ministro della Difesa resta l'uomo più potente d'Indonesia. A chi lo critica può rispondere accusando Habibie di esitazioni: quando la proclamazione dello «stato d'emergenza» fu rinviata il generale comunicò a tutto il suo Stato maggiore che così si rischiava una guerra civile e «l'Indonesia sarebbe stata in pericolo». La questione del controllo però rimane aperta. A Timor Est, mentre continuano ad accavallarsi voci incontrollare su nuove stragi, alte feroci aggres¬ sioni, comincia a farsi strada una guerriglia indipendentista che crea agli indonesiani sempre maggiori difficoltà. Ieri ad una tv australiana José Raimos Hortas, numero due del movimento indipendentista, contro il suo stesso interesse ha ammesso che a Timor Est i guerriglieri di Xanana Gusmao hanno cominciato a reagire ed ormai conducono «una serie d'imboscate» contro le truppe indonesiane ed i paramilitari che le appoggiano. Una prima, prudente stima delle Nazioni Unite vuole che sugli 800 mila abitanti dell'ex colonia portoghese almeno 300 mila siano in fuga da abitazioni distrutte o bruciate. Dall'Australia, ieri, le foto di un satellite scattate da un'altitudine di 800 chilometri mostrano Timor Est come uno sterminato rogo. «Non tutto è in fiamme - ha spiegato un esperto - ma i focolai divampano nei principali centri del Paese». Vista dall'alto, la capitale Dili è punteggiata da almeno dodici grandi incendi, nel resto del Paese si levano colonne di fumo da Manatuto, Laleia, Maliana, Suai. Il resto, tutto quel che si può cogliere dall'incrocio di testimonianze, telefonate dei luggiaschi, scorci rubati paria dell'ennesima emergenza umanitaria che si sia consumando ira raffiche di mitra, deportazioni, violenze di ogni tipo. Intorno alla cittadina di Atambua. posto di confine con Timor Ovest, i profughi si stanno ammassando a migliaia, si nutrano di quel che possono, soffrono la sete. Dall'altro versante del confine qualcuno ha visio un centinaio di camion militari rientrare in colonna, e vuoti, il direzione di Dili: altra prova del fatto che l'esodo è stato pianificato. Per qualche ora, ieri mattinam si era sparsa la voce di una nuova strage in atto. Voci incontrollate, segnalazioni di profu ghi parlavano di un attacco in forze delle milizie filoindonesiane contro Dare, una cittadina a dieci chilometri da Dili, ma col passare delle ore l'allarme si è ridimensionato, il portavoce dell'esercito generale Sudrayat ha definito le notizie «completamente falsa», ed infine anche alcuni testimoni hanno parlato di spar aloni sporadiche sulle colline che circondano l'abitato. Anche a Dili, dall'accampamento in cui sono asserragliati, gli osservatori dell'Onu raccontano di «una giornata quasi tranquilla, la più calma dall'inizio degli scontri». Altre segnalazioni però parlano di posti di blocco su tutte le principali vie di comunicazione (almeno dieci solo fra Dare ed Arambua) dove le truppe indonesiani! non si limitano a perquisire i fuggitivi, ma consultando lunghi elenchi di nomi cercano di catturare gli elementi più attivi del movimento indipendentista Altre telefonate (i cellulari sono rimasti l'unica fonte d'informazione in questo massacro a porte chiuse) raccontano di unità militari che setacciano i campi profughi per compiere i medesimi rastrellamenti. In questo quadro, stamani in parlamento indonesiano si riunità per accettare, a pochi giorni da) durissimo intervento dei «falchi», una parziale rinuncia alla propria sovranità. Non sarà un appuntamento facile. Una ricostruzione più approfondita degli avvenimenti di questi giorni racconta di un Wiranto che, furioso dopo il primo rifiuto alla proposta di «slato d'emergenza», assume qualche giorno fa una strana iniziativa. Scrive una lettera ad Habibie per suggerir!! un «meeting» a quattro col ministro degli interni Hamid e quello della sicurezza Tandijung, in pratica l'incontro che si è svolto ieri. Ma la cosa più importante era il rituale: 1' 11 marzo dcl'67, quando prese il potere, l'ex dittatore Suharto era un generale. S'era impadronito di tutto presentandosi alla residenza di Sukharno con due generali ed una lettera. L'apertura del governo indonesiano rischia di aprire una pericolosa frattura fra Habibie e i suoi generali Degli 800 mila abitanti, almeno 300 mila sono in fuga e le loro case sono state distrutte dalle milizie

Persone citate: Habibie, Kofi Annan, Suharto, Xanana Gusmao