A Timor Est un carnaio per i cristiani
A Timor Est un carnaio per i cristiani Trucidati l'intera missione della Caritas (40 persone), sei suore, il padre del leader indipendentista A Timor Est un carnaio per i cristiani Prima ritorsione di Clinton, che non esclude l'invio di truppe Romain Franklin DILI Quattrocento membri della missione Onu a Timor Est (Unamet), verranno evacuati stamane verso l'Australia: «Speriamo di essere di ritorno entro qualche settimana», dice un funzionario con l'aria di non crederci troppo. L'evacuazione era prevista inizialmente per ieri mattina, e i funzionari stranieri dell'Onu avevano affermato di voler restare ad ogni costo come «scudi umanitari» per i 1500 rifugiati presenti nella missione. Nella notte tra mercoledì e giovedì, però, l'Onu ha improvvisamente annunciato un rinvio di 24 ore nell'evacuazione. Racconta un funzionario; «Gli indonesiani-sembravano pronti a tutto per sbarazzarsi dell'Unamet. Poi è arrivata una telefonata del ministro della Difesa indonesiano, il generale Wiranto. Subito, tutto è cambiato: quasi ci supplicavano di rimanere». Quaranta impiegati hanno comunque deciso di restare. Nella sede dell'Unamet si sono così svolte scene strazianti. Un ufficiale di collegamento militare americano, spalle possenti, cranio rasato, baffoni, le lacrime agli occhi, spiegava ai rifugiati: «Qualsiasi cosa accada io resto con voi. Non uscirò da qui finché non mi trascineranno via per i piedi». Poco più in là, un poliziotto norvegese prostrato: «Stiamo per lasciare queste donne e questi bambini alla mercé di un esercito capace di tutto. Gli abbiamo dato una speranza, e ora li spingiamo verso la morte». L'arrivo a Dili, previsto per oggi, dei 5 delegati del Consiglio di sicurezza dell'Onu non 6 certo estraneo a voltafaccia dei militari. Ieri i delegati avevano infatti incontrato a Giacarta il Presidente Habibie e il generale Wiranto. E la tensione è improvvisamente calata attorno alla sede dell'Unamet. Gli spari dà incessanti son divenuti,irp\ermitt£ulj. ,Le.Jinee telefoniche sono state ristabilite, mentre nella missione entrava un convoglio carico d'acqua, viveri, e gasolio portati da un C-130 australiano. I rifugiati dovranno comùnque lasciare nei prossimi giorni la missione, e portati sotto protezione Onu a Dare, una zona controllate dalla resistenza timorese a 10 km da Dili. Ma la volontà dell'esercito indonesiano di rispettare il salvacondotto è dubbia. In precedenza i militari avevano insistito affinché i rifugiati fossero accompagnati alla centrale di polizia, da dove sarebbero probabilmente stati deportati verso Timor Ovest, come già accaduto a decine di migliaia di altri. Vicino ad Atapupu, a Timor Ovest, milizie e militari operano una selezione all'arrivo dei rifugiati. Secondo degli operatori umanitari, i partigiani indipendentisti e i maschi giovani vengono portati in camion verso destinazioni sconosciute o abbattuti sul posto. La politica della terra bruciata, portata avanti dalle milizie e dall'esercito indonesiano dopo l'annuncio della schiaccian¬ te vittoria indipendentista nel referendum del 30 agosto, è già costata probabilmente la vita a v.ei'tinaia di persone. Le stime dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati parlano di 200 mila prTughi. Dili, dove non è rimasto molto da distruggere e saccheggi-ire. è ridotta ad una città fantasma; Il presidente della Caritas locale, padre Francisco Barreto, è stato trucidato dalle milizie assieme alla «maggior parte» dei suoi 40 collaboratori. Almeno sei suore canossiane sono state uccise a Baucau. Ed è stato trucidato il padre del leader indipendentista Xanana Gusmao. Di sua madre non si hanno notizie. «Attacchiamo la chiesa perché è lì che si rifugiano i nostri nemici», ha detto Henninio da Silva Costa, leader delle milizie filo-indonesiane, «L'Occidente ha quello che si merita. Ha voluto il referendum e l'ha avuto. Noi siamo stati sconfitti alle urne, ma non intendiamo consegnare Timor Est agli indipendentisti». La comunità internazionale «sta perdendo la pazienza», ha detto il ministro degli Esteri britannico Robin Cook, mentre Clinton e Tony Blair decidevano di spingere sul Consiglio di sicurezza Onu per l'invio di una forza internazionale di pace. Ma il Presidente indonesiano Yusuf Habibie continua a rifiutare quest'ipotesi, dicendosi convinto di poter riportare l'ordine. A Giacar¬ ta si sono però sparse voci di golpe imminente, subito smentite dal generale Wiranto. In questa confusione, le pressioni internazionali si intensificano, e il Fondo monetario internazionale ha sospeso la missione che doveva discutere degli aiuti finanziari all'Indonesia. Copyright Libération-La Stampa Il capo delle milizie filo-indonesiane che terrorizzano l'isola: «L'Occidente ha quello che merita. Ha voluto il referendum e l'ha avuto. Siamo stati sconfìtti, ma non consegneremo questa terra al nemico» Simpatizzanti indipendentisti presi prigionieri a Dili. Sotto, il vescovo Belo, Premio Nobel per la Pace
Persone citate: Clinton, Francisco Barreto, Habibie, Robin Cook, Romain Franklin, Tony Blair, Xanana Gusmao, Yusuf Habibie
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