Scrittore ti voglio parlare
Scrittore ti voglio parlare Scrittore ti voglio parlare CARO scrittore ti voglio parlare, ieri mattina ero in coda a uno sportello delle Poste: davanti a me, una decina di persone, tra cui un giovane africano. A tutti la signorina dall'altra parte del vetro si rivolgeva con il «lei»: «guardi qui manca, l'importo in Iettare», «non avrebbe mica le trecento lire», «dovrebbe indicare per cortesia il motivo del versamento»; ma, arrivato il turno del ragazzo africano, l'ho sentita passare immediatamente al «tu». «No, guarda che questo è lo sportello sbagliate, per spedire una raccomandata devi rivolgerti a quell'altro». Mi sono chiesta se per caso il cambiamento fosse dovuto alla giovane età del ragazzo in questione: ma mi sono dovuta ricredere, visto che dopo di lui toccava a me e, nonostante i miei diciotto anni, la signorina è tornata al «lei». Nota che il suo tono è rimasto lo stesso di fronte a tutte le persone in coda (ragazzo compreso), ossia molto gentile: però quel «tu» non mi convince, suona male. E a te? Ciao, Federica. ' Cara Federica, eccoti tre ipotesi atte a spiegare l'inspiegabile mutazione. PRIMA IPOTESI. La signorina del servizio postale si è presa una cotta fulminante per il giovane africano, e quel «tu» non era altro che il tenta- tivo di instaurare con lui un rapporto diverso da quelle intrattenuto con glicMri umani in coda: commozione generale del pubblico, tutti ci sentiamo più buoni, si diffonde un lieve profumo di-fiori^d'arancio. SECONDA IPOTESI. La signorina del servizio postale è passata al«tu» semplicemente perché si è resa conto di avere a che fare con uno straniero: convinta di confonderlo con il «Un» (femminile) ha adottato il «tu» (maschile) un po' come si è sempre fatto qui da noi con gli stranieri; stupisce però che non abbia anche aaoperato l'infinito («no, guardare, questo essere sportello sbagliato, per spedire raccomandata tu dovere rivolgere quello altro») o, nella variante più antica, «no, guardare, guesto essere sbordello sbagliado, ber sbedire raggomandata du dovere rivolgere guello aldro»), rovesciando i ruoli della celeberrima scenetta di Totò e Peppino a Milano («Eschiusmi, noio voulevon savuar», eccetera eccetera. TERZA IPOTESI. La signorina di cognome fa Himmler. Ciao. Caro scrittore ti voglio parlare, volevo segnalarle, e tramite Lei rendere la cosa di pubblico dominio, una grave truffa perpetrata ai danni del comune cittadino. Come certo avrà, notato, Torino si è riempita negli ultimi anni di macchinette cambiasoldi grigie, poste in genere all'angolo delle vie del centro. Raramente mi è capitato di adoperarle (trovandomi, ad esempio, a dover comprare il giornale avendo nel portafogli soltanto biglietti di taglio superiore o uguale alle lire diecimila), ma mai - dico mai - ne ho trovata una funzionante: non c'è modo di ottenere il corrispettivo in moneta, mi creda, nemmeno prendendole a calci o sbattendo loro la mano di sopra (cosa che invece con il televisore funziona). Ora, io Le domando: perché nessuno fa niente? Perché le macchinette cambiasoldi non vengono riparate? Chi è il proprietario di tali aggeggi? E a chi ci si deve rivolgere per ottenere indietro il proprio denaro? Salutandola ossequiosamente, Suo Ermanno. Caro Ermanno, non sono sicuro di aver capito bene: ma se ho capito bene temo le sarà diffìcile tornare in possesso del suo denaro. Credo che le macchinette a cui Lei si-riferisce si trovino in prossimità di alcune strisce (dette anche strisce blu), e forse tale particolare Le deve essere-sfuggito (mi tolga una curiosità: Leipossiede un 'automobile? E se sì, la adopera? E se la adopera, l'ha mai utilizzata per venire in centro? E se a è salito sopra per venire in centro, ha mai parcheggiato in quelle strisce blu? E se ha parcheggiato, ha mai pagato il parcheggio? E se non l'ha mai pagato, quanti soldi deve ali Atm?). Vede, non è che le macchinette in questione nonfunzionino. In realtà, funzionano benissimo. Soltanto che non sono macchinette cambiasoldi: vendono tempo. Attento, però: il tempo in vendita non è cumulabile con quello che resta da vivere, perciò non si illuda di poter rinviare la futura (e Le auguro in ogni caso lontanissima) dipartita comprandosi chessò, dieci o vent'anni a colpi di biglietti da diecimila. Al posto suo, in ogni caso, eviterei di pubblicizzare troppo questo «misunderstanding». Ci siamo capiti?
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