AMERICAN VOICES NOUVELLE VAGUE DI COMPOSITORI

AMERICAN VOICES NOUVELLE VAGUE DI COMPOSITORI AMERICAN VOICES NOUVELLE VAGUE DI COMPOSITORI SE dal cartellone di Settembre Musica estraiamo i nomi di George Gershwin, Charles Ives, Duke Ellington, Léonard Bernstein e Miles Davis, riconosciamo in loro alcune | voci dell'America musicale che da anni sprigionano un fascino inossidabile. Se però la Usta prosegue coi nomi di Michael Gordon, Julia Wolfe, David Lang, John Adams, Michael Torke, Michael Daugherty, Steven Mackey e I John Harbison, non possiamo evitare qualche punto interrogativo. Le «American Voices» che debuttano quest'anno sul palcoscenico di Settembre Musica sono quelle dell'ultima generazione di compositori americani, ovvero di quei musicisti che hanno iniziato la loro carriera quando la stagione del «Minimalismo», Steve Reich, Philip Glass, dopo aver raggiunto il culmine cominciava a trasformarsi in maniera. Erano gli Anni Ottanta e i nostri compositori compresero che il linguag- §io minimalista, pur meritevole i aver stabilito un contatto senza precedenti col pubblico, aveva in sé qualcosa di eccessivamente astratto e teorico. La prima reazione fu molto americana, vale a dure decisamente pragmatica e consistette nell'inventare un modo diverso di presentare la musica al pubblico. Nel 1987 tre giovani compositori, Michael Gordon, Julia Wolfe e David Lang, organizzarono alla Exit Art Gallery di New York una maratona di 12 ore in cui furono eseguiti brani di 28 compositori la cui diversi| tà abbatteva qualsiasi steccato fra un genere e l'altro. Lo spirito della musica pop cominciò così a infiltrarsi dapprima nelle musiche di repertorio e poi nei componimenti stessi finendo col dare vita a ima nuova dimensione che aveva trovato un solido punto di riferimento nel compositore olandese Luis Andriessen. «Luis Andriessen era l'anello mancante, un legame col pensiero rigoroso del classicismo europeo, ma ispirato dai minimalisti americani. Era il primo compositore^uropeo da noi incontrato che riconoscesse l'esistenza del Rock'n'roll e che ammettesse con forza l'esistenza dell'America: così commentano retrospettivamente i tre che intanto avevano dato vita al festival e all'Ensemble «Bang on a Can». Così come ogni compositore americano, da Gershwin a Elliott Carter, ha avuto dei rapporti fecondi col jazz, quelli dell'ultima generazione hanno preso atto con forza della cultura popolare che li circonda: i nomi di Chaka Kahn, di Jimi Hendrix, di Elvis Presley, di Madonna, ricorrono con frequenza nelle conversazioni della Nouvelle Vague americana ma sarebbe un errore credere che la loro musica si alimenti direttamente a quelle voci. Il processo di assimilazione è complesso e passa attraverso numerosi filtri culturali tra i quali svolge un ruolo privilegiato Stravinsky. In «Dead Elvis» Michael Daugherty ha interpretato la carriera di Elvis Presley come se si trattasse di una riedizione americana della «Histoire du soldat». In fondo, osserva Daugherty, non diversamente dal soldato di Stravinsky, Elvis vende l'anima a Hollywood, al colonnello Parker e a Las Vegas, in cambio della ricchezza e della fama. Si apre così la strada per la creazione di quelle che Daugherty chiama Icone americane: Elvis Presley, Jackie Kennedy, Valentino Libarace, Superman e la bambola Barbie sono le figure di spicco di una mitologia musicale eccitante e aggressiva con la quale l'autoreè sicuro di aver portato «l'eccitazione e l'energia della cultura americana popolare nelle sale da concerto». Le linfe della cultura popolare, ancorché trasformate in icone, non esauriscono la ricchezza di fermenti della nuova musica americana; vocazioni antiche continuano a rivelarsi straordinariamente efficaci e fra queste in special modo quella rivolta alla speculazione filosofica. Ne è esempio eloquente il nuovo e vasto componimento sinfonico di John Adams il cui titolo, «Musica ingenua e sentimentale», ricalca quello di un celebre saggio di Schiller. La posta in gioco è di una grandezza addirittura faustiana: si tratta nientemeno che dell'impossibile ricerca, nella musica di oggi, dell'ingenuità. Si può consumare la propria vita nell'inseguire l'utopia dell'ingenuità, e molto opportunamente Adams richiama gli esempi di Mahler e di Ravel ma si deve convenire che il raccolto musicale scaturito da quelle sconfitte esistenziali è prodigioso. Coraggio dunque, sembra dire a se stesso John Adams accingendosi al difficile compito di ritrovare il filo dell'ingenuità nella composizione musicale, e noi si vorrebbe aggiungere che in fondo l'America da Thoreau a Emily Dickinson, da Poe a William Carlos Williams, da Charles Ives a John Cage, ha sempre combattuto la sua lotta tra 1 Ingenuo e il Sentimentale con qualche chance in più rispetto ali Europa e la musica neoingenua o neosentimentale di John Adams e quella neoromantica di Aaron Jay Kernis lo dimostrano egregiamente. Enzo Restagno Icomponenti di Bang on a Can. A fianco l'Operi Trios sopra Riccardo Muti

Luoghi citati: America, Europa, Hollywood, Las Vegas, New York