I suoni di Babele

I suoni di Babele Incontro di culture o esaltazione delle barriere? I suoni di Babele to. Bregovic recupera la tradizione folklorica rom, bulgara, romena, klezmer, la innesta nel deragliamento ritmico e acustico degli ottoni, nella vitalità arcaica delle voci: rinasce il piacere perduto della fisicità danzante del suono. Ma Franco Battiato saprà ricreare un'altra diavoleria, quella dell'«Histoire du soldat»? Strappato alle proprie meditazioni millenariste, il musicista siciliano si fa demonio, in una versione italiana del capolavoro stravinskiano narrata da Manlio Sgalambro. La musica è una storia da riscrivere sempre: è la sua potenza, il suo rischio. Prestigioso il sestetto di orchestre invitate, a cominciare dalla due formazioni cittadine, la Sinfonica della Rai e quella del Regio, coivolte anch'esse nel progetto di valorizzare le tante realtà e i tanti luoghi che fanne oggi di Torino una delle città musicalmente più responsabili e produttive. La qualità dei complessi e dei direttori tra gli altri Riccardo Muti, Myung-Wun Chung, Zubin Menta, Colin Davis - sarà così convincente da far perdonare una programmazione concertistica più da ospiti gentili che da festival, capace, se lo vuole, di essere più tendenzioso? Quanti e quali saranno i pubblici di Settembre Musica? Si mescoleranno, reciprocamente curiosi, o ciascuno resterà chiuso nelle proprie acquisite certezze? Questo festival, invitandoci a perderle, fotografa con spietata esattezza Fattuale babele linguistica della musica. Sandro Cappelletto Nella foto sopra Goran Bregovic: eseguirà le sue musiche peri filmài Kusturica, Chereaue Kenovic domenica 12 al Lingotto. Sotto: Franco BaI. tinto, il diavolo nell'«Histoire du soldat» del 19 LA musica è un sostantivo che a Torino si declina al plurale. Il programma di Settembre Musica ha quest'anno la vastità di una benedizione Urbi et Orbi. Tutte le musiche del mondo per tutti i pubblici possibili della città; la musica è un logo universale, i confini sono soltanto delle convenzioni e dunque le nostre orecchie sapranno accogliere e comprendere suoni nati nel Ghana, in Serbia, in Siberia, in Argentina. No limits. Eppure, in questo cosmopolitismo, la freccia del festival punta più volentieri verso Occidente, e la nazione più robusta e vincente del Novecento, gli Stati Uniti. Americani sono il primo e l'ultimo compositore in programma: Charles Ives con le Variazioni on America e Léonard Bemstein con le danze sinfoniche da West Side Story: il suo Romeo e Giulietta ambientato nei ghetti di New York. Prima di Bernstein Gershwin, prima ancora Miles Davis. Giusto omaggio ad un universo musicale al quale noi europei, magari tuttora colpevolmente convinti di essere i primi nella classe del pensiero dell'arte, abbiamo a lungo guardato con sufficienza, salvo poi - sembrerebbe - scoprire che il treno della modernità ci è sfilato davanti agli occhi ed ha preso proprio quella direzione. Cosa infatti di più moderno che evocare un quartetto per flauto e archi di Mozart e spezzare la prevedibile successione dei suoi movimenti inserendo, tra l'uno e l'altro, i tempi di un quartetto analogo composto da Steven Machey, maestro di chitarra elettrica? Moderno è salire sull'onda del gusto vincente: la Quinta Sinfonia di Philip Glass è stata eseguita quest'anno al Festival di Salisburgo. Modernissimo è Michael Torke che, scarseggiando oggi i Lorenzo da Ponte, preferisce come librettista l'elenco del telefono, appassionante scrigno di nomi, indirizzi, offerte, storie. Musica densa come la nuvoletta di un fumetto, pensata per durare il tempo di una strip. Quest'America piace al gruppo Sentieri Selvaggi, impegnato a rinnovare le nostre stanche abitudini: prima di ogni ascolto i musicisti si trasformano in efficaci, rapidi presentatori che non pagano pegno allo ritualità delle sale da concerto, affascinati anch'essi dalla nuova frontiera, liberati dal peso imbarazzante delle tradizioni solidificate. Accento a quest'America, ne è esistita nel '900 un'altra, piuttosto ignorata in quest'occasione. Anche il più ecumenico dei festival esprime scelte, cioè esclusioni. Le suole dei musicisti hanno sempre macinato chilometri, ma Goran Bregovic promette di battere Bach, capace di camminare per 400 chilometri prima di ascoltare il maestro Buxtehude suonare l'organo. Con la sua Orchestra di Matrimoni e Funerali, il musicista di Sarajevo attraversa instancabile la storia musicale della nazione slava, figlia di tante madri diverse, riunita soltanto durante il tempo di un concer¬