Galimberti, la tecnica non condizionerà il futuro di Enzo Bianchi

Galimberti, la tecnica non condizionerà il futuro Galimberti, la tecnica non condizionerà il futuro RECENSIONE Enzo Bianchi LE anime non nascono forti, si rafforzano con la bellezza della vita» ebbe a dire Umberto Galimberti alcuni anni or sono in un'intervista. D'altronde, constata il medesimo filosofo, anche l'uomo nella sua totalità non nasce forte, anzi viene al mondo debolissimo, indifeso, privo di dotazioni naturali e istintive che gli garantiscono possibilità di sopravvivenza: solo la tecnica, la capacità di modificare l'ambiente circostante - simboleggiata dal fuoco donato da Prometeo agli uomini - gli ha da sempre consentito non solo di vivere ma di diventare «padrone» del mondo. Ma «oggi» - quest'oggi che Galimberti fa cominciare con la seconda guerra mondiale - che la tecnica non è più mezzo ma è divenuto fine in sé; oggi che con i suoi risultati ha preso il sopra v vento sulla religione, l'etica, la politica e fioro scopi; oggi, età in cui'«la domanda non è più: 'Che cosa possiamo fare noi con la tecnica?', ma: 'Che cosa la tecnica può fare di noi?'»; oggi la tecnica, da condizione essenziale all'esistenza umana, non rischia forse di trasformarsi nella causa della sua estinzione? Questa l'ipotesi che percorre le oltre settecento pagine della più recente fatica del docente di Filosofia della storia all'Università di Venezia. Ipotesi che, a mano a RECENEnBia IONE o chi mano che il discorso si snoda - avvincente, preoccupante, profondo e terso nel contempo, reso meno ostico al lettore non specialista grazie a puntualissime suddivisioni in capitoli e paragrafi tutti titolati - assume i connotati di una tesi difficilmente non condivisibile. Questo itinerario nel pensiero e nell'azione dell'uomo dalla preistoria a oggi può apparire sconcertante, pessimista se non addirittura tragico; qualcuno ha anche sottolineato lo scarso rilievo dato all'espressione artistica, poetica della mente umana. Eppure, paradossalmente, a me pare portatore di una grande speranza, foriero di orizzonti vitali proprio mentre sembra chiuderli uno dopo l'altro. Se infatti ci fa prendere amaramente atto dell'affermarsi della tecnica cui nessuna politica può'impedire di fare tutto ciò che è possibile fare, della tecnica che non si prefigge" alcuno «scopo», ma si misura con i «risultati», della tecnica che relega nei pii desideri gli imperativi sia dell'etica dell'intenzione che di quella della responsabilità, della tecnica che travolge sia il cosmo greco con il suo primato della natura che il mondo biblico con il suo primato della volontà, a me pare tuttavia - e la paginetta conclusiva di Galimberti, «Non si è ancora fatta sera» la reputo una conferma che proprio in questa marcia trionfale della tecnica ci siano i germi della sua impossibilità a condizionare il futuro: essa, come si diceva, non ha «scopi», cioè non fissa lo sguardo su nulla davanti a sé, si accontenta di guardare indietro, ai successi ottenuti o alle sconfitte patite per reiterare gli uni e non ripetere le altre. E' una tecnica che, protagonista di un inarrestabile «progresso», ha paradossalmente perso la sua qualità originaria: «la capacità di anticipare, che i Greci avevano attribuito a Prometeo, l'inventore delle tecniche, il cui nome significa letteralmente 'colui che vede in anticipo'». Senza scopi non si è più capaci di «anticipare», senza «senso» non si ha direzione perché, come ricordava Seneca, «nessun vento è favorevole a chi non sa in quale porto vuole approdare». Sì, forse la tecnica ha ormai già vinto la battaglia, ma è pur sempre una battaglia di retroguardia: ha potuto trionfare su ideologie e religioni, ma rimane disarmata contro la gratuità, contro il minimo gesto compiuto non per ottenere qualche utilità, ma per significare un'intuizione della mente e un moto del cuore; le conquiste della scienza invecchiano, precocemente, divorate dai loro figli come Kronos, mentre 1'«inutile» letteratura - questa stupenda «storia emotiva dell'uomo», come ama definirla Galimberti - non conosce deperimento senile. Sì, per usare ancora una similitudine del nostro autore, «se in un bosco ci va un poeta e ci va un falegname, anche se lo spettacolo è lo stesso, i due non vedranno la stessa cosa». Non solo, ma il secondo, una volta ottenuto il risultato voluto, di quel bosco non avrà più nulla; dal cuore del primo invece, e da chi questo cuore saprà ascoltare, nessuno potrà mai sradicare quella visione. Secondo il filosofo non ha «scopi», si accontenta di guardare indietro, ai successi ottenuti o alle sconfitte subite: resiste la speranza di potersi sottrarre al suo dominio Larry Rivers: «Modernist Times: Hard Work, 1989-'90» Umberto Galimberti Psiche e techne. L'uomo nell'età della tecnica Feltrinelli, pp. 814, L 40.000 SAGGIO

Persone citate: Galimberti, Greci, Hard Work, Larry Rivers, Seneca, Umberto Galimberti