Per alte vie, in beata solitudine di Oreste Del Buono

Per alte vie, in beata solitudine LUOGHI COMUNI Personaggi e memorie dell'Unità d'Italia di Oreste del Buono e Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Per alte vie, in beata solitudine Alpinismo come scuola di vita e ricerca interiore di felicità: le scalate di Ettore Castiglioni e la sua tragica, misteriosa scomparsa SOLITUDO, sola beatitudo? Più facile a dirsi che a farsi. E infatti nella concretezza della nostra Italietta di vite solitarie e felici non se trovano poi tantissime. Ogni popolo vive la solitudine a modo suo, come rivela la lingua che parliamo. E se «solo», già nel risuonare nella nostra lingua, sa di distacco, di sospiro fuggito via, forse è per la radice indoeuropea «sé» che - suggeriscono i dizionari etimologici - indica separazione. Mutato orizzonte, approdati alle lingue anglosassoni, lo scenario cambia: chi se ne sta per conto proprio diventa «alone». Termine composto «da ali one, tutt'uno scrive in "Archetipi" Elémire Zolla -. Siamo unici e soli con noi stessi... L'infinito è unità indivisa e non moltiplicata, ogni molteplicità è un inganno». Forse la pensava così anche Ettore Castiglioni che sicuramente era un italiano piuttosto atipico ma, in quanto a pratica della solitudine, non stava proprio dietro a nessuno come rivelano i diari, pubblicati, in una selezione curata da Marco Ferrari, alcuni anni fa. «Ch'io possa trovare l'amico in me stesso - scrive diciassettenne il 2 dicembre 1925 dando inizio alle notazioni -. Ch'io possa guidarmi, consigliarmi, frenarmi, calmarmi, discutere, confrontarmi e indirizzarmi per la retta via...». Colto, pianista finissimo, gran viaggiatore, «la retta via» che auspica di percorrere nella prima pagina del suo diario si materializza ben presto lungo le più impegnative vette alpine che Castiglioni domina con sempre maggiore sicurezza. E così, dopo aver compiuto brillantemente gli studi ed essere stato occupato presso un'azienda londinese, compie la scelta che connoterà tutta la sua vita: lascia il mondo della finanza e vive, attingendo al suo significativo patrimonio, dedicandosi esclusivamente alle arrampicate; Nonché ai viaggi, ai concerti, allo mostre d'arte. La decisione è del 1933 quando il Touring Club gli offre di stendere alcune monografie dedicate a cime sulle quali ha tracciato proprie vie: incarico che va incontro in modo perfetto a quella passione per la montagna che ha imposto Castiglioni come uno dei più promettenti scalatori italiani (tanto che lui, antifascista, è insignito personalmente da Mussolini della medaglia d'oro per meriti sportivi). La scelta del '33 viene fissata con notevole chiarezza nel diario. Innanzitutto Castiglioni guarda smagato la brillante carriera che il padre e amici di famiglia (tra questi c'è Agostino Rocca, destinato nel dopoguerra a fondare un impe• ro economico in Argentina) gli DA LEGGERE Ettore Castiglioni Il giorno delle Mésules Diario di un alpinista antifascista Vivalda, 1993 Marco Ferrari Il vuoto alle spalle Storia di Ettore Castiglioni. Corbàccio, 1999 Rainer Maria Rilke Elegie duinesi Einaudi 1978 Elémire Zolla Archetipi, Marsilio 1988 prefigurano e che lui sta per rifiutare: «Carriera, per me, significa solo il sacrificio degli anni in cui si potrebbe vivere, per procurarsi gli agi quando non si è più in grado che di vegetare. Che cosa me ne farò dogli agi quando non sarò più capace di ascoltare un concerto, né di vedere un quadro all'estero o non fare una salita di terzo grado?». E aggiunge: «Dopo tutto per la mia vita ho doveri verso me stesso superiori a quelli verso mio padre ,e non posso permettermi di sacrificarmi per fare quello che lui crede bene o quello che a lui può fare piacere. Perché dovrei rendermi infelici: per guadagnare del denaro di cui non ho bisogno? Certo che se papà avesse ragionato così, io oggi non avrei questo denaro, so certo anche che ragionerei in modo ben diverso se avessi la prospettiva o almeno vedessi la possibilità di aver famiglia. Ma di questa possibilità mi disilludo sempre più, quanto più vado avanti negli anni e allora quali soddisfazioni ricaverei dal sacrificio di me stesso? 0 lo farei soltanto per quello che il mondo sciocco e borghese direbbe di me? Dal momento che ho la possibilità di essere felice e di vivere pienamente la mia vita, perché non debbo farlo?». E così inizia la breve e solitaria vita felice di Ettore Castiglioni. Oltre duecento vie aperte su tutte le Alpi e, in particolare, sulle Dolomiti. E' nel 1937 il tentativo coraggioso di conquista del Cerro Fitz Roy, in Argentina: la spedizione, composta oltre che da Castiglioni dal conte Aldo Bonacossa, Leo Dubsc e Titta Gilberti parte da Genova a metà dicembre '36, imbarcata sul Conte Biancamano. Durante la traversata che lo porta a Buenos Aires Castiglioni conosce una misteriosa e bruna signora che, pur sparendo pressoché subito in qualche barrio portegno, occuperà un posto nel cuore del nostro scalatore che, purtroppo, non riesce a salire sul Fitz Roy. Conquistato solo nel 1952 dal francese Ferlet. E tuttavia, nonostante il falli¬ mento argentino, Castiglioni sa cavalcare la sua solitudine con armoniosa misura. Attinge a qualche misteriosa energia, quella che - secondo le note del diario - ha trovato nel «giorno delle Mésules». Quando, durante una solitaria discesa sciistica, cade. Si ferisce gravemente. Eppure, noterà più tardi: «Proprio nel momento che sono caduto avevo a pochi metri da me un austriaco con cui avevo appena finito di meravigh'armi di trovarci in due in un luogo dove non c'è mai nessuno, era apparso improvvisamente, senza che capissi da dove sbucasse e altrettanto misteriosamente è sparito appena terminata la sua opera di soccorso». In attesa di essere portato a valle Castiglioni rimane due ore in cima alle Mésu¬ les: «per me fu un sogno, un'estasi, due ore di luce e felicità che non avranno parallelo nella mia vita». In ospedale, pur con varie fratture, è «esuberante di felicità». Cos'ho fatto per essere così felice? si chiede.*E' bastato un tramonto luminoso per rendermi matto dalla gioia». Una caduta, quella delle Mésules, che non può ncn ricordare il finale della decima elegia duinese di Rilke: «E noi che pensiamo la felicità come un'ascesa/ ne avremmo l'emozione... di quando cosa ch'è felice, cade». Per misurare il fascino e le spiazzanti coordinate del personaggio occorre certo leggerne i diari ma indispensabile è anche l'appassionata e rigorosa rievocazione che sempre Marco Ferrari ha dedicato - ne «Il vuoto alle spalle» - alla misteriosa fine di Ettore Castiglioni, avvenuta nel marzo del 1944. Ufficiale della Scuola Alpina di Aosta dopo l'8 settembre del 1943 Castiglioni s'impegna con i suoi soldati «sbandati» ad accompagnare profughi braccati dai tedeschi oltre confine e, forse, compie missioni segrete per la Resistenza. Viene arrestato dalla polizia svizzera ma, in un mattino di marzo, seminudo e scalzo, fugge dalla cella. Prende per i monti. Ha trentacinque anni e le mani da pianista, come quando passava notti intere sulle note di «Ce qu'a vu le vent d'ouest» di Claude Debussy. Lo prende la bufera. Ritrovano il suo corpo tre mesi dopo. Appoggiato ad un masso ha il viso sereno, rivolto al vento d'occidente. DA LEGGERE Ettore Castiglioni Il giorno delle Mésules Diario di un alpinista antifascista Vivalda, 1993 Marco Ferrari Il vuoto alle spalle Storia di Ettore Castiglioni. Corbàccio, 1999 Rainer Maria Rilke Elegie duinesi Einaudi 1978 Elémire Zolla Archetipi, Marsilio 1988 Le Tre cimo di Lavarodo, una delle mete più note nelle Dolomiti, scenario delle scalate di Castiglioni. A destra, la Cima Tre Scarperi, vista dal Monte Elmo, in Val Posteria

Luoghi citati: Aosta, Argentina, Buenos Aires, Genova