Che mummia la politica!

Che mummia la politica! Che mummia la politica! Per i giovani, fatti nuovi, non vecchi ideali AMAI IS.I (,innui Biotta LA Smemoranda, il diario cult cult dei ragazzi, è dedicata, all'apertura dell'anno scolastico, alla Fine dei Miti. Gino & Michele, i due mitici padri fondatori, spiegano che nel Pantheon degli Eroi e delle Eroine ormai ci sono solo posti in piedi. Un ragazzo, o una ragazza, di oggi devono accontentarsi di quelli del passato, già usurati dalla venerazione di genitori e fratelli maggiori. Vivendo in un mondo che concede loro miti da rigattiere, promettendo pensioni magre, offrendo posti di lavoro elusivi e malpagati, c'è da stupirsi che i ragazzi non credano poi troppo nel presente? Guardate agli Stati Uniti, il Paese che distilla - ci piaccia o no - il nostro futuro: la «generazione X», i nati e le nate tra il 1965 e il 1978, dimostra scarsissimo interesse alla costruzione di un comune futuro, cioè alla Politica. Alle ultime elezioni meno di un giovane su cinque è andato alle urne. E non c'entra nulla la tradizionale distrazione elettorale degli americani: nel 1972, in piena guerra del Vietnam, quando il candidato progressista George McGovem sfida per la Casa Bianca il detestato repubblicano Richard Nixon, i giovani accorrono ai seggi e uno su due va a votare. Le nuove leve si mobilitano solo per i candidati bizzarri, estranei alla tradizionale dialettica Destra-Sinistra. Votano per Ross Perot, il miliardario che raccolse il 20 per cento dei voti come indipendente alla Casa Bianca, o Jesse Ventura, l'ex lottatore di catch eletto governatore nel 1998. Per tradurre in italiano, sono identici ai giovani elettori nostrani che hanno votato in massa per Emma Bonino alle recenti elezioni europee. Gente che non si considera più «di destra» o «di sinistra», e costruisce la propria identità in modo post-ideologico, prendendo a prestito qualche mattone dai conservatori e qualche altro dai progressisti. Ted Halstead, presidente della New America Foundation, un grup- Eo che studia gli umori dei giovani, a scritto per la rivista The Atlantic il manifesto «Politica per le nuove generazioni». Il primo comandamento è semplice, e dovrebbero ascoltarlo i leader politici in caccia dell'elusivo voto giovanile: «La generazione X vuole una sintesi tra opposti. Come i conservatori chiede bilanci in pareggio e controllo della spesa pubblica. Ma come i progressisti vuole aiutare i più deboli». Come nasce questa bizzarra miscela? Dalle condizioni reali in cui i giovani sono cresciuti, e che vengono sempre trascurate dai Soloni che discettano sul futuro senza nulla saperne. I ragazzi hanno perduto fiducia nella capacità della Politica di risolvere i problemi, loro o altrui. Sono nati all'epoca del Watergate in America e dei grandi scandali in Italia. Il loro atto di nascita coincide con le dimissioni di Nixon dalla Casa Bianca, di Leone dal Quirinale, delle frequentazioni del presidente francese Giscard con il dittatore africano Bokassa. Vedono la politica come un banchetto di potenti, dalla lussuria di Clinton alla superbia di Craxi, e non sanno bene cosa farsene. Lunedì scorso, La Stampa ha pubblicato un interessante saggio dell'ex ministro della Cultura fran- cese socialista Jack I/a:,; che - per reclutare i giovani - dichiarava le ragioni del cuore, chiedendo alla sinistra di offrire nuovi eroi, emozioni. Era scritto in modo assai brillante, ma, malgrado il richiamo alle emozioni alla Lucio Battisti, era il manifesto della Mummia. Non qui in senso cinematografico, ma la mummia della politica, LÌ passato che non tornerà. Se i giovani, in Europa come in America, sono disillusi dalla Politica, non è per loro inanità o perfidia. E neppure per mancanza di emozioni, anzi. Sono i numeri, l'economia, le cifre, i fatti intrattabili, a renderli scettici. Facciamo un po' di conti. Negli Stati Uniti, il Paese dell'unico recente miracolo economico in Occidente, il valore reale dei salari per gli adulti stagna da circa il 1973. Ma per chi ha meno di 34 anni, la paga reale è scesa di circa un terzo. Per la prima volta nei due secoli di vita della Repubblica, una generazione non può più aspettarsi un tenore di vita superiore a quello dei propri genitori. Non era mai accaduto, né durante la guerra civile né durante la depressione del 1929. La corrosione del sogno di arricchirsi per sempre, coinvolge lavoratori e no, ceto medio e imprenditori. Oggi un laureato americano sa di dover guadagnare in media il 10 per cento in meno di suo padre, avvocato, ingegnere o profess'vche sia. E tra i diplomati si sta peggio: impiegati, tecnici, operai trentenni che ascoltano i Back Street Boys mettono in busta paga il 38 per cento in meno dei loro genitori che ascoltavano i Beatles e i Rolling Stones. Delusi dalla Politica e incerti sull'Economia, i giovani ripiegano su altri valori, e non certo sulle fanfare della vecchia sinistra di bang. Di Bonino, per esempio, li affascina il mito della donna che si cala dall'elicottero per i diritti di qualcuno e della politica che sfida lo status quo dei sindacati. E' difficile che i leader attuali, il legnoso Al Gore e il populista George Bush in America, o i cinquantenni socialdemocratici europei, riescano a persuadere i ragazzi del loro fascino «misto». E infatti il 61 per cento degli americani nati dopo il 1965 è convinto che «i leader abbiano disertato la nostra generazione». Chi sarà in grado di preparare ai giovani la ricetta vincente, equilibrio fiscale e giustizia sociale? Quali compagnie saranno pronte a rispecchiarne i valori, «un'azienda capace di far profitti pur rispettando l'ambiente»? Quale religione saprà integrare l'ansia dei figli dei divorziati: che chiedono sentimenti liberi, ma sognano famiglie unite? Difficile dirlo oggi. Più semplice capire quel che non funziona nel rapporto Politica-Giovani. Considerate il caso di Milano, la città laboratorio delle trasformazioni italiane, dalla cultura al lavoro, alla società, ai movimenti, che elude da oltre dieci anni le speranze della sinistra. Il dibattito sulle cause di queste sconfitte riempie volumi. Dense articolesse di intellettuali romani, che non mettono piede a Milano da almeno vent'anni, né hanno letto un sondaggio sulla metropoli, né seguito un focus group milanese, sono lette con avidità dai leaders della sinistra. Con il risultato che si continua a perdere. Quel che sfugge è il centro della Politica Futura, che è anche il cuore dell'avventurosa politica delle nuove generazioni: la coalizione. Vince chi sa assemblare la coalizione più ampia. Nel 1964 i democratici americani stravinsero le elezioni con Johnson, battendo il conservatore Goldwater. Una disfatta totale. Ma i repubblicani si chiusero nei loro centri studi e compresero la verità: quei temi, pur condivisi dalla gran parte dell'opinione pubblica, non assemblavano ancora una coalizioni'. La vecchia base democratica, operai sindacalizzati, studenti, intellettuali, minoranze urbane era superiore alla base repubblicana, imprenditori, conservatori dei sobborghi, militanti religiosi. Con Nixon prima e Reagan poi, i repubblicani ribaltano la situazione. Reclutano i lavoratori del Sud, scottati per l'apertura ai diritti dei neri, e mobilitano la destra religiosa contro il permissivismo dei democratici. Vincono così dal 1968 al 1992, con la sola eccezione di Carter nel 1976. Nel 1992 però Clinton usa contro di loro la loro stessa medicina. Include nella sua coalizione i ceti medi delusi dalle tasse di Bush e le donne, preoccupate dalla violenza antiabortista della destra religiosa. Così va, per due volte, alla Casa Bianca, malgrado Monica e dintorni. Sperare di prendere i voti della generazione X, a destra parlando di comunismo sempre vivo, e a sinistra parlando di eccessivi spot in televisione, è pura cecità. La sinistra italiana perde le elezioni a Milano perché la sua coalizione è più esigua di quella del Polo. Troppi giovani devono lavorare in proprio per campare. Sono ecologisti, ap- Iirezzano chi si batte a Timor perla ibertà, ma poi devono combattere per un lavoro precario, una casa precaria e vedono i vecchi occupare a vita i posti di lavoro migliori. Al «New York Times», è obbligatorio andare in pensione a 65 anni, grandi firme o no. In Italia, bloccata la dinamica sociale, bloccata la dinamica politica, bloccati gli ascensori economici, i ragazzi ascoltano Bruti e tirano avanti. Se qualcuno scrive perfino che «puzzano» non se ne curano. Troppa fatica già a campare. Ma chiedergli anche di entusiasmarsi per questo Stato, è troppo. iblémi concreti: serve appellarsi —- alle ragioni del cuore