Cinema italiano, cercansi veri produttori

Cinema italiano, cercansi veri produttori Lo Stato è oggi il maggior finanziatore di film, ma sarebbe meglio defiscalizzare e aiutare chi ha voglia di rischiare Cinema italiano, cercansi veri produttori Angelo Guglielmi IL ministro della Cultura Giovanna Melandri molto assennatamente va dicendo e ripetendo che il cinema italiano non va assistito ma promosso, non va aiutato ma va regolato. Non si può non concordare con questa dichiarazione che mette al giusto fuoco la realtà del cinema italiano. Che infatti non va aiutato: si aiutano gli handicappati ad attraversare la strada ma peri pedoni, per loro fortuna normali, ci si limita a tracciare, nei punti strategici delle varie strade, le strisce bianche. Dunque il cinema italiano va regolato e cioè occorre mettere a punto tutte quelle condizioni, opportunità e limiti che consentono a tutti i film italiani di avere una sufficiente visibilità, lasciando poi alla critica e al pubblico la possibilità di decretare successi e insuccessi. Allo scopo di meglio individuare e determinare queste condizioni, di cui il cinema italiano ha bisogno (e che ripeto non si configurano come interventi protezionistici ma di regolamentazione) il ministro Melandri presenterà nei prossimi giorni un disegno di legge sui cui contenuti - per ora noti solo per alcune indiscrezioni che tuttavia hanno già provocato (anche su questo giornale) qualche severa critica - avremo tempo per esprimere un giudizio definitivo. Intanto importante è che il decreto legge sia presentato e inizi il suo percorso alle Camere dove potrà accogliere gli eventuali correttivi. Bene, un serio passo avanti è stato fatto (o meglio è in procinto di essere fatto) verso la disciplina di un settore che tuttavia, oltre a quello della visibilità del prodotto, presenta altri aspetti che meritano un intervento regolatore. Ci riferiamo intanto al primo e più importante di questi aspetti: cioè ai meccanismi che governano il finanziamento pubblico alla produzione. Che cosa accade oggi? Oggi accade che una commissione di 6 esperti (intellettuali di varie discipline e studiosi di cinema) per incarico dello Stato che li ha nominati esaminano i copioni che autori e produttori inviano loro e scelgono quelli che sembrano degni, per il loro interesse culturale, di essere finanziati. Segue poi l'erogazione del finanziamento deliberato a cura (almeno fino a ieri) della Banca Nazionale del Lavoro. Nel 1998, l'ultimo anno di cui disponiamo dati certi, dei circa 80 film prodotti 65 f urono riconosciuti degni del finanziamento dello Stato. Questa forma di finanziamento, voglio dire le modalità con cui viene riconosciuto, presenta aspetti C3rtamente positivi giacché consente agli autori prescelti di portare a compimento il loro progetto. Ma ha nel contempo inconve- nienti che ritengo gravi <s più particolarmente: 1) ha fatto dello Stato il più grande produttore italiano esistente, costringendolo in un ruolo davvero improprio; 2) ha ostacolato la nascita nel nostro Paese di veri e propri produttori, indebolendone l'impegno e il senso di responsabilità. Infatti nonostante le ripetute dichiarazioni ieri di Veltroni e oggi della Melandri che lo Stato non è e non vuole essere un produttore (si limiterebbe a mettere in atto, nel suo ruolo di responsabile pubblico interventi di sostegno a favore della produzione) non vi è dubbio che nella sostanza il vero produttore è proprio lo Stato. Giacché quali sono gli atti che meglio qualificano l'attività dì un produttore se non quelli della scelta dei film da finanziare e subito dopo l'altro di mettere a disposizione il finanziamento necessario? Il produttore che poi appare come realizzatore del film non è altro che un produttore esecutivo in un qualche modo stipendiato dallo Stato. A questo punto mi chiedo se, volendo rispettare il ruolo essenzialmente promozionale che lo Stato si è dato - che è quello di sostenere la produzione e difenderne la realtà industriale -, non si debbano modificare le modalità di erogazione del finanziamento pubblico. E cioè mi chiedo se non sarebbe più conveniente che lo Stato piuttosto che finanziare questo o quel film precLisponesse interventi a favore dell industria del cinema da attuare nelle forme più varie dalla defiscalizzazione, all'abbuono, al rimborso ecc. a benefìcio di tutti i film prodotti in Italia. Per questa strada si aiuterebbe la rinascita della figura del produttore restituendogli il diritto della scelta del film da produrre e la responsabilità di un impegno personale in ciò che produce come nello sfruttamento (immediato e nel tempo) del prodotto realizzato cui è legata ogni sua (del produttore) gratificazione, ambizione e guadagno. Più concretamente per questa strada si contribuirebbe alla ricostruzione delle strutture produttive del cinema italiano, sottraendole all'attuale esistenza improvvisata e restituendo loro (ad esse) la dimensione di attività industriale. E forse si ricreerebbero i motivi perché il capitale privato (come accadeva negli Anni 50) torni a investire in un settore che peraltro (a parte le difficoltà in cui in questo momento si dibatte) è destinato fortemente a crescere con la moltiplicazione dei tanti nuovi soggetti (pay tv, pay per view, television of the domand ecc.) che hanno bisogno e chiederanno nuovi prodotti. Lo Stato infine uscirà dalla condizione che non ama ma in cui oggi pure è costretto a rifugiarsi e cioè quella di produttore di cinema, condizione in cui continuerà a permanere fino a quando si manterrà il compito (seppure attraverso una commissione di esperti) di scegliere i titoli e gli autori da finanziare. Certo non voglio essere così ingenuo da pensare che il passaggio del finanziamento pubblico dall'autore al cinema, dal singolo film all'organizzazione produttiva possa cambiare di colpo la situazione del cinema italiano avviandolo verso sponde felici. Ritengo tuttavia che ricostruire la figura del produttore che sceglie e rischia è il primo passo per ridare consistenza industriale alle strutture produttive del nostro cinema. Questo è il primo passo. L'altro decisivo lo aveva già individuato Walter Veltroni quando, nel suo precedente ruolo di ministro dei Beni Culturali, aveva fatto approvare una legge (la famosa 122) che obbligava i network televisivi, in particolare Rai e Mediaset a investire dai 700 agli 800 miliardi l'an¬ no nella produzione cinematografica italiana ed europea. La legge c'è ma ahimè rimane inapplicata. Ma qui comincia un nuovo discorso che pure a un certo punto si deve fare perohé non è tollerabile che due grandi istituzioni - di cui una per giunta pubblica - si sottraggano con pretesti vari al rispetto di una legge. ha nel contempo inconve- v Paese dindeboso di reInfadichiaroggi dnon èprodutre in atsabile pnfilm dl'altrofinanzduttorlizzatoun prqualchStato. A qvolendzialmStato sostendernesi debdi ero ppsituazione del cinema italianoviandolo verso sponde felici.tengo tuttavia che ricostruirfigura del produttore che scegrischia è il primo passo per ridconsistenza industriale alle stture produttive del nostro cma. Questo è il primo paL'altro decisivo lo aveva già indduato Walter Veltroni quandosuo precedente ruolo di mindei Beni Culturali, aveva fapprovare una legge (la fam122) che obbligava i network visivi, in particolare Rai e Meset a investire dai 700 agli miliardi no nella produzione cinematofica italiana ed europea. La lc'è ma ahimè rimane inapplicMa qui comincia un ndiscorso che pure a un cpunto si deve fare perohé ntollerabile che due grandi iszioni - di cui una per gipubblica - si sottraggano pretesti vari al rispetuna legge. Giovanna Melandri. A sin. Guglielmi

Persone citate: Angelo Guglielmi, Giovanna Melandri, Guglielmi, Melandri, Veltroni, Walter Veltroni

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