D'Alema ai soldati: l'esercito va difeso

D'Alema ai soldati: l'esercito va difeso Il premier in Kosovo: «Guai se il clima di fiducia si rompesse per qualche generalizzazione» D'Alema ai soldati: l'esercito va difeso Negato lo scandalo dei container rimasti nel porto di Bari «La guerra èfinita, gli aiuti finiranno in Albania e Turchia» Guido Tiberga inviato a PRISTINA «Da queste parti l'inverno è rigido, e molte case sono state distrutte. Le priorità non sono politiche, noi dobbiamo aiutare il Kosovo ad affrontare la ricostruzione. Dobbiamo fare in modo che i popoli che vivono qui ritrovino la capacita di vivere insieme. Su queste basi, in primavera, potranno esserci le elezioni, per dare al Kosovo un governo rappresentativo...». Massimo D'Alema parla da Decani, nella base militare che sorge a poche centinaia di metri dai monasteri ortodossi che per i Serbi rappresentano la culla della religione. Monasteri risparmiati dalla guerra, che ospitano ancora decine di profughi in fuga dalle vendette dei kosovari albanesi. Il premier, insieme con il ministro Scognamiglio, ò qui per il cambio della guardia al vertice della brigata internazionale: e venuto a salutare Mauro De) Vecchio, il comandante della brigata Garibaldi che lascia il Kosovo oggi, e per augurare buon lavoro al generale Giuseppe Emilio Gay che subentra al comando. Una buona occasiona per affrontare un paio di spinosi argomenti italiani: dal nonnismo ai container con gli aiuti per il Kosovo ancora bloccati nel porto di Ilari. Su questo argomento, D'Ale- ma è lapidario: «Uno scandalo inventato - attacca -. Ci sono giornalisti che a Bari scrutano nei container alla ricerca di cibi e medicinali scaduti. Ma i container sono rimasti a Bari perché la guerra è finita e i campi profughi si sono svuotati. Una parte del materiale 6 andata in Albania, un'altra in Turchia dopo il terremoto. In questi casi ò inevitabile che il 10-20 per cento dei beni vada perduto, lo dicono gli esperti. Ma attenzione: questo non è né uno scandalo né tantomeno una malversazione. Perché i soldi degli italiani non sono stati usati per acquistare beni da mandare ai profughi, ma per finanziare i progetti delle organizzazioni del vo¬ lontariato». Quanto alle violenze nelle caserme, la reazione del premier è prudente: «Non bisogna fare di ogni erba un fascio - dice -. Anche grazie a questa missione, il Paese guarda con fiducia alle sue forze armate. Guai se questo clima dovesse rompersi per qualche generalizzazione inopportuna...». Sul «nuovo» ruolo dei militari, D'Alema si ferma a lungo. A Pec, il comando della brigata internazionale è insediato all'Hotel Metohija, un vecchio albergo per turisti che la guerra aveva trasformato nel teatro degli stupri e delle violenze dei Serbi. Qui, il presidente del Consiglio parla ai microfoni di Radio West, l'emittente dei settemila militari italiani che lavo¬ rano in Kosovo: «L'uso della forza non è mai piacevole - dice - ma a volte può essere necessario. Il governo e il Paese sono orgogliosi di voi. Per la vostra capacità di entrare in rapporto con la popolazione locale, di aiutarla ad amare di nuovo la vita. Di questo ha bisogno questa terra: non basta disarmare i miliziani, bisogna disarmare anche gli animi. E da uomo del Sud consentitemi una piccola rivincita: molti di voi sono meridionali, è la miglior risposta a chi pensa che nel Mezzogiorno siano tutti pelandroni...». Il tema della «convivenza» è il leitmotiv della visita. D'Alema pranza con i generali nella mensa della brigata, brinda con lo cham¬ pagne offerto dal contingente francese. Nel salone i soldati che sono qui da giugno e che presto torneranno in Italia. Ma al suo tavolo non siedono soltanto i generali che vanno e quelli che vengono: ci sono anche i leader dell'I lek, i pope ortodossi con le loro lunghe barbe nere, il vescovo cattolico di Pristina. «Questo significa che la capacità di stare insieme c'è», dice il premier. Nonostante le difficoltà: il 19 settembre scade il termine fissato dalla comunità internazionale per il completo disarmo della milizia kosovara. «L'Uck dovrà deporre le armi, almeno fino alle elezioni. Poi si vedrà...», confermerà D'Alema nel pomeriggio, dopo aver incontrato a Pristina il leader kosovaro Ibrahim Rugova e il ministro degli Esteri del governo provvisorio Bardiyl Mahmutti. «Ai giovani kosovari che hanno combattuto per la loro terra noi dobbiamo dare atto del loro coraggio - spiega D'Alema -. Ora questi giovani devono trovare il coraggio di gettare le armi». Non sarà un compito facile: «I serbi potranno tornare a vivere nel Kosovo libero e indipendente», annuncia Rugova, stringendo in mano il libro che D'Alema ha dedicato alla guerra e alla crisi. «Nel Kosovo di domani c'è posto per tutti, ma non per i Serbi che hanno partecipato ai crimini di guerra», lo frena gelido il ministro Mahmutti. Il presidente del Consiglio Massimo D'Aiema ieri in Kosovo in visita ai soldati italiani impegnati nella missione di pace