Il camion, camera della morie per i clandestini

Il camion, camera della morie per i clandestini Drammatica ipotesi: erano ammassati come bestie nel loro viaggio della speranza in Italia Il camion, camera della morie per i clandestini Trovati nelle campagne di Mantova i cadaveri di 4 indiani reportage Vincenzo lessandoli inviato a Pegognaga (MANTOVA) ARRIVATI chissà da dove. E diretti chissà dove. Forse affastellati nel rimorchio di un camion, stipati da non riuscire a muoversi, senza poter respirare in quel buco nel quale soltanto Dio sa quanti fossero. In quattro, morti e abbandonati lungo una strada da trafficanti senza scrupoli come, magari, non avrebbero fatto con degli animali. O forse sì, lo avrebbero fatto anche con loro, perché il denaro spazza via ogni ricordo di umanità. Non erano ancora le 7, ieri mattina, quando Franco Sommi, cacciatore provetto secondo gli amici, bordeggiava i campi lungo la provinciale che dall'autostrada per il Brennero porta a Suzzara. Attento a scrutare l'orizzonte, a non perder l'occasione. E proprio a fianco di un campo di granoturco, dove c'è un cartello «divieto di caccia» a una ventina di metri gli è parso di «scorgere qualcosa». «Posto di lepri, posto fortunato», quello. Così ha fermato l'auto e si è addentrato nel sentiero, gli occhi fissi su quella «cosa». Era il corpo di un uomo, già sfregiato dalla decomposizione. E accanto ce n'era un altro, seminascosto dalle piante di mais. E un terzo, riverso tra la soia del campo vicino, e un altro ancora. Sotto ai corpi pezzi di cartone ondulato, senza scritte, come se fossero rimasti attaccati mentre li tiravano giù in fretta perché qualcuno voleva liberarsi di quegli ingombri per evitare di esser scoperto. E poi, via, forse di nuovo verso l'autostrada che porta al Nord. Accanto ai cadaveri il cacciatore scorge l'impronta di alcuni pneumatici: un camion, o un grosso furgone, con la doppia ruota posteriore. La campagna è ancora sotto la brina ma i solchi sono asciutti, segno che la sosta del camion è recente. Ormai frastornato Sommi avverte i carabinieri, ma quando dice che «ci sono quattro morti» non vorrebbero credergli: in fondo, questa, gli dicono, è una zona tranquilla, con pochi fatti incresciosi e pochissimi di sangue e neppure i problemi sono così difficili. Pegognaga ha 6500 abitanti, gli immigrati sono 160 e fanno i lavori che gli italiani ormai rifiutano. Quei corpi sono di asiatici, forse indiani, o pakistani, o dello Sri Lanka. Pelle scura, capelli corvini, zigomi alti. E' Il luog tutto difficile da catalogare, fa capire il dottor Giorgio Gualandri, dell'Istituto di medicina legale di Modena. Non emergono tracce a una prima ricognizione, si chiama così quella specie di prologo dell'autopsia: niente ferite da coltello, niente fori da proiettile, niente segni di strangolamento, niente sangue. Niente di niente. «Questo è un vero mistero», sospira il medico. E alle 17,30 alla morgue modenese comincia le autopsie e va avanti per tutto il pomeriggio. Dall'esame si conoscerà come sono morti, ma forse non sapremo mai chi sono. Indossavano soltanto i boxer, due avevano anche un orologio e due un anello e un braccialetto, di quelli a poco prezzo, che puoi comprare in un suk ai confini del nostro mondo o sotto casa, tanto è lo stesso. E poi, due stracci, una coperta, quei pezzi di cartone: son tutti lì gli indizi, tutte cose inutili per arrivare al riconoscimento, oggetti muti. Ma poi, chi può conoscerli, quei viaggiatori della disperazione? I carabinieri hanno aperto l'inchiesta che viene coordinata dal sostituto procuratore Giuditta Silvestrini, di Mantova. «Nessun segno visibile di violenza», puntualizza il magistrato. Un'indagine difficile che, tuttavia, viene portata avanti con puntiglio dagli uomini del tenente Massimiliano Conti. Si vorrebbe scoprire una traccia, qualcosa che portasse ai negrieri, ma è tutto così difficile, remoto, impalpabile. L'idea che i quattro fossero vittime di una faida ha provocato un tuffo al cuore alla gente di qui perché i cinquanta indiani che lavorano nella zona sono ben visti e accettati anche meglio e la rissa da strada che ne ha visti protagonisti sette, alcuni giorni or sono, non sembra aver lasciato strascichi. E poi, non manca nessuno nella piccola comunità, nessuno sapeva niente. Marco Carra è il sindaco, che quando gli chiedono quale amministrazione ci sia, in questo paese della Bassa mantovana, risponde scherzando: «Ds, questa è una roccaforte della sini¬ stra». Ma poi si fa serio e aggiunge: «Ci stiamo sforzando di tenere sotto controllo il territorio, e ci stiamo riuscendo». No, assicura, non ci sono problemi: «Non ce ne sono mai stati». Ma questi morti? «Credo che la causa, il problema, siano nati altrove». E forse neppure si rende conto di quanto abbia ragione. Nessuno sa dove sia cominciato questo ennesimo viaggio della disperazione, né quanto abbiano pagato questi poveracci, né quale itinerario abbiano dovuto percorrere, né in quali mani di mafiosi siano finiti: un tempo molti arrivavano con le carrette del mare, porti d'imbarco quelli turchi, quelli libanesi, talora in aereo fino a Tirana, dove un'organizzazione efficiente li recuperava all'aeroporto di Rinas e li smistava verso i gommoni in partenza da Kavaja e Valona. Ora, forse, con l'aeroporto controllato ancora dalla Nato son state scelte altre rotte. E' un fatto che le carrette del mare vagano per il Mediterraneo e puntano indisturbate sulla Sicilia o sulla Calabria, oppure su qualche molo in Puglia, o magari anche più a Nord, negli Abruzzi, nelle Marche. Introvabili, fino al momento in cui è impossibile frenarle perché ormai troppo vicine alle coste. Quella che ha trasportato i quattro, però, non l'ha vista nessuno. Ha lasciato il suo carico da qualche parte, forse a Sud. Quando è arrivata? Una risposta, s'intende approssimativa, potrebbe arrivare dalle autopsie. Ma non sono disponibili altri indizi. Al primo esame, il medico legale ha fatto risalire la morte a 48, 72 ore avanti. Insomma, fra sabato e domenica. Ma non c'è niente di sicuro, bastano pochi gradi, un tasso diverso di umidità per confondere le carte, a volte in maniera irreparabile. E dell'ambiente in cui si sono trovati i quattro per ora gli inquirenti possono avere soltanto idee approssimative, o possono tirare a indovinare. Ci si può immaginare che quando sono sbarcati, forse di notte, son stati fatti salire in quella che doveva diventare la loro camera della morte. Ammassati come i 146 soldati inglesi, tra cui una donna, rinchiusi in una cella minuscola per ordine di Suray-ud-Dowlah, nababbo del Bengala. Morirono in 123, soffocati in quello che fu chiamato il «buco nero di Calcutta». Era l'ultimo giorno della primavera 1756. Chissà se anche l'altra notte è sopravvissuto qualcuno. Abbandonati dai mercanti di uomini indossavano soltanto i boxer Due avevano l'anello e un braccialetto Il magistrato: «Sui loro corpi non c'erano segni di violenza» Sarebbero morti nella notte fra sabato e domenica D Il luogo del ritrovamento dei quattro cadaveri di extracomunitari, vicino a Mantova: la polizia scientifica esamina i corpi

Persone citate: Carra, Franco Sommi, Giorgio Gualandri, Giuditta Silvestrini, Massimiliano Conti, Suray