Dili brucia, 200 mila in fuga

Dili brucia, 200 mila in fuga Dili brucia, 200 mila in fuga Pulizia etnica nella capitale: mille morti reportage Rornaif) Franklin DILI ■ N 48 ore, Dili, la capitale di I Timor Est, è stata Ietterai- I mente svuotate dei suoi abitanti. Anche il vescovo Carlos Belo, come almeno un quarto della popolazione timorese (200 mila su 800 mila abitanti) è stato costretto ad andarsene. II prelato è atterrato ieri a Darwin, in Australia. I miliziani indipendentisti, i militari e i poliziotti indonesiani controllavano ieri tutte le strade, girando di casa in casa, per saccheggiare, incendiare e brutalizzare gli abitanti che non erano ancora fuggiti sulle montagne che sovrastano la città. Colonne di fumo nero si levavano da ogni quartiere di una città che è piombata nel caos. Secondo i poliziotti in borghese dell'Onu, che hanno potuto circolare brevemente in centro, l'università è stata data alle fiamme in serata, così come la sede della Radio, la maggior parte dei palazzi governativi e il quartiere commerciale. La vicina città di Liquisa sarebbe ugualmente a ferro e fuoco e, secondo un testimone, colonne di rifugiati in fuga intasano le strade. L'Unamet, la Missione di Assistenza delle Nazioni Unite a Timor Est, ha deciso di distruggere il materiale elettorale utilizzato nel referendum siili' indipendenza. Lo scopo è evitare ulteriori rappresaglie contro i civili da parte delle milizie unioniste. A Giakarta, le autorità indonesiane hanno liberato, come promesso, il leader della resistenza timorese, Xanana Gusmao, che era stato incarcerato nel 1992 e messo agli arresti domiciliari all'inizio dell'anno, ma allo stesso tempo hanno dichiarato la legge marziale su tutto il territorio di Timor Est ordinando che si spari a vista su chi non lo rispetta. Il governo ha presentato questa decisione come un tentativo di riprendere il controllo dei militari che non obbediscono più agli ordini. Gusmaoha accusato i militari indonesiani: «Stanno assassinando la gente», ha detto ai giornalisti nei locali dell'ambasciata britannica, dove si è rifugiato. Un battaglione delle forze speciali indonesiane è arrivato nella capitale rimpiazzando alcuni reparti che presidiavano la sede della missione dell'Onu (Unamet). Per manifestare la loro rabbia i reparti sostituiti sono partiti sparan¬ do in aria con le armi automatiche. Un portavoce delle forze speciali ha spiegato che occorrevano «truppe fresche» per «garantire la sicurezza dell'Unamet». Il governo da settimane ribadisce le sue buone intenzioni, smentite poi nei fatti. Poco prima dell'arrivo delle «truppe fresche», tutte le linee telefoniche, comprese quelle dei telefoni cellulari, sono state bloccate. E i saccheggi sono proseguiti senza ostacoli. Ieri a Dili i miliziani e i soldati regolari hanno continuato il loro lavoro di «pulizia etnica» destinata ad accreditare l'opinione che il referendum voluto dall'Onu è stata un'operazione fraudolenta e che la maggior parte dei timoresi non desidera di rimanere cittadino indonesiano. Ieri, come lunedì, secondo alcuni testimoni, decine di migliaia di persone sono state costrette sotto la minaccia delle armi dei miliziani e dei militari indonesiani a radunarsi presso le stazioni di polizia che servono come centri di raccolta. Successivamente queste persone terrorizzate sono state fatte salire sui camion e trasportate a Timor Ovest. Molti altri, sempre sotto la minaccia delle armi, sono stati imbarcati su navi mercantili e militari. A tutti è stato detto che saranno sbarcati a Timor Ovest, Surabaia e altre isole dell'arcipelago indonesiano, come Ambon, nelle Molucche e Irian Jaya. Il sì all'indipendenza è stato votato dal 78,6 per cento. Tutto fa pensare che una parte dello stato maggiore indonesia- no, che non condivideva la scelta del presidente Habibie di consentire il referendum, dopo aver tentato di influenzare il risultato fomentando un clima di terrore, ora sia passato ad attuare un «piano B» preparato nell'eventualità che comunque nel referendum vincesse il sì. Parallelamente circolano le notizie più disparate: fonti vicine alla resistenza timorese sostengono che i militari indonesiani intendono massacrare tutti coloro che sono stati caricati sui camion e trasportati a Kupang, Atambua e Timor Ovest. I militanti indipendentisti sarebbero comunque stati separati dal resto della gente. Notizie del genere non possono essere scartate in partenza: l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiari (Unhcr), che aveva registrato un afflus¬ so di rifugiati dall'Est all'Ovest dell'isola già prima dei risultati del referendum, aveva tentato di convinvere le autorità indonesiane ad installare un campo di accoglienza. Ma il governo aveva opposto un netto rifiuto senza fornire spiegazioni. Molti timoresi sono convinti che l'esercito indonesiano ha fomentato una situazione di stato di guerra per liberarsi dei testimoni scomodi (reppresentanti dell'Onu o giornalisti) e avere via libera nella devastazione del Paese distruggendo le infrastrutture create da Giakarta nei 23 anni di occupazione. Il presidente di «Human Rights Watch», Sidney Jones, da Giakarta spiega: «L'esercito indonesiano intende dare una lezione, non soltanto ai timoresi, ma alla popolazione di Aceh e di Irian Jaya», dove esistono guerriglie separatiste. «Il messaggio è: "Se intendete separarvi dall'Indonesia ed anche se questa volontà è condivisa dalla maggioranza della pololazione, noi vi colpiremo e nessuna forza straniera potrà venire in vostro soccorso"». Giakarta nelle scorse settimane non ha cessato di ripetere che l'ex colonia portoghese costituisce «un caso particolare» e non un «precedente». Il presidente Habibie ha assicurato: «Non sarò mai l'uomo che ha lasciato che il Paese si disintegri». Una risposta questa a una manifestazione di studenti nazionalisti che lo avevano paragonato con caricature a Mikhail Gorbaciov, architetto involontario dello smantellamento dell'Unione Sovietica. Copyright Liberation La Stampa Le Nazioni Unite hanno deciso di distruggere le schede utilizzate nel referendum per evitare altre rappresaglie contro i civili. Il vescovo Belo è fuggito in Australia, il leader della resistenza, scarcerato, si è rifugiato nell'ambasciata inglese Un piccolo timorese dell'Est all'arrivo all'aeroporto di Timor Ovest Nella foto grande, una famiglia in fuga

Persone citate: Habibie, Mikhail Gorbaciov, Sidney Jones, Xanana Gusmao