Vitalizi, l'onorevole fa il bis

Vitalizi, l'onorevole fa il bis IL DOPPIO ASSEGNO DEI PARLAMENTARI ITALIANI Vitalizi, l'onorevole fa il bis In ventinove anni spesi 5 mila miliardi analisi Pierluigi Franz ROMA- IL presidente del Consiglio Massimo D'Alema hu di recente puntato l'indice contro i trattamenti pensionistici riservati ai parlamentari italiani. D'altronde D'Alema e uno dei pochi onorevoli che hanno sinora rinunciato a chiedere i benefici per sommare due pensioni: quella propriamente detta, percepita - grazie anche alla concessione di contributi figurativi per l'attività di lavoro svolta in precedenza e quella nota come vitalizio, concesso in seguito all'elezione a deputati, senatori, parlamentari europei e presidenti di Regione. Numerosi altri parlamentari anch'essi giornalisti, appartenenti a vari partiti, come il segretario dei Ds Walter Veltroni, il leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini, il segretario dell'Udeur Clemente Mastella, il presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza Rai Francesco Storace (An), il capogruppo di Forza Italia a Strasburgo Antonio Tajani o il presidente della Regione Lazio Piero Badaloni (Ulivo) hanno, invece, chiesto il privilegio dei contributi previdenziali figurativi, cioè gratuiti. I cittadini auspicano, però, che il governo nella prossima Finanziaria per il 2000 elimini finalmente l'ingiustificato privilegio. Questo «pasticcio» all'italiana che, secondo alcune stime, sarebbe costato in 29 anni all'Erario, all'lnps e agli altri enti previdenziali non meno di 5 mila miliardi di lire senza alcuna copertura finanziaria, è nato con lo Statuto dei lavoratori. L'articolo 31 della legge 300 del 20 maggio 1970 mentre, da un lato, ha tutelato correttamente i lavoratori eletti alla Camera, al Senato, al Parlamento europeo o in assemblee regionali garantendo loro di mantenere il posto grazie ad un periodo di aspettativa non retribuita per tutta la durata del loro mandato, dall'altro, ha dato il via ad una sostanziale doppia pensione per tutta la durata della carica elettiva. Difatti, il terzo comma dell'art. 31 prevede che «i periodi di aspettativa, su richiesta dell'interessato, sono considerati utili ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria, nonché a carico di enti, fondi, casse e gestioni obbligatorie di previdenza sostitutive dell'assicurazione predetta». In pratica, per effetto di questa disposizione in vigore da 29 anni, qualunque lavoratore, iscritto all'lnps o ad altri enti previdenziali, venga eletto deputato o senatore può chiedere l'accredito di contributi previdenziali figurativi per tutto il periodo in cui ricopre tale mandato. Di conseguenza, ai fini pensionistici, non perde neppure un mese di contributi. Apparentemente questa norma potrebbe avere una sua giustificazione: quella di assicurare comunque una pensione ad un lavoratore dipendente chiamato a cariche elettive. Sennonché - ed è questa la prima grave incongruenza - per lo stesso periodo di permanenza a Montecitorio o a Palazzo Madama al lavoratore eletto deputato o senatore viene riconosciuto un sostanzioso «vitalizio» a carico del bilancio delle Camere (e quindi dello Stato). Pertanto per lo stesso periodo di tempo tale lavoratore finisce per godere di una sostanziale doppia pensione (per la verità la Corte Costituzionale con sentenza n. 289 del 13 luglio 1994 ha riconosciuto la diversità giuridica tra assegno vitalizio e pensione ordinaria di un parlamentare, ma nella sostanza si tratta, pur sempre, di una doppia pensione, ndr). Il «pasticcio» è ulteriormente aggravato dall'enorme costo, privo di copertura finanziaria. Difatti se, ad esempio, un magistrato e un professore universitario, entrambi dipendenti statali, vengono eletti deputati per 5 anni essi beneficiano, grazie all'articolo 31 dello Statuto dei lavoratori, di un vitalizio della Camera al termine del mandato, nonché del riconoscimento dei contributi figurativi sulla propria posizione previdenziale, come, cioè, se in quei 5 anni avessero regolarmente continuato a svolgere le loro funzioni di magistrato o di professore universitario. In pratica, in questo caso - in realtà molto frequente (si pensi, ad esempio, a Scalfaro, Violante, Vitalone, e persino Toni Negri ecc.) - lo Stato finisce, come identico datore di lavoro, a pagare due volte per lo stesso lasso di tempo i contributi previdenziali dei propri dipendenti senza alcu na copertura finanziaria. Paradossalmente il costo di questi contributi figurativi fini sce per pesare notevolmente anche su altri enti previdenziali, come l'Inpdai per i dirigenti industriali o l'Inpgi per i giorna listi, che nonostante da 5 anni si sia privatizzato è ugualmente tenuto a sobbarcarsi miliardi di costi di questi contributi. Una soluzione equilibrata del problema potrebbe essere quella dell'abolizione del vitalizio per tutti i lavoratori dipendenti eletti alle Camere o al Parlamento europeo o in assemblee regionali con il contestuale versamento dei relativi contributi agli enti previdenziali di appar tenenza da parte delle Camere, delle Regioni o del Parlamento europeo. Il vitalizio di Camera e Senato potrebbe restare in vita solo per gli eletti che non siano titolari di posizioni previdenziali - come il leader radicale Marco Pannella o il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi - o per chi - come D'Alema - non ha inteso avvalersi di una facoltà prevista dalla legge. Massimo D'Alema ha rinunciato al benefìcio di sommare due pensioni La Finanziaria 2000 abolirà i privilegi? Il «pasticcio all'italiana» è nato con lo Statuto dei lavoratori Contributi gratuiti per Fini, Veltroni Mastella e Tajani A destra il presidente del Consiglio Massimo D'Alema. A sinistra Gianfranco Fini e Clemente Mastella, sotto Francesco Storace

Luoghi citati: Regione Lazio, Roma, Strasburgo