Timor, leste mozze allineate sulle strade

Timor, leste mozze allineate sulle strade Timor, leste mozze allineate sulle strade Milizie e soldati indonesiani danno la caccia ai separatisti reportage Rumato Franklin DILI D! jakarta e le sue milizie hanno gettato Timor est in un regime di folle terrore, quasi volessero pimire l'isola che il trenta agosto ha votato per l'indipendenza. Le squadracce contrarie alla seccessione, una parte dell'esercito e della polizia indonesiana agiscono ormai scopertamente in accordo, terrorizzando la maggioranza della popolazione che vuole l'indipendenza. Centinaia di persone sono state uccise negli ultimi due giorni, ma è un bilancio impossibile da stilare dal momento che non ci sono più osservatori neutrali che possano muoversi liberamente. Solo quattro sedi delie nazioni Unite sono ancora aperte, le altre cinque sono state abbandonate e il personale ò assediato. Le milizie e le forze di sicurezza indonesiane non risparmiano più nessuno. Centinaia di teste decapitate e infilzate sui pali lungo la strada che porta a Dili sono la prova del massacro. Il porto è stato preso d'assalto da cinquemila persone che cercavano di raggiungere le isole vicine. La residenza del vescovo di Dili, monsignor Belo, è stata attaccata da ribelli e da soldati domenica mattina. Il vescovo è stato trasportato con un elicottero della polizia dal vescovo di Baucau, una città vicina. Stessa scena nei locali della croce rossa presi d'assalto da miliziani armati di fucili automatici M-16 e dalle forze di sicurezza. Molti testimoni hanno assistito alla scena da un albergo vicino. I duemila rifugiati che si trovavano all'interno sono stati allontanati sotto la minaccia delle armi. Donne e bambini alzavano le mani al cielo chiedendo pietà. Allora i miliziani hanno metodicamente squarciato i bagagli rimasti nel cortile usando sbarre di ferro, alla ricerca di documenti di identità, che passavano ai soldati che dirigevano la operazione.I documenti dovevano servire a identificare i militanti indipendentisti. Milizie e soldati hanno iniziato a trasferire a forza, su camion stracolmi, una parte della popolazione verso la parte ovest di Timor. I capi della milizia, che sostengono che il referendum organizzato dalla Nazioni unite che ha dato un ottanta per cento di suffragi a favore della indipendenza era una truffa, sLamio tentando di dimostrare che gli abitanti di Timor est desiderano restare sotto la amministrazione indonesiana «votando con i piedi». La complicità tra milizie e esercito, compresi i tre battaglioni appena arrivati sull'isola, è foriera di gravi complicazioni. Le divergenze sembrano esistere al più alto livello. Il presidente Habibie, che non è stato eletto (ha preso semplicemente il posto di Suharto dopo la rivolta studentesca del maggio '98) per una parte dell'esercito non ha nè la legittimità nè la autorità sufficiente per imporre la volontà di abbandonare Timor Est al suo destino. La sede Onu si trova addossata a una collina scura e spoglia, nella periferia della capitale. Lontano, sulle alture si vedono spesse volute di fumo che si alzano dai villaggi bruciati, i muri dell'ex collegio requisito dalle Nazioni Unite sono irti di reticolati che non offrono però nessuna protezione. Pufugiati impauriti li hanno scavalcati senza danni. Sono 1500 i rifugiati che vivono qui, donne e bimbi in maggioranza. Vengono dai villaggi vicini e si sono precipitati nel campo onu quando le milizie si sono avvicinate. Nei loro occhi una terribile angoscia: duecento funzionari onu infatti stanno per partire. Un convoglio con una dozzina di land rover, toyata e minibus con le insegne onu è pronto nel cortile stracolmo. In mimetica dei rispettivi paesi gli ufficiali di collegamento e «i poliziotti civili» si abbracciano e si stringono la mano, alcuni restano, altri se ne vanno. Vengono da Russia, Mozanbico, Senegal, Tailandia, Nepal, Australia, Egitto e pachi stan. «la gente di qui è straordinaria - dice un militare senegalese -se uno pensa cosa gli fanno subire i miliziani, danno prova di un coraggio straordinario. M Doverli abbandonare alla loro sorte fa male al cuore». Gli abbracci con gli interpreti locali si sprecano. Loro e le loro famiglie saranno il bersaglio principale dei miliziani. Uno piange silenziosamente, «stamane stavo parlando con i miei parenti che vivono a due chilometri da qui. Ho sentito al telefono le loro grida mentre risuonavano colpi di fucile, poi... più nulla.Sono certamente morti». Sua moglie scoppia in lacrime, corre verso il portavoce onu, David Winhurst che, pieno di imbarazzo, le spie¬ ga che non può fare nulla. Guardando sconvolto il convoglio dei funzionari che si avvia tra i reticolati guardati dai soldati indonesiani, un rifugiato grida: «credevo che le nazioni Unite fossero una specie di superman che non si lasciava umi¬ liare in questo modo dall'indonesia....non dovevano fidarsi, bisognava mandare i caschi blu fin dall'inizio. Adesso se ne vanno lasciandoci al nostro destino: lavorare per l'Onu equivale per noi a una condanna a morte». «E' una follia essere venuti qui senza mezzi per difenderci dice un poliziotto canadese. Un altro poliziotto, un malesiano, a chi gli chiede se ha anni per difendersi, fruga a lungo nello tasche prima di estrarre... un coltello svizzero muli ilamc. Liberation - La Stampa Fuga da Timor in fiamme, sotto scorta della polizia indonesiana, per i giornalisti occidentali e i funzionari delle organizzazioni internazionali *5

Persone citate: David Winhurst, Habibie, Suharto

Luoghi citati: Australia, Dili, Egitto, Nepal, Russia, Timor, Timor Est