A chi serve la guerra del Caucaso

A chi serve la guerra del Caucaso A chi serve la guerra del Caucaso Dietro la «rivolta integralista» contro Mosca quella che sta cominciando laggiù, (lucile montagne le conosco per averle attraversate più volte. Villaggi sprofondati in altri secoli e ora svegliati da bombe niente affatto intelligenti. Furono i sovietici, per primi, a turbare quell'universo con i pali della luce elettrica di cui si vantava Nikita Khrusciov quando spiegava a Nixon i vantaggi del socialismo. Costruirono dighe immense, laghi dove non c'era altro che roccia. Paesaggi tanto incantevoli da apparire stucchevoli, cartoline illustrate. Adesso guardo le riprese dall'alto degli elicotteri russi mentre scaricano i loro razzi sullo case che s'inerpicano lungo i pendii. Poi leggo i comunicati dell'esercito russo, litanie di vittoria come ai tempi del disastro ceceno: «Liquidati 300 banditi». In quelle case daghestane c'erano solo banditi? Leggevo, dieci giorni fa, che le artiglierie russe erano riuscite a sloggiare i ribelli, che avevano occupato tre villaggi in altura a Ovest, vicino al confine ceceno. Vittoria!, scrivevano i giornali russi intervistando, finalmente, militari vincitori. Ma adesso siamo di fronte ad almeno 2000 guerriglieri che sono riusciti a entrare nella seconda città del Daghestan, Khasaviurt. E il governo di Makhachkalà, la capitale, annuncia la mobilitazione straordinaria dei coscritti. Ce ne sarebbero, già pronti, ma non ancora armati, almeno 25 mila. E' la guerra. Ma quei 25 mila armati sono un mosaico di 30 etnie diverse, quasi tutte musulmane, ma che non si sono mai amate troppo e non si amano adesso. Poveri gli uni e gli altri. Feroci come si può diventare feroci nella miseria che si affaccia sull'ineguaglianza. Contro chi combatteranno i coscritti daghestani? Nessuno è in grado di rispondere a questa domanda. E cosa vogliono i ribelli che vengono dalla Repubblica indipendente di Ichkeria (l'ex Cecenia), ma che non sono certamente solo ceceni? E che faranno i ceceni «aWùnzy», che abitano in Daghestan, sono cittadini di Russia, ma hanno parenti e amici in Ichkeria e parlano quella lingua? E qual è l'obiettivo dei ribelli, sempre che di ribelli ce ne sia un solo tipo e non si tratti invece - come pare - di formazioni militari vere e proprie che non obbediscono tutte al ceceno Shamil Basaev? Proclamare l'indipendenza del Daghestan dalla Russia? Solo chi non conosce la situazione può ipotizzare una tale sciocchezza. Non tutto il Daghestan, in ogni caso, accetterebbe il comando dei wahabiti, o dei ceceni. Piuttosto si spezzerebbe in tanti tronconi, una parte andrebbe a finire sotto controllo dell'Azerbaigian, che da tempo lo desidera. Parte proclamerebbe l'indipendenza, parte se lo prenderebbe Ichkeria. Ma Ichkeria cos'è, a tre anni dalla vittoria sui russi? Un insieme di bande armate, molte delle quali foraggiate dai servizi segreti turchi, dell'Arabia Saudita, forse anche dal fantomatico Bin Laden. E probabilmente anche da qualche banchiere di Mosca che, avendo fatto i soldi con la guerra di Cecenia, pensa logicamente di doverli reinvestire in una guerra altrettanto promettente. Quanto basta, comunque, per rendere assolutamente improponibile ogni idea di far passare per quelle valli i futuri oleodotti del petrolio del Caspio. Un'idea che certe sparagnine multinazionali del petrolio (incluse alcune americane) hanno coltivato fino all'altro ieri, permettendosi perfino di contradclire il Dipartimento per l'Energia del governo americano, che da tempo insiste invece per il percorso turco e per quello turco-georgiano. Entrambi di gran lunga più costosi ma, come i fatti (magari anche con l'aiuto della Cia) s'incaricano di dimostrare, sicuramente più affidabili. Oggi si riunisce il Consiglio di Sicurezza a Mosca, presieduto dal premier Putin. Eltsin non ci sarà. E si sparge il timore che prima o poi si porrà il problema dell'istituzione dello stato d'emergenza in Daghestan. Solo in Daghestan? A Mosca cresce l'mcidetudine che potrebbe essere più esteso. Il presidente della Duma, Selezniov, dichiara «inaccettabile» una tale eventualità, ma la capitale si va popolando di «patrioti» che non vogliono perdere altri chilometri quadrati di territorio russo. E la logica inesorabile, anche quella dei colpi di Stato, porta all'estensione della guerra, in forme terroristiche, in territorio russo: prima vicino al Daghestan, poi sempre più lontano, e sanguinosamente, fino a Mosca. Nella foto grande due capi guerriglieri del conflitto nel Caucaso, Khattab e Shamil. Nella foto piccola, il premier russo Putin Sospetti anche quanti nella capitale russa hanno un disperato bisogno di terrore

Persone citate: Bin Laden, Eltsin, Khattab, Nikita Khrusciov, Nixon, Putin, Selezniov, Shamil Basaev