Schroeder: oltre la nazione

Schroeder: oltre la nazione «Gli Stati non possono più risolvere da soli i loro problemi» Schroeder: oltre la nazione Gerhard Schroeder I N materia di relazioni con l'estero, di sicurezza e di pace, la politica non si contenta di etichette. Per le nazioni industriali moderne, non esiste una politica estera di «destra» o di «sinistra». Nelle democrazie moderne del dopoguerra, la maggior parte dei grandi orientamenti in materia sono maturati attraverso il consenso. Tale redola è valida anche per la Repubblica federale di Bonn, salvo tre eccezioni: il riarmo, negli Anni '50, sulle prime fu contestato quanto il lancio della Ostpolitik di Willy Brandt all'inizio doi Settanta; lo spiegamento dei missili a medio raggio - agli albori degli Anni '80 - ha comportato scontri violenti in Germania occidentale. Nei due primi casi, la Storia ci ha mostrato a cose fatte che la politica governativa era giustificata; quanto alla cosiddetta «battaglia degli euromissili», il processo di riforme subentrato in Urss e nei Paesi del blocco orientale ci ha fortunatamente dispensato dal dover giudicare la sua opportunità. Ci si dice che non dovremmo cercare di modificare tali orientamenti, tanto più che l'appello a una «terza via» in politica estera assumerebbe, formulata in tedesco, un'accezione inquietante; si rischierebbe di associarla alle conseguenze disastrose di quella famosa «opzione» germanica che nel corso del nostro secolo ba sprofondato l'intero continente in un caos omicida. E' dunque a giusto titolo che si continua a sottolineare, proprio mentre la nostra capitale si trasferisce a Berlino e la Costituzione compie cinquant'anni - il carattere unico di questo periodo ormai alle nostre spalle che fu contraddistinto, quantomeno in Europa occidentale, da uno sviluppo pacifico e democratico. Malgrado la fine della guerra fredda, contrariamente a quanto parecchi storici temevano l'Europa non è ricaduta «nella geometria del potere imperante fra il 1648 e il 1945». Nel caso della Germania, il merito va sopra tutto a una politica coerente d'ancoraggio a Ovest e di buon vicinato con l'Est. La Germania non è divenuta ciò che si potrebbe chiamare una «potenza centralo» in Europa. Al contrario, il processo che ha condotto alla messa in opera definitiva d'uno Stato fu, sin dal principio, associato all'approfondimento e all'allargamento dell'integrazione europea. La politica estera della Germania oggi è una politica in Europa, per l'Europa e dell Europa. Questa Europa si ritrova investita di una responsabilità incommensurabilmente più grande per la pace e la sicurezza continentali e planetarie di quella che le incombeva quando regnava sul mondo un ordine bipolare. Quanto è accaduto nei Balcani ce lo indica nettamente e dolorosamente. Ma tutto ciò ci ha anche mostrato come l'Europa - e la Germania nel suo seno - sia sempre più all'altezza di tale responsabilità. Anche se la necessità d'una «terza via» in materia di politica estera e di pace non si è manifestata, i valori che ne ispirano la discussione rimangono pertinenti. La libertà e l'apertura al mondo, la democrazia e i diritti dell'uomo, la solidarietà internazionale e un giusto equilibrio tra i popoli, la stabilità e la prosperità, lo Stato di diritto e la sicurezza per tutti, sono e restano i valori di una politica estera europea. Il pericolo sempre più minaccioso dei conflitti regionali a carattere etnico e/o politico - per tacere delle gravi crisi economiche e finanziane ci obbligano a lavorare maggiormente su una politica di ordine mondiale che si fondi non sull'egemonia del potere bensì su un equilibrio di interessi, e che punti non su un equilibrio globale del terrore ma su una cooperazione regionale. Una strategia d'insieme che punti a risolvere i conflitti ed evitare le crisi deve assolutamente integrare una politica sulla sicurezza, l'economia e lo sviluppo, basando al contempo i propri sforzi sull'instaurazione della democrazia e la certezza del diritto. Ogni politica estera è anzitutto una politica d'interessi. La mondializzazione, con le sue conseguenze, non è stata peraltro la prima a mostrarci che gli interessi nazionali possono e devono essere perseguiti sempre meno a livello nazionale. La «difesa indiretta degli interessi» attraverso alleanze sovranazionali e internazionali assume una sempre maggiore importanza. Infine, un gran numero di problemi interni legati all'economia e alla sfera sociale non possono essere risolti individualisticamente dagli Stati-nazioni. Ecco perché una politica estera moderna e solidale dovrebbe svolgersi all'insegna dell'«interesse specifico riconosciuto». Ciò implica un'autovalutazione condotta senza pregiudizi, un'analisi delle esigenze internazionali ma anche delle attese e delle paure venute dagli altri. E' quindi interesse della Germania considerarsi come una grande potenza in Europa - come fanno da tempo ì nostri vicini - e orientare di conseguenza la sua politica estera per perseguirla nel quadro delle strutture euro-atlantiche. La Repubblica federale ha fatto meglio della maggioranza degli altri Paesi l'apprendistato d'una difesa dei suoi interessi specifici costantemente temperata dall'attenzione rivolta a vicini e partner. Questa capacità - una risultante della responsabilità storica e della coercizione esercitata dalle circostanze - fa sì che la Germania sia più a suo agio di altre potenze di taglia analoga per integrarsi senza perdere di vista i propri interessi in ali eanze fondate sulla sicurezza internazionale o a carattere politico-economico. «Superare il fossato che separa le regioni povere del mondo da quelle ricche: ecco la maggior sfida internazionale all'alba del XXI secolo». Sono le parole che ho prononciato il 10 novembre 1998 nella mia prima dichiarazione di governo. Bisognerebbe aggiungere: spezzare le catene fra i popoli liberi e quelli che non lo sono costituisce una sfida non meno importante. Una politica estera democratica e solidale non potrà fare a meno di confrontarsi con questi problemi. Copyright «Le Monde» Il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder

Persone citate: Gerhard Schroeder, Gerhard Schroeder I, Schroeder, Willy Brandt