«Pensioni, Cofferati ha ragione Una riforma equa per il 2001» di Alberto Papuzzi

«Pensioni, Cofferati ha ragione Una riforma equa per il 2001» IL SEGRETARiQ .COIL PIEMONTI «LE DIVISIONI TOLGONO AUTONOMIA AL SINDACATO» «Pensioni, Cofferati ha ragione Una riforma equa per il 2001» intervista Alberto Papuzzi TORINO SE per la previdenza si punta soltanto ai tagli, allora non si va da nessuna parte». Secondo Pietro Marcenaro, segretario della Cgil in Piemonte, autore con Vittorio Foa di un originale testo sul lavoro, Riprendere tempo (Einaudi, 1982), la discussione sul sistema pensionistico è monca. I temi d'attualità, dal rischio di una rottura storica nel sindacato agli interventi per ammortizzare la gobba previdenziale, vanno collocati su un altro orizzonte, in cui coniugare welfare e lavoro. Tra Cgil e Cisl si teme una rottura storica: bisogna esserne preoccupati? «I dissensi non dovrebbero di per sé incrinare l'unità sindacale. In Piemonte dirigo una Cgil in cui convivono posizioni anche opposte, tuttavia non è una ragione per non stare insieme. Ma nella situazione italiana una divisione che si cristallizzi sottrae autonomia al sindacato, ne fa un sottoprodotto della politica. Perciò sono molto preoccupato». La proposta di Cofferati ha suscitato dissensi anche nella Cgil, a cominciare da quello di Sabatini, segretario Fiom nazionale. Come si spiega l'uscita del segretario generale? «Vorrei indicare una ragione di merito e una ragione politica. Innanzi tutto, Cofferati indica una strada per il 2001 nel segno dell'equità. Le altre due strade possibili prevedono infatti o un aumento delle contribuzioni, che significa scaricare il problema delle pensioni sui nuovi lavoratori, in particolare sui giovani (a parte i problemi per l'aumento ulteriore del costo del lavoro); o interventi sui requisiti di anzianità e di età, rimettendo in discussione l'accordo del 1995. Entrambe sono dunque da scartare». E la ragione politica? «Che la mossa di Cofferati ha scongiurato l'eventualità che nei prossimi mesi si vedesse la Cgil fare a botte col governo e subire accuse di conservatorismo, mentre la Cisl faceva accordi separati sulla flessibilità, come a Milano. Questa era la divisione del lavoro tra Cgil e Cisl cui mi sembra pensasse D'Antoni. Con la sua proposta Cofferati si è schiodato dall'angolo». Ma la proposta offre una prospettiva stabile alla questione previdenziale, che sembra non potersi chiudere mai? «Il problema è che facciamo una discussione monca, tutta centrata sugli aspetti congiunturali, mentre si rimuove l'aspetto strutturale: il venir meno del lavoro nelle sue forme tradizionali. Per gran parte della popolazione il lavoro è diventato precario per periodi anche molto lunghi. Chi entra oggi nel lavoro deve aspettarsi (riforma del '95) una pensione più bassa corretta dai fondi integrativi. Però ha bisogno di un futuro non precario, altrimenti non riesce a costruirsi nessuna decente pensione. Perciò è necessario aggregare la riforma del welfare alla riforma del lavoro». Ma secondo D'Antoni pensioni e flessibilità sono due problemi distinti... «Invece sono le due facce della stessa medaglia». Può fare un esempio pratico? «Ho in mente il destino pensionistico di tutte quelle persone che entrano nei lavori più poveri: imprese di pulizia, edilizia, commercio. Nei grandi magazzini si praticano contratti part-time anche di otto ore settimanali concentrate nei momenti di punta della giornata. Che futuro pensionistico avranno queste categorie di lavoratori? Io penso che per garantirgli una modesta pensione i contributi non bastano, è necessaria una integrazione, con un ricorso anche alla fiscalità generale». Bisogna aprire i cordoni della borsa, invece di chiuderli? «Parliamo di pensioni che saranno erogate dopo il 2035, quando il debito pubblico sarà una fac¬ cenda risolta. Si può parlare di questo problema di carattere strutturale proprio perché si tratta di cambiali che andranno in scadenza quando l'emergenza si sarà conclusa». Quando parla di riforma del lavoro, per garantire stabili- tà in presenza di flessibilità, a che cosa pensa? «Penso a interventi sia nelle politiche pubbliche sia in quelle contrattuali. Si potrebbe decidere che nessuna persona entri al lavoro senza un progetto formativo che l'accompagni. Ci sono aziende in Europa che iscrivono in bilancio alla pari con gli investimenti in macchinari gli investimenti in formazione. Ecco la differenza tra flessibilità e deresponsabilizzazione. Andrea Pininfarina ha anche proposto di premiare con trattamenti fiscali differenziali i rapporti contrattuali più stabili». Da dove prendere le risorse per la riforma? «Dalla modernizzazione di settori che hanno contributo meno di altri, se non quasi per nulla, alia competitività del sistema. Faccio due soli esempi: il mondo delle professioni liberali e il grande settore dei servizi (ferrovie, trasporti, Rai, banche). Non si possono lasciare immutate le posizioni acquisite dai lavoratori di questi settori e scaricare tutto sui nuovi occupati. Bisogna varare nuovi contratti, che valgono per tutti, con un nuovo sistema di regole e retribuzioni. E' un problema di equità. Se mobilità e flessibilità volgono solo per i giovani laboratori sarebbe veramente una misura iniqua». Il sindacato è pronto per questo impegno? «Quando dice queste cose, un sindacalista sa di non prendere applausi. Ma sono le cose che spettano oggi a un sindacato che voglia farsi carico dei problemi del paese». Marcenaro: «Non si va lontano se per cambiare la previdenza si punta soltanto ai tagli Insieme al welfare modifichiamo anche le regole sul lavoro; non sono problemi separati» Pietro Marcenaro segretario regionale della Cgil in Piemonte

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