Stragi, saccheggi e incendi: caos a Timor

Stragi, saccheggi e incendi: caos a Timor Stragi, saccheggi e incendi: caos a Timor Si scatena la rivolta delle milizie filoindonesiane reportage Ramato Franklin DIU ALi/indomani della vittoria referendaria degli indipendentisti, a Dili, la capitale di Timor Est, regna l'anarchia. Per tutta la notte di sabato e per buona parte della giornata di ieri, l'aria s'è riempita del crepitare delle armi automatiche. Esercito c polizia indonesiani hanno lasciato campo libero alle milizie anti-indipendentiste, che hanno percorso le strade uccidendo e devastando. Come impazziti, i miliziani hanno nuovamente attaccato i quartieri ritenuti indipendentisti, saccheggiando e bruciando le case. Hanno assalito scuole, chiese e la sede dell'episcopato, dove secondo un prete sarebbero stati uccisi una ventina dei 200 rifugiuti che vi si erano nascosti. La violenza ha però risparmiato, per il momento, la residenza del vescovo di Dili, Mons. Belo, premio Nobel per la pace, dove sono accampate circa 1500 persone terrorizzate. I morti non si contano: c'è chi parla di cento, chi di duecento, ma è impossibile fare verifiche. Ieri sera il quartior generale della missione Onu a Timor Est (Unamet) è stato bersagliato da numerosi tiri d'armi automatiche, malgrado la presenza di molti soldati e agenti indonesiani che dovevano proteggerlo. I miliziani hanno aperto il fuoco anche sulle abitazioni vicine, seminando il panico: più di mille tra donne e bambini (gli uomini erano già fuggiti sulle montagne da una settimana) hunno d'improvviso preso d'assalto i cancelli dell'Unamet. Alcuni adolescenti si sono feriti arrampicandosi sui muri esterni, sormontati da filo spinato. Completamente impreparati, i caschi blu hanno lasciato entrare chiunque invocasse la loro protezione. La missione sembra ormai un campo di rifugiati. Anche una dozzina di giornalisti rimasti a Dili vi si sono accampati. Gli altri 500 venuti a coprire il referendum per l'autodeterminazione organiz- zato dall'Onu, hanno lasciato Timor negli ultimi giorni a causa della violenza crescente. «Le milizie e chi le dirige cercano di cacciare i giornalisti, poi il personale dell'Onu», dice David Whimhurst, portavoce dell'Unamet, la voce quasi coperta dagli spari che vengono dall'esterno. «Vogliono renderci la vita impossibile, e spingerci a lasciare Timor. Lo scopo delle milizie è spingere il "Falintil" (la resistenza indipendentista che finora si è ben guardata dal reagire, ndr) fuori dalle sue basi. Ciò darebbe il via alla guerra civile, e fornirebbe il pretesto a chi dirige le milizie di riprendere le cose in mano. Ci sarebbe allora da temere in bagno di sangue. Ma qualsiasi cosa accada, l'Unamet resterà». Le milizie hanno iniziato a seminare il caos dopo l'annuncio, sabato, dei risultati del referendum del 30 aprile: poco più di 94 mila persone hanno votato a favore della proposta di ampia autonomia presentata dall'Indonesia; 344 mila hanno votato contro e quindi, di fatto, a favore dell'indipendenza. All'Hotel Makhota, dove il capo della missione Onu Ian Martin ha annunciato i risultati, parecchi timoresi sono scoppiati in lacrime. Giakarta si è impegnata ad accordare l'indipendenza dopo un voto del Parlamento, da tenersi in ottobre o novembre. Ora, con una maggioranza del 78,5% a favore dell indipendenza, il governo è in un vicolo cieco. Ma tutto è possibile a Timor, dove 200 mila persone, su una popolazione di 800 mila, sono già morte negli anni della brutale occupazione indonesiana. Qualche ora dopo l'annuncio dei risultati, i miliziani dava- no un primo avvertimento sparando contro l'Hotel Makhota. Le squadre di poliziotti e militari che dovevano proteggere la popolazione non hanno mosso un dito. Del resto l'esercito, che ha addestrato, armato e finanziato le milizie, poteva scioglierle? All'aeroporto di Dili, domenica mattina, l'incontro tra il capo di stato maggiore e ministro della Difesa indonesiano, generale Wiranto, i capi delle milizie e Mons. Belo aveva fatto credere di sì. Ma l'illusione è durata poco. Militari e poliziotti hanno continuato a garantire ai miliziani un'impunità totale. Solo alcuni distaccamenti, arrivati da pochi giorni, reagivano in modo più o meno normale a omicidi e violenze. Ma neanche quelli, come ci è stato confermato, hanno mai ricevuto l'ordine di aprire il fuoco per far rispetta¬ re l'ordine. La situazione ha iniziato a degenerare sabato mattina, proprio dopo l'incontro tra le milizie e il generale Wiranto. Poco dopo al porto di Dili iniziava l'esodo. Gli indonesiani stabilitisi a Timor, la maggior parte nel quadro di una «trasmigrazione» organizzata dopo il 1976, si affrettavano a partire. Una quantità di camion, pulmini e carrette trasportavano mobili e fagotti d'ogni genere, in un andirivieni incessante verso le numerose navi da guerra fatte arrivare dalla marina militare. 1 miliziani, armati di fucili automatici, picche e machete, facevano' da scorta ai convogli. Anche noi siamo stati circondati da un gruppo di uomini che brandivano aggressivamente fucili e machete. E solo una fuga precipitosa verso la banchina occupata da poliziotti compassionevoli ci ha salvato la vita. Dopo sette ore d'attesa e di interminabili negoziati con i poliziotti, che avevano paura ad accompagnare degli stranieri, siamo riusciti a rifugiarci nei locali dell'Unamet. Dal tetto della missione abbiamo assistito al crescere dell'anarchia. I miliziani, impadronitisi delle automobili armi alla mano, pattugliano le strade deserte. L'Hotel Makhota, vicinissimo, viene continuamente bersagliato e un incendio si è sviluppato proprio accanto ad esso. Secondo l'Unamet, in tutta Timor Est le razzie hanno spinto 150 mila persone a rifu- ?iarsi in montagna. Solo a Dili i uggiaschi sarebbero 50 mila. Ancora una volta la resistenza timorese ha lanciato un appello per l'invio di una forza di pace Onu. Ma nulla sembra per ora impedire l'inesorabile sprofondare di Timor verso il caos. Copyright Libóration-La Stampa I caschi blu: vogliono costringerci ad andar via, ma noi resteremo ad ogni costo La resistenza: ora è necessaria una missione di pace internazionale Tre miliziani anti-indipendentisti a DUI, armati di machete e di un fucile autocostruito. A sinistra, civili in attesa di un Imbarco all'aeroporto

Persone citate: David Whimhurst, Ian Martin