Preti a Palermo, anima dimezzata di Francesco La Licata

Preti a Palermo, anima dimezzata UITIMO ATTO DI UN CÀMBÌ; Preti a Palermo, anima dimezzata Tra paure ed eroismi, sangue e meschinità la storia Francesco La Licata PALERMO Hj L più incuriosito, raccontano li pochi invitati, era lui, il ■ piccolo Matteo. Quattro anni, figlio di Gregorio Porcaro ex prete di frontiera (borgata Arenella) che fu anche vice di don Pino Pugiisi. Solo qualche tempo fa - quindi - simbolo della città che vuole liberarsi dal giogo mafioso, oggi cittadino laico che ha «regolarizzato» la sua posizione nei confronti della donna che gli ha dato Matteo. Gregorio si è sposato. Con l'abito grigio, l'espressione gioviale di sempre, un paio di occhialoni inediti e quindici chili in meno di quando andava scortato per l'Arenella ad incontrare, per perdonarli, i mafiosi che gli avevano bruciato l'auto. La cerimonia si è svolta nella chiesa di San Francesco Saverio: officianti don Luigi Ciotti e don Cosimo Scordato, due personaggi di indiscusso carisma, duo preti che del marciapiedi e dell'umanità dolente del marcipiedi hanno fatto la loro religione. Non è un caso che questa «ricomposizione» di un quadro che a molti palermitani era sembrato alquanto «stonato», abbia avuto simili protagonisti e si sia svolto in un luogo l'Albcrgeria di Cosimo Scordato - che Palermo comincia ad identificare come una sorta di palestra dove c'è spazio più per il lavoro e il sudore che per il facile lamento autoflagellante. Solletica la memoria, il faccione di Gregorio ritratto accanto alla sagoma bella di Giusi, la sposa che tutti chiamano «Pippi». Scorre una intera galleria di personaggi che, negli ultimi anni, hanno popolato il controverso palcoscenico di una città attraversata da mille pulsioni contrastanti: paure, eroismi, morte, sangue, generosità e meschinità. La lotta a Cosa Nostra, la litigiosità del fronte antimafia, le faide, le beghe, le strumentalizzazioni di chi, invece, vorrebbe che nulla cambiasse. Anche i preti, piccoli e importanti, giovani e meno giovani, sono slati attori di questo dramma. Certo, fino a qualche tempo fa eravamo abituati ai preti senz'anima o con un'anima grigia. C'era un cardinale a Palermo, Ernesto Ruffini si chiamava, che negava l'esistenza della mafia. Arrivò a mettere per iscritto, in una lettera indirizzata al Vaticano, che la strage di Ciaculli non era opera delle «coppole» e l'allarme sociale altro non era che bieca strumentalizzazione dei comunisti. Già, quelli erano «i bei tempi» e un parroco poteva essere accoltellato per essersi rifiutato di celebrare un «matrimonio riparatore» perché mancava il consenso della ragazza. Finì in ospedale con una cicatrice sulla guancia e dichiarò di essere stato ferito da uno sconosciuto. Erano i tempi in cui il parroco della Zisa poteva pretendere, per un funerale, un contributo equiparato al numero dei cavalli che avrebbero trainato la carrozza: se erano due applicava una tariffa, se quattro si raddoppiava. Forse Gregorio Porcaro - che ha curiosamente ottenuto la dispensa papale in tempo record non ha avuto neppure l'occasione di imbattersi in superiori di quel tipo. I tempi mutano velocemente. Così rivela la vicenda del cardinal Pappalardo, divenuto - ad un certo punto - simbolo dell'antimafia. L'omelia davanti ai feretri di Dalla Chiesa, della moglie e dell'agente Russo, ricordate? Ricordate Palermo come Sagunto? Una sferzata al potere romano. Ma Pappalardo cercò di sollevare anche le coscienze sonnolenti dei palermitani, fino a rinfacciare al popolo l'egoismo del «non aver sentito o visto nulla». Usò parole dure: «Si può applicare a noi la triste constatazione che faceva già per il suo tempo il profeta Ezechiele: "Il Paese è pieno di assassini". Troppi mandanti, troppi vili esecutori e favoreggiatori sono liberi e circolano alteri e sprezzanti per le nostre strade ed è difficile ragggiungerli per- che variamente protetti». Poi anche Pappalardo moderò il suo sdegno. Ma il via era stato dato e un esercito di preti di frontiera diedero vita alla rivolta delle coscienze. Cosimo Scordato creò il primo comitato antimafia a Casteldaccia, mentre il gesuita padre La Rosa scomunicava in piazza i mafiosi ed alle madri urlava: «I figli bisogna piangerli da vivi, non da morti». I tempi cambiano in fretta. E così sbiadiscono figure terribili come frate Giacinto Castronovo, assassinato nella sua «cella» del convento di Santa Maria di Gesù. Una perquisizione portò alla luce tre revolver, munizioni, videocassette e giornali porno, una strumentazione completa per pratiche sado-maso e un fornitissimo bar. Ucciso come un boss. Certo, anche in tempi più recenti si è molto discusso circa la «buona condotta» di prelati come l'ex vescovo di Monreale, monsignor Cassisa, o come il parroco della Kalsa, don Mario Frittitta, condannato in primo grado per favoreggiamento al ooss Pietro Aglieri che andava a confessare nel rifugio segreto. Eppure sul monaco carmelitano i giudizi non sono stati tutti negativi. C'è chi si è lasciato prendere dal dubbio che portare i sacramenti ad un latitante sia più un problema di disputa teologica che di codice penale. E sul fronte dell'antimafia? Anche lì i tempi cambiano velocemente. C'è la sensazionq.che, superata la fase dello sdegno genuino originato dalle stragi, possa prevalere una sorta di presenzialismo fine a se stesso. Don Pino Pugiisi è morto e non sembra che il quartiere, Brancaccio, viva nel suo ricordo e, soprattutto, nel suo insegnamento. Don Gregorio farà il padre di famiglia, anche se si occuperà dei giovani e degli emarginati (in questi ultimi quattro anni ha badato agli ammalati terminali di Aids). C'è, insomma, qualche arretramento. Persino padre Ennio Pintacuda, in pieno furore «Orland ia no» non tentennò ad affermare che «Il sospetto è l'anticamera della verità», si allontana dai vecchi amici per approdare su spiagge che sembravano molto lontane dalle sue passioni politiche. Resiste Cosimo Scordato, ma lui per militanza intende il «fare». E infatti «fa» teatro con Franco Scaldati e gli abitanti dell'Albergheria, «fa» la trattoria affidata a giovani e «fa» un'agenzia di viaggi gestita da un gruppo di ragazzi del quartiere. E resiste il parroco di Santa Chiara, Baldassarre Meli, che parla poco e toghe dalla strada una turba di extracomunitari. Il parroco della Kalsa condannato per favoreggiamento al boss Aglieri Le ombre su monsignor Cassisa Al Brancaccio presto dimenticata la lezione di don Pugiisi, padre Pintacuda ha lasciato gli antichi furori Il sacerdote che fu anche viceparroco di don Pugiisi ha un figlio di 4 anni Perdonò i mafiosi che gli incendiarono l'automobile Adesso si occupa di giovani e emarginati Don Gregorio Porcaro quand'era parroco della borgata Acquasanta Nella foto a sinistra, l'auto di don Porcaro che era uno dei sacerdoti più impegnati sul fronte antimafia, bruciata davanti alla chiesa Madonna della Lettera. Nella foto accanto, don Pino Pugiisi, il prete ucciso dalla mafia nel '93 di cui don Porcaro è stato vice parroco

Luoghi citati: Casteldaccia, Monreale, Palermo, Sagunto