Lavoro, Salvi «riapre» sulle 35 ore di Gian Carlo Fossi

Lavoro, Salvi «riapre» sulle 35 ore Il ministro: «In Francia la formula funziona, resta un obiettivo del governo D'Alema» Lavoro, Salvi «riapre» sulle 35 ore Rifondazionepreme. Con/industria-, non ci stiamo Gian Carlo Fossi ROMA A rendere ancora più effervescente la ripresa autunnale arriva, dopo il Tfr e le pensioni, l'orario settimanale di 35 ore sull'onda dell'annuncio, dato a Parigi dal ministero del lavoro, che in Francia l'orario «corto» ha creato o salvato negli ultimi 12 mesi 118 mila 443 posti di lavoro. Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista, non aspettava un regalo migliore e, senza perdere un attimo, si precipita a chiedere al governo che il provvedimento sulle 35 ore, insabbiato da un anno in parlamento, sia inserito nella finanziaria 2000. Incalza Marco Rizzo, coordinatore del partito dei comunisti italiani, ricordando come la riduzione dell'orario di lavoro faccia parte del programma di questo governo che «è l'unico in grado politicamente e socialmente di adottare una misura del genere». Alla nuova «bufe¬ ra» su un tema, che fa saltare gli imprenditori su tutte le furie, reagisce al volo Innocenzo Cipolletta, direttore generale di Confindustria: «In Francia hanno funzionato sopratutto il lavoro interinale e la maggiore flessibilità, non le 35 ore». I posti di lavoro creati lì dalla riduzione d'orario sono, a suo avviso, impieghi sussidiati dallo Stato e probabilmente spariranno a mano a mano che il sussidio non c'è più. «Il nostro paese - conclude - a detta del presidente del Consiglio, ha attivato 250 mila nuovi occupati in un anno, senza le 35 ore: fatto tale confronto, mi sembra che quello strumento sia davvero inutile». Ribatte Bertinotti: «La Confindustria si arrampica sugli specchi di fronte ad una dimostrazione empirica, come quella francese, che vanifica le sue tesi: esiste una reazione virtuosa tra riduzione dell'orario di lavoro ed aumento occupazionale». Smorza i toni dello scontro il presidente di Confartigianato Ivano Spalanzani: «Il dibattito sull'argomento non può essere riaperto se non nella sede naturale, quella del confronto tra le parti sociali. L'esempio francese deve essere letto in maniera corretta, dato che si riferisce a contesti nei quali le parti sociali hanno avuto convenienza a imboccare la strada delle 35 ore». Comunque, non c'è alcun dubbio che si tratti di un'ulteriore mina vagante sul cammino dell'esecutivo già sufficien¬ temente scabroso. E lo conferma il ministro del lavoro Cesare Salvi, intervenendo subito per arginare eventuali effetti perversi delle sortite di Bertinotti e Rizzo, nonché il riaccendersi di battaglie di religione nei fronti contrapposti. Salvi, «jospiniano doc» promotore con la collega Martine Aubry di un asse italo-francese sulle politiche del lavoro, affronta la questione con cautela, ma nello stesso tempo con fermezza. «Le 35 ore - precisa - restano uno degli obiettivi del governo. Sono nel suo programma. Ma il tema va ripreso senza «ideologismi» e m un contesto più ampio: quello dei tempi di lavoro e di vita anche in rapporto all'affermarsi prepotente dei nuovi lavori. D'altra parte, la legge presentata dal governo Prodi è all'esame del parlamento». Ma, anche se il discorso non fosse già impostato in sede parlamentare, la materia - osserva Salvi - dovrebbe essere riaffrontata comunque, anche per altre due ragioni: c'è una direttiva europea alla quale occorre dare riscontro e, poi, la legislazione italiana al riguardo è troppo frammentata. Inoltre, insiste, la riflessione sulla legge va inserita in una temati¬ ca tuttora aperta: «Mi riferisco principalmente alla questione convenzionalmente definita "tempi di lavoro e di vita" e al problema del raccordo coi i lavori cosidetti "atipici" e con la nuova organizzazione del lavoro. Il governo è pronto ad un confronto in parlamento e a dare il suo contributo per una legislazione organica sull'orario di lavoro». Quale il suo giudizio sul risultato conseguito in Francia? «L'esperienza francese - riconosce il ministro - sta dando esiti positivi e si deve pensare ad una soluzione non dirigista in cui un ruolo decisivo sia svolto dalla contrattazione delle parti sociali con l'aiuto delle agevolazioni del governo». Dunque, anche per le 35 ore, non c'è alcun pericolo di colpi di mano da parte dell'esecutivo, così come perla destinazione degli accantonamenti futuri del Tfr ai fondi pensione o per la modifica di altri strumenti del welfare.

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