Un tempo dei torbidi annunciato

Un tempo dei torbidi annunciato TEHtSMSRKA PEL MATERIALI COMPROMETTENTI ,., .y.tfeì Un tempo dei torbidi annunciato Lotta senza esclusione di colpi in vista del voto retroscena Giulietta Chiesa MOSCA SCENARIO numero tre che entra in azione: una bomba in una sala giochi per ragazzi. Il primo a essere innescato è stata la guerra in Daghestan che da ormai due mesi divampa ai confini con la Cecenia. D secondo è stato la lotta di «kompromat», materiali compromettenti, che i diversi clan della nomenklatura oligarchica stanno lanciando gli uni contro gli altri. Forse siamo all'inizio di una variante russa della «strategia della tensione». Che, come bene hanno imparato gli italiani, comincia con le bombe che uccidono innocenti per puntare poi, sulla base della paura e della confusione, a obiettivi politici destabilizzatori. E i tre scenari sono (lo si vede in modo abbastanza trasparente) strettamente in tacciabili, in qualche misura interdipendenti. Anche perché tutti e tre questi scenari sono già stati minuziosamente descritti, nei mesi scorsi, sulla stessa stampa russa. Segno che molti osservatori e giocatori li ritenevano probabili, tutti e tre. Cioè erano considerati nell'ordine delle cose possibili. La Russia è in campagna elettorale; una doppia campagna che in mezzo anno deciderà tutto, dal nuovo Parlamento al nuovo Presidente. Ma è una campagna elettorale anomala, perché tutti capiscono che la posta in gioco non sono i posti ma il regime tutto intero. Cresta, traballante, corrotto, oppure se ne va. E il problema è tutto qui. Da ormai un anno, dalla crisi del 17 agosto dell'anno scorso, quando il rublo e l'economia russa si sgonfiarono come palloni bucati, la questione vera che stava sui tavoli politici di Mosca era una sola e semplice: si riuscirà a effettuare il «cambio» senza drammi? Si riuscirà a convincere Boris Eltsin ad andarsene senza creare altri guai? L'ultimo tentativo serio di arrivare a un accordo: uscita di sicurezza per il Presidente e gli intimi (ma non tutti gli intimi), in cambio della rinuncia volontaria al potere, fu la scelta di Evghenij Primakov, premier imposto per la prima e unica volta dalla Duma. Rappresentava il compromesso possibile. Eltsin lo cacciò in malo modo. Da allora la lotta si è fatta sempre più ravvicinata e dura. Eltsin ha cambiato due premier in cerca dell'uomo che lo tutelerà (in caso di vacanza è il premier che assume i poteri presidenziali e indice nuove elezioni) e che, all'occorrenza, gli preparerà la strada a una terza rielezione. Gli altri (Luzhkov, Pri¬ makov soprattutto; la Duma, i comunisti in seconda battuta) a preparare la difesa e magari i contrattacchi. Essendo evidente a tutti, proprio a tutti, che il Cremlino si stava preparando a tutte le eventualità, inclusa quella di far saltare tutte le elezioni se avesse dovuto percepire il pericolo di perderle. Questa percezione è diventata certezza all inizio dell'estate, quando Luzhkov e Primakov si sono alleati. E' diventata tremendamente lancinante nei giorni scorsi, quando i partiti pro-Cremlino non sono stati capaci di unificarsi, perdendo le pochissime chance che loro restavano di superare la barriera del 5%. E, a rendere rovente la posizione della «famiglia», non certo a caso, è esploso lo scandalo internazionale sulle gigantesche distrazioni fraudolente di denaro operate dal vertice supremo del Paese. Dopo avere incassato un «uno due» così pesante, sull'orlo del knock-out, qualcuno nella «famiglia» stava probabilmente pensando che sarebbe stato meglio scendere a patti, gettando nel cestino i piani di «stato d'emergenza». Così la guerra in Daghestan sembrava improvvisamente vinta. Ma ieri, prima ancora che giungesse notizia che i combattimenti laggiù erano ripresi con grande vigore e che nella piazza del Maneggio, in una sala giochi dove vanno i giovanissimi, esplodesse una bomba, uno dei miei amici di lunghissima data mi diceva: «Vuoi sapere cosa ne penso? Che Quello non se ne andrà. Perché nessuno avrà il coraggio di dirglielo. E se anche ci fosse qualcuno che trovasse quel coraggio, il suo destino sarebbe di essere silurato dopo dieci minuti da un decreto presidenziale». Quindi l'idea di stato d'emergenza si riaffaccia prepotente dalla piazza del Maneggio. Non occorrono rivendicazioni, tutti penseranno che sono stati i wahabiU del Daghestan (e se non lo penseranno glielo si dirà), oppure i banditi ceceni. E forse una sola bomba non sarà sufficiente. A quanto pare stanno prevalendo quelli che non sono disposti ad andarsene con le buone, e scelgono le cattive per farlo sapere agli «altri». Se questa è la conclusione giusta a tutte queste ipotesi, da qui alle eventuali elezioni di dicembre ci sarà da ballare. Sembra sfumare la speranza di un passaggio di poteri senza drammi: il terrorismo (che sarà facile attribuire ai ribelli ceceni) è l'ultimo segnale allarmante Il sindaco di Mosca Yuri Luzhkov e un'immagine della guerra in Daghestan che farebbe parte del complesso piano di strategia della tensione

Persone citate: Boris Eltsin, Cresta, Eltsin, Evghenij Primakov, Giulietta Chiesa, Luzhkov, Primakov, Yuri Luzhkov

Luoghi citati: Cecenia, Daghestan, Mosca, Russia