Biennale
Biennale Biennale Un mistico luna-park LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Vnllora Quanta eccitazione per questa Biennale di Szeemann ma anche quanta invidiosa gelosia dei rivali italiani, con ridicoli rigurgiti di empiti nazionalisti (e poi firmano i manifesti antiserbia! Da non dimenticare del resto il congedo «cosmopolita» del sindaco Cacciari a Jean Clair: «Che se ne torni ai paesi suoi». Esemplare.). Peccato che alle "loro" mostre gli artisti di Szeemann non li abbiamo mai visti. E poi, questa mistica della Nazione: sembra di stare al- LA MDESETTMarco l'epoca di Ojetti! (Il più brutto padiglione? Quello Olandese, checché ne dica lo sciovinista Fuchs). Anche gli stessi artisti: fanno i moderni, i trasgressivi transoceanici ma se gli tolgono il loro padiglioncino, da buoni epigoni del Dorazio, strepitano come oche del Campidolgio Tradito o come pargoli cui hanno rubato il secchiello. Non capendo nulla della logica della Mostra, che non li vuole isolare come prodotti gastronomici locali (spesso nemmeno così buoni, se continuarne a rifare delle pizze-tap- STRA LA MANA Vnllora peto imitando il Bel Paese di Cattelan ormai caliato) ma li vuole giustamente inserire nella fiumana nomade di quest'edizione fluente ed allegra: una mostra-passeggiata. Certo, è una Biennale ludica, strampalata, libera e che male ci sarà mai, moralisti, dopo tante velleitarie edizioni fintohippy o lugubremente littorie, sacrificali alle Mode dei Sarti. Almeno si sa che l'Arte ha rinunciato alle sue prerogative normative od estetiche e non bleffa più: è un gioco, spesso anche tragico, ma ammette di esserlo. Un luna park che certo volte si ammanta di misticismo. La gente si assiepa alla finestrella di Cattelan, chi è convinto che il fachiro sotto la sabbia sia vero («si muove!») chi asserisce convinto: è di plastica. Dicono: sì, ma non ricordi nessun artista memorabile, è come un grande affresco collettivo. Sarà, però non è poi così vero: alla memoria affiorano tanti capitoli non trascurabili. Gli incerottati torsi della Bourgeois, le carni vizze del bagno turco polacco, il pioviginoso pigmento che cancella le scritte braille della Hamilton, l'impressionante padiglione istraeliano. Così: sarà un po' «facile», ornamentale l'effetto speciale dei mille bicchieri di Spitzer, che assalgano con balugina fosforescenti una fucina in rovina, quasi mignatte di un enorme salasso dell'Arte, però il risultato è ipnotizzante e non è che le ultime fabbricerie di iglò stagionati o di specchiere facessero molto di meglio. La prassi dell'installazione punta sempre a questi risultati. Anche se, suggestionato forse dal Merzbau di Schwitters (l'enorme serpente in materiali di scarto che gli fermentava in casa come una scultura in progessi Szeemann predilige queste superfetazioni plurime, che non si accontentano della educata nicchia d'una sola parete: ma si snodano, invadono, viaggiano. Come il suggestivo ottovolante friabile di Sarah Sze, che scala le pareti leggero come un scultura stellare di Melotti e pare che voglia per sempre salpare. L'arte che Szeeman apprezza e quella che viene «prima» di imbalsamarsi in un prodotto: come gli interrogativi che Aitken pone agli imbonitori Tv: «Avrà successo quest'opera?», Che però non ha ancora creato. Biennale di Venezia. Quarantottesima edizione. In varie sedi e orari differenti. Fino al 7 novembre. UN'EDIZIONE FLUENTE E ALLEGRA: RESTANO NELLA MEMORIA GLI INCEROTTATI TORSI DELLA BOURGEOIS, IL BAGNO TURCO POLACCO, IL PIOVIGGINOSO PIGMENTO DELLA HAMILTON «Il re dei topi», l'installazione di Katharina Fritsch, uno dei «simboli» della Biennale '99
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