DIPLOMAZIA ITALIANA UN PERCORSO A HANDICAP di Aldo Rizzo

DIPLOMAZIA ITALIANA UN PERCORSO A HANDICAP OSSERVATORIO DIPLOMAZIA ITALIANA UN PERCORSO A HANDICAP Aldo Rizzo DOPODOMANI, 1° settembre, si apre a Roma, sotto la presidenza del ministro degli Esteri, Lamberto Dini, la seconda conferenza degli ambasciatori italiani. La prima si svolse l'anno scorso e fu considerata, giustamente, una svolta positiva per la nostra diplomazia. Per la prima volta, infatti, tutti i maggiori «operatori diplomatici» ebbero modo di discutere col governo l'insieme, e non i singoli settori, della politica estera nazionale. Naturalmente, anche i singoli settori, ma nel quadro di una visione complessiva. Obiettivo: il rilancio dell'azione italiana in un mondo profondamene cambiato dalla fine della Guerra fredda. Nel frattempo (dicembre 1998) la Farnesina ha portato a termine anche una sua lunga e lenta, ma ormai improcrastinabile, riforma intema. Riforma, o riorganizzazione, volta a fare del ministero degli Affari Esteri uno strumento più agile ed efficiente, in grado di competere con i nostri maggiori partner e di affrontare meglio le crisi, spesso imprevedibili, della nuova realtà internazionale. Tra le due conferenze, è accaduto dell'altro, sul piano più strettamente politico. Citerò alcuni casi: la vittoria procedurale dell'Italia all'Onu, che ha impedito per ora un allargamento ai nostri danni del Consiglio di sicurezza; la normalizzazione dei rapporti con la Libia (dopo l'apertura all'Iran riformista di Khatami); la crisi con la Turchia per il caso Ocalan, tenuta nonostante tutto sotto controllo; infine, il caso di gran lunga maggiore, la guerra per il Kosovo, dalla quale l'Italia è uscita, complessivamente, con un bilancio positivo. Senza dimenticare la nomina di un italiano, Romano Prodi, alla presidenza della Commissione europea. Tutto bene, dunque? Non restano che sani propositi di nuovi successi? Ci sono anche dei problemi. Se si parla di visione globale del molo dell'Italia nel mondo, bisogna dire che essa ha dei chiaroscuri. Una sintesi vera delle sue due principali direttrici - la solidarietà con gli alleati della Nato e dell'Ue e l'«autonomismo» delle aperture geopolitiche, dall'Onu all'area balcanica e a quella arabo-islamica non si è mai avuta. A volte, o spesso, le nostre iniziative hanno suscitato diffidenza tra gli alleati, senza riscuotere un decisivo successo tra i loro specifici destinatari (mondo islamico, gli stessi Balcani). Penso che questo abbia due ragioni essenziali. La prima è una certa ambiguità, che ci è rimasta addosso fin dai tempi della politica petrolifera di Enrico Mattei, poi alimentandosi con le politiche democristiane a tendenza ecumenica, da Moro a Andreotti (con Dini che ne è, in certa misura, l'erede, peraltro abilissimo). Questa prima ragione tiene conto anche dei complessi rapporti con la parte già o ancora comunista (benché D'Alema, personalmente, appaia il leader più lineare). La seconda ragione, connessa alla prima, è rappresentata dalle complicazioni persistenti del processo decisionale intemo, affidato a maggioranze eterogenee e instabili. Forse quella certa ambiguità è un prezzo da pagare, per una politica estera che voglia dotarsi di una qualche autonomia. Invece la confusione decisionale intema è un handicap puro, che ci rende in definitiva insufficientemente credibili. Ma questo non è un problema per gli ambasciatori, bensì per il sistema politico in quanto tale. Quando questo si sarà razionalizzato, gli ambasciatori, già bravissimi, saranno ancora più bravi.

Persone citate: Andreotti, D'alema, Dini, Enrico Mattei, Khatami, Lamberto Dini, Moro, Ocalan, Romano Prodi

Luoghi citati: Iran, Italia, Kosovo, Libia, Roma, Turchia