Svolta obbligata a SINISTRA

Svolta obbligata a SINISTRA La sfida di Jack Lang per uscire dalla crisi che attanaglia gli ideali del socialismo europeo Svolta obbligata a SINISTRA Che cosa deve fare oggi la sinistra europea? Quali prospettive vede nel suo futuro? Quali sono i suoi compiti storici? Su questi interrogativi pubblichiamo un articolo dell'intellettuale francese Jack Lang, già ministro per gli Affari culturali al tempo della presidenza di Francois Mitterrand. Attualmente Lang è il presidente della commissione esteri dell'Assemblea nazionale. Jack Lang I L temporale primaverile che ha squarciato il cielo sereno della socialdemocrazia europea si scatenerà anche sull'autunno? Ricordiamoci degli anatemi lanciati allora: arcaismo alla francese contro la deregulation all'anglosassone. E ciascuno si conferisce l'attestato del vero socialismo. Poniamo una domanda tabù: e se, al di là delle frasi a effetto e degli equivoci semantici, meritassimo tutti di essere messi sotto la stessa bandiera, ovvero sotto il segno dell'assenza di un pensiero moderno di sinistra - che possa davvero dirsi tale - in accordo con i tempi? Certo, i nostri singoli atti concreti valgono spesso di più delle dichiarazioni infiammate o dei falsi orpelli della retorica. In Francia il nostro governo innovativo e attento alla giustizia sociale funziona sia politicamente sia economicamente. In Gran Bretagna e in Germania le decisioni coraggiose di rottura con la destra non mancano: da una parte (nel Regno Unito), l'imposta sui super profitti delle imprese privatizzate per finanziare l'impiego dei giovani, o la rivoluzione dell'organizzazione territoriale (Scozia, paesi del Galles, Londra); dall'altra (oltre Reno), l'instaurazione del diritto di cittadinanza per l'acquisizione della nazionalità. Ma la socialdemocrazia europea sembra mancare d'immaginazione. I nostri testi e i nostri dibattiti girano eternamente e quasi esclusivamente intorno alla politica economica. Si discetta sui rispettivi ruoli nella domanda e nell'offerta, o sulla separazione tra settore pubblico e settore privato. Per coronare il tutto, vi si aggiunge un pizzico di sociale, un cucchiaino di cultura e uno di Europa. Funebre cosmogonia, in cui l'uomo, le sue speranze, i suoi timori, le sue angosce, la sua creatività, sembrano relegati in secondo piano. Ancor più grave è il fatto che la socialdemocrazia europea dà talvolta l'impressione di vivere alla giornata e di navigare a vista. Senza memoria né visione del futuro, tende a rompere con le sue radici storiche e a ignorare le utopie concrete. Le lotte eroiche d'un tempo o i personaggi guida che hanno segnato la sua storia sono caduti in dimenticanza: non una parola, ad esempio, nel documento Blair-Schroder, sul laburismo di Harold Wilson o sull'Spd di Willy Brandt. Sembra contare soltanto l'immediato presente o, al massimo, il prossimo orizzonte elettorale, che fa la parte della più estrema frontiera intellettuale. Raramente i documenti socialdemocratici si proiettano con coraggio verso l'avvenire cercando di decifrarne i lineamenti: le ragazze e i ragazzi d'oggi non sapranno nulla del tipo di società che la sinistra europea prepara loro per i decenni a venire. Continueremo a procedere alla cieca, a tentoni, senza sapere. E subiremo, senza averlo voluto, la sovranità intellettuale dell'ordine mercantile mondiale. Alcuni dèi nostri partiti sono diventati macchine elettorali, tagliate fuori dalla vita reale e dalle aspirazioni dei giovani. Sapranno ritrovare la vocazio- ne originaria di laboratorio di idee, di formicaio brulicante di analisi e di proposizioni? Con pazienza, ostinazione e rigore, abbiamo il dovere di lavorare giorno dopo giorno per reinventare un progetto di trasformazione profonda della società. Apriamo qui qualche pista per un dissodamento di più ampio respiro. Innanzitutto, finiamola con le false parole. Abbiamo il coraggio di chiamare le cose col loro nome. È un'esigenza di onestà e di chiarezza. In seguito, e soprattutto, concentriamoci più che mai sulla riconquista dell'identità della sinistra, diluita nell'inevitabile pragmatismo dell'azione quotidiana. La felice formula di Lionel Jospin - «Sì a un'economia di mercato, non a una società di mercato» ripresa dal testo Blair-Schrò der, può offrire l'ossatura di questa riflessione. Una società che volti le spalle ai valori del mercato senza ostacolarne il funzionamento dovrebbe far ritorno all'ideale, talvolta dimenticato, della sinistra di sempre: rovesciare l'ordine ingiusto delle cose facendo arretrare le disuguaglianze, mettere il paese in movimento. [...] L'«economicismo» sembra aver divorato ogni cosa. Come se questa sinistra «seriosa» non avesse che una sola ambizione: figurare in buona posizione al tavolo d'onore dei buoni gestori. Viva alllora il marxismo di un tempo che, almeno, sapeva distinguere tra le infrastrutture - il basamento economico - e le sovrastrutture - le credenze, le mentalità, i miti e i sogni! Dimenticherà, questa sinistra alla ricerca di rispettabilità, che la nostra prima e forse sola ricchezza è il capitale umano? [...] Una grave minaccia pesa sull'Europa, sul nostro immaginario collettivo: la colonizzazione dell'animo umano da parte del sistema commerciale mondializzato, e in particolare la vampirizzazione insidiosa degli spiriti dei giovani da parte della filosofia del vuoto. Le prime vittime di questa alienazione commerciale sono, ancora una volta, i più poveri, i più indifesi, i peggio armati per resistere all'impoverimento delle menti. In Italia la sinistra ha pagato molto caro, alle elezioni europee e locali, la sua difficoltà a opporre sbarramenti ideologici alla «berlusconizzazione» delle coscienze orchestrata da un esperto in illusioni mediatiche. In Germania i nostri compagni rischiano di fare ad ottobre la stessa fine delle elezioni regionali, se non ritrovano la fiducia della gioventù tedesca. In breve, una formidabile battaglia è in corso per la conquista non più di territori, ma di intelligenze: dalla disfatta o dalla vittoria di un sistema di sviluppo fondato sulla fioritura delle capacità creative e dei valori dell'umanesimo dipendono e il nostro declino e la nostra rinascita economica e politica. Per arginare il fenomeno di appiattimento delle nostre culture non basta sventolare la bandiera dell'eccezione culturale. Per aprire alla gioventù la possibilità di avventure collettive esaltanti e per allontanarla dai miraggi della società dei profitti immediati e del consumo passivo mancano un'analisi e una poltica di sinistra. Ma una nuova arte di vivere deve fondarsi anche sul culto dei diritti umani. Acceleriamo l'attuazione di quei progetti finalizzati a rinnovare la democrazia. Più in generale, trasformiamo i nostri cittadini in coautori del loro destino e sollecitiamo i sentimenti collettivi attraverso dibattiti nazionali sugli argomenti sociali più scottanti: le droghe, l'eutanasia, la bioetica. Ascoltare le aspirazioni a volte contraddittorie del popolo non impedisce ai dirigenti dei partiti di indicare con spregiudicatezza le proprie convinzioni piuttosto che conformarsi alla do.xu degli antichi greci: l'opinione comune, senza sapore né colore. Si vorrebbe infine che i partiti della sinistra europea facessero sentire più forte la loro voce ogni volta che la democrazia ò schernita nel mondo. Non si capisce perché abbiano condotto con successo una guerra in Kosovo e restino silenziosi sulla sorte inflitta ai Kurdi, ai Tibetani o a numerosi popoli africani. Anche qui, basta con la prudenza e la compiacenza. 1 socialisti europei devono tenere viva la fiamma della speranza, ritrovare «lo stato d'animo del sole nascente» caro a René Char e costruire una filosofia dell'avvenire, Risolutamente moderna. Risolutamente di sinistra. Copyright Le Monde «L'economicismo sembra aver divorato ogni cosa: viva allora il marxismo di un tempo» «Non capisco perché restiamo silenziosi sulla sorte inflitta ai curdi e ai tibetani» L'ex ministro della Cultura francese Jack Lang, da molti anni voce critica all'interno della socialdemocrazia europea. A destra un manifesto dei tempi eroici del socialismo