Nel paradiso dell'atomica russa

Nel paradiso dell'atomica russa LA CITTA' PROIBITA DELLA FISICA NUCLEARE SOVIETICA Nel paradiso dell'atomica russa AdArzamas, dove 50 anni fa nacque la bomba reportage Giulietta Chiesa inviato a ARZAMAS-16 Fino a che non cominciarono a volare gli U-2, che fotografavano da altissima quota, questa città gli americani non sapevano nemmeno che esistesse. Le carte geografiche erano state truccate, arrivarci era impossibile anche ai cittadini sovietici. Uscirne non era consentito a nessuno. Una prigione senza fili spinati ma tremendamente più efficace. Cinquantanni fa, il 29 agosto 1949, nel poligono di Semipalatinsk fu fatta esplodere la prima bomba atomica sovietica, ma fu qui che l'ordigno fu costruito, nella misteriosa, irraggiungibile Arzamas-16. Di città come questa, alle dirette dipendenze del ministero dell'energia atomica, ce ne sono ancora dieci in Russia, a cui bisogna aggiungerne una ventina di altre che appartengono al ministero della difesa. Questa si trova a circa 400 chilometri a Est di Mosca. Adesso, oltre ai giornalisti, ci sono arrivate anche delegazioni di scienziati americani ed europei, ma i movimenti non sono affatto liberi. La guerra fredda è finita, ma i problemi di sicurezza no. Anche i russi - che pure adesso possono entrare e uscire con relativa facilità - devono avere un permesso, sottoporsi ai controlli. Arzamas-16 è cresciuta attorno al monastero di Sarov, che adesso non c'è più. La città segreta doveva essere non troppo vicina a Mosca, per ragioni di segretezza, e non troppo lontana, per dare modo a scienziati e capi del progetto di comunicare senza troppa difficoltà. Ma il monastero era meta di troppi pellegrini. Lo fecero saltare e tirarono su una cortina di ferro dentro la cortina di ferro. Adesso ci abitano ancora 85 mila persone, di cui 18 mila lavorano nel centro nucleare vero e proprio e altri 4000 nella fabbrica «Avangard», da cui uscivano (ed escono) le atomiche russe. A vederla oggi Arzamas-16 è esattamente come una media città sovietica di trent'anni fa. Nessun segno della modernità capitalistica è arrivato fin qui. Anche la gente è diversa, sovietica appunto. Nel modo di vestire e nella mentalità. «50 anni di pace», è lo striscione che ci accoglie nella piazza centrale. «Gloria ai costruttori dello scudo che ha protetto la patria». Di qui è passato il fior fiore della scienza sovietica. Nel viale ombreggiato della «Via Verde» c'è la dacia dell'accademico Jurij Khariton, uno dei principali creatori della bomba, un mito. Poco più in là c'è la villetta dove visse il giovane Andrej Sacharov, quella di Jakov Seldovic, quella di Igor Tamm, quella di Bogoliubov. Peri fisici di tutto il mondo sono nomi sacri e rispettati. Adesso i loro profili si stagliano sul muro del palazzetto in mattoni rossi della direzione del «Centro Panrusso di ricerche scientifiche di fisica sperimentale». Tutto, all'apparenza, molto modesto. Eppure qui, negli anni difficili della guerra fredda, i migliori cervelli dell'Unione Sovietica venivano con entusiasmo. Qui lo stato aveva messo a disposizione tutto ciò che occorreva per ottenere «quel» risultato. Qui gli stipendi erano più alti, si respirava un'aria di élite, non c'erano problemi di approvvigionamento. Certo, non si poteva andare fuori. Ma per ricercatori e scienziati questo era anche un paradiso intatto dove studiare in santa pace senza essere assediati dai pedanti istruttori del partito. Nelle strade del centro chiedo ai passanti: come si vive in una città chiusa? Non vorreste che si aprisse? Perchè siete qui? Ci siete nati o ci siete venuti? Stupore: quasi tutti, comprese quattro o cinque giovani signorine, studentesse delle medie superiori, compresi due operai di mezza età, un autista, due operaie edili, una commessa, una coppia con figlio piccolo, rispondono che preferiscono che la città rimanga chiusa. Altrimenti - dice una signorina diventeremmo come Mosca, che non ci si può più passeggiare la sera perché è piena di criminali». Non è un sondaggio d'opinio- ne, ma colpisce. Anche perché rivela un'illusione: che quest'isola possa rimanere tale ancora a lungo. Illusione che sembrano nutrire di nuovo perfino gli stessi dirigenti scientifici della città. Di nuovo perché fino all'anno scorso le città chiuse, tutte, chi più chi meno, stavano affondando nel nulla, senza soldi, in piena fuga di cervelli, senza commesse. Ma adesso sembra che il vento cambi direzione: l'Occidente che sembrava amico, diventa sempre meno gentile. E a Mosca qualcuno comincia a pensare che sarà meglio conservare quello che resta del potenziale scientifico e tecnologico della Russia. Non si sa mai. Eppure già adesso Arzamas-16 vive, per la metà del suo budget, dei finanziamenti americani, europei, giapponesi. Almeno 300 milioni di dollari per commesse di ricerca. Come reggere in futuro? Il professor Radij Ilkaev, direttore del Centro Nucleare di Arzamas, non si scompone. «C'è un mercato mondiale per la nostra scienza. Dobbiamo difenderlo, anche se a qualcuno in Occidente non piace. C'è un equilibrio mondiale da mantenere, anche se in Occidente sono convinti che sia finito». E il direttore dell'Istituto di Fisica delle alte energie, Viktor Selemir, aggiunge: «ci sono 50 comparti scientifici e tecnologici che decidono se un paese è all'avanguardia o non lo è. Noi siamo primi in assoluto in 17 di questi comparti e, per il resto, siamo quasi dovunque ai primi cinque posti nel mondo». Festeggiano l'anniversario della bomba e comunicano che Arzamas-16 continuerà a lavorare. Vista da qui la Russia non sembra così perduta come quando la si guarda da Mosca. Per mezzo secolo è rimasta inaccessibile Non era nemmeno segnata sulle carte Oggi la si raggiunge con un permesso speciale e gli abitanti sperano che resti così «Altrimenti saremmo invasi dai criminali» II fisico Andrej Sacharov, padre della bomba sovietica visse a lungo ad Arzamas-16

Persone citate: Andrej Sacharov, Giulietta Chiesa, Igor Tamm, Jakov, Jurij Khariton, Viktor Selemir

Luoghi citati: Mosca, Russia, Unione Sovietica