«Sorpresa» Di Pietro, in piazza per An

«Sorpresa» Di Pietro, in piazza per An Battute polemiche per il governo e per D'Alema: «Uscita infelice sul milione di posti di lavoro» «Sorpresa» Di Pietro, in piazza per An 7/ senatore a Bergamo: «Firmate per questi referendum» ROMA Il più contento di tutti era probabilmente Mirko Tremaglia, l'amico di famiglia che mai aveva digerito la scelta ulivista di Antonio Di Pietro. Quando Tremaglia si iscrisse per la prima volta all'allora Movimento sociale era il 1946, ma il vecchio deputato, davanti ai banchi referendari allestiti da An nel centro di Bergamo, dice che adesso «gli italiani non ne possono più dei partiti» e che è giunto il momento di «dar loro direttamente la parola». Di Pietro è poco lontano che firma, davanti alle telecamere che lo inseguono per la piazza Vecchia e dietro una bandiera di Alleanza nazionale, per il referendum antiproporzionale, lo stesso naufragato ad aprile sugli scogli del quorum. «Su questo punto c'è convergenza con Di Pietro - insiste Tremaglia -. Per questo ho il piacere di accoglierlo qui. E in futuro possono capitare altre convergenze. Magari sui temi della criminalità...». Di Pietro conferma con un sorriso: «Sulle regole non ci sono una destra e una sinistra». Quando si tratta di parlare del governo, l'ex magistrato non si tira indietro. E lo fa da cane sciolto, senza nascondere i (numerosi) dissensi: «L'uscita di D'Alema sul milione di posti di lavoro è stata una battuta infelice - attacca -. Intanto perché ha un precedente che ha dimostrato di non essere credibile. Un precedente che poteva e doveva far comprendere che il milione di posti prima si trova, e soltanto dopo si comunica...». Poco più lardi, davanti alle telecamere del T3, Di Pietro parlerà esplicitamente di «propaganda» del premier. Un'accusa non troppo diversa da quella pronunciata la sera prima da Gianfranco Fini, che aveva parlato di «spot gratuito fatto da quello stesso governo che vorrebbe vietare agli altri gli spot a pagamento». Per Di Pietro nessun imbarazzo, anche se dalla maggioranza non tarderanno ad arrivare le critiche: «Lui è un uomo di destra, e i Democratici sono un problema per la maggioranza» gli manda a dire Irene Pivetti, diventata presidente dell'Udeur di Clemente Mastella. «Il fatto che io sia qui non è né una rarità né una novità», dice l'ex magistrato, poggiando a terra lo zainetto scuro che si porta dietro dappertutto. Qualcuno lo sente lamentarsi «bonariamente» per la mancanza di un microfono. «Io ho raccolto firme in molti banchetti con An, con Forza Italia, con i Ds, con tutte le forze politiche che puntano al maggioritario. Perché vi stupite di vedermi qui?». Di Pietro non parla solo di referendum. Il possibile accordo con Rifondazione in vista delle Regionali del 2000 lo lascia scettico: «Noi diciamo di no a ogni forma di desistenza che offende lo spirito del maggioritario. Noi siamo dell'idea che essere coerenti è più importante che vincere a tutti i costi. Il vero problema sono le candidature: vanno individuate sulla base di programmi e sciegliendo persone rispettabili e riconoscibili. Mar- tinazzoli? Lui ha questi requisiti...». L'esame del governo è impietoso. Bocciato Cesare Salvi, che in un intervista al Corriere della Sera aveva definito «un'imposizione dei poteri forti» l'urgenza della riforma previdenziale: «Ho letto che il ministro del Lavoro pensa che la riforma delle pensioni potrebbe non essere ima priorità - commenta Di Pietro - E invece lo è di sicuro. E di sicuro deve essere attuata, partendo dalle sacche di privilegio. C'è stata una proposta concreta da parte del segretario dei Ds - aggiunge - E su questo ci si deve confrontare. La proposta impostata da Veltroni ha una sua coerenza: si può essere d'accordo oppure no. Ma certamente non si può dire che le sue siamo parole senza senso...». Bocciato, di nuovo, anche il comportamento del governo sul caso Baraldini: «Se è stata presa una decisione che non spettava al governo bisogna che gli italiani e le forze di maggioranza lo sappiano» dice Di Pietro, che nei giorni scorsi era stato bollato come «questurino» da Armando Cossutta. «Intanto i questurini andrebbero rispettati anche dalla sinistra - replica -. E poi io non dico che la Baraldini dovrebbe restare in galera. Il fatto è che qui manca una spiegazione, e qualcuno del governo ce la deve dare. Silvio Baraldini, a questo punto, è una detenuta come tutti gli altri. E ha tutto il diritto, se lo chiederà e se un magistrato riterrà di concederglielo, di uscire prima. Secondo le leggi italiane. Una cosa è più che sicura: se e quanto la Baraldini dovrà restare in carcere dovrà deciderlo la magistratura. Se il governo ha preso impegni di altro tipo, allora si è macchiato di un eccesso di potere. A meno che questo accordo non sia una foglia di fico, dietro alla quale si nasconde la verità. Una verità che dice più o meno così: facciamo pure questo accordo, tanto sappiamo benissimo che noi italiani non lo manterremo, e che voi americani non farete niente comunque». Ig. tib.) «Diciamo no alla desistenza con Rifondazione che offende lo spirito del maggioritario Per noi essere coerenti è più importante che vincere a tutti i costi» |

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