No alla tutela del ministro

No alla tutela del ministro Privacy, le risposte del Garante non rassicurano gli storici No alla tutela del ministro Massimo L. Salvadori IN risposta alle preoccupazioni espresse da storici e studiosi di altre discipline sulla nuova normativa che regola l'accesso agli archivi Stefano Rodotà, Garante per la «privacy», e Ugo De Siervo, membro del suo ufficio, hanno assunto toni perentoriamente rassicuranti. Su questo giornale l'uno ha affermato che non è «il caso di drammatizzare», il secondo, in maniera tranciante, che «gli allarmi» degli studiosi gli «sembrano fuori luogo». Già questi toni mi pare stiano a mostrare quanto quegli allarmi siano motivati. Ciò che più preoccupa è la sicurezza con cui Rodotà e De Siervo spiegano agli studiosi, a giustificazione di una normativa che classifica i documenti in più, meno e non disponibili, determinandone tempi di accesso e non accesso per lunghi decenni, quali siano quelli che possono veramente servire loro e quali no. Vorrei insistere su due punti: il primo attinente alla metodologia storica; il secondo alle autorità preposte a disciplinare l'accesso agli archivi. Primo punto. Chi conduce ricerche nel campo delle scienze storico-sociali sa bene che l'indagine cresce su stessa e matura attraverso la scoperta di nessi che aprìori in moltissimi casi neppure si potevano sospettare; vale a dire che documenti che in un primo tempo apparivano non utili e pertinenti, possono per contro rivelarsi persino fondamentali. Ciò che agli occhi della classificazione di tipo burocratico viene indicato come «strettamente privato» assume un significato del tutto diverso. Tranfaglia, nel suo articolo su La Stampa, ha opportunamente richiamato l'attenzione sul significato dei documenti che toccano la sfera famigliare, la vita sessuale, lo stato di salute e via dicendo, molti dei quali, nella logica della ricostruzione della vita politica e sociale, per così dire, «si rovesciano» da «privati» in «pubblici». Facciamo un esempio. Uno statista o un importante leader di partito si costruisce la sua fortuna politica come paladino di un rigorismo puritano e flagellatore dei vizi pubblici e privati ma nella sua vita personale è corrotto, corruttore e dedito a pratiche sessuali che ne contraddicono del tutto l'immagine presentata all'esterno. Uno studioso che ne ricostruisse la biografia solo sulla base dei documenti che non ne violino la «privacy» farebbe un lavoro di nessun valore storico. Ma Rodotà e De Siervo ci spiegano così si esprime esattamente quest'ultimo - che i documenti «di maggior rilievo per le ricerche storiche» sono quelli di un tipo e non dell'altro. Secondo punto. Che a presiedere alla tutela degli archivi nella nuova normativa resti il ministero degli Interni sia pure con la presenza nella Commissione di un rappresentante del ministero per i Beni e le attività culturali, costituisce il nocciolo della questione. Il ministero degli Interni avrà sempre come scopo prioritario di salvaguardare non già l'interesse della ricerca scientifica, ma interessi di natura politica. Questa la radice degli allarmi degli studiosi. E il pericolo è che la difesa della «privacy»-venga piegata, al di là delle migliori intenzioni, in direzioni censorie, bacchettone e strumentali. La «verità» storica, con tutti i suoi limiti, è sempre vissuta alla luce di finestre il più possibile aperte e non all'ombra di fine stre protette da pesanti tendoni. Il Garante della «privacy» ci assicura che si tratta di falsi timori, esagerazioni, e incom prensioni. Ebbene, come sempre anche nel nostro caso quel che vale è la pratica e non la grammatica. Vedremo. E speria mo che abbiano ragione i garan ti e non gli studiosi «maligni». Btu° suro L'Archivio di Stato di Roma: per la nuova normativa la sua tutela rimane al ministero dell'Interno

Persone citate: De Siervo, Rodotà, Salvadori, Stefano Rodotà, Tranfaglia, Ugo De Siervo

Luoghi citati: Roma