GIUBILEO il genio e la maledizione di Paolo Mieli

GIUBILEO il genio e la maledizione A quattro mesi dall'Anno Santo la discussione politica si sposta sul piano storico-culturale: un libro di Lucetta Scaraffia GIUBILEO il genio e la maledizione Paolo Mieli RA quattro mesi s'inizieranno le celebrazioni dell'Anno Santo. In vista della scadenza, i lavori di riassetto urbano vanno a rilento, mentre hanno già abbondantemente preso fuoco le polveri delle polemiche. Polemiche provocate dalla messa in stato di accusa della città di Roma e della sua dubbia capacità di accogliere, senza esserne sconvolta, centinaia di migliaia di pellegrini. Sulla base di considerazioni che si sono ampliate fino a giungere a una contestazione della legittimità stessa del Giubileo. Adesso, però, la discussione si sta spostando su un terreno più specificamente storico-culturale. E, come accade ogni volta che il dibattito si fa più colto, il fronte - laici irriducibili contro cattolici tradizionalisti - si disarticola e riarticola in modi non del tutto prevedibili. Capita così che persone notoriamente laiche e di sinistra (ammesso che esse stesse accettino per intero questo genere di definizione) entrino in conflitto con il senso comune del proprio campo di appartenenza. E' il caso di Adriano Sofri che qualche settimana fa su Panorama, in margine a una riflessione su un fondamentale libro di Arsenio Frugoni, scritto nel 1950 e ripubblicato ora da Laterza, Il giubileo di Bonifacio Vili, ha sorpreso i suoi lettori spendendo parole di considerazione nei confronti di quel contestatissimo papa Caetani del '300 che Dante ci ha insegnato a spregiare già sui banchi di scuola. E a coloro che polemizzano vivacemente contro il Giubileo dell'anno prossimo, Sofri ha replicato in modo molto netto: «Provo una fortissima simpatia tanto per l'idea del Giubileo quanto per quella del pellegrinaggio». Pellegrinaggio? Che sia detto in senso metaforico? Assolutamente no. Sofri specifica che sta parlando «del pellegrinaggio dei corpi e dei piedi e non solo di quello interiore, né del suo complemento moderno, televisivo e in rete». Ma che senso ha insistere su celebrazioni che devono cadere proprio nell'anno 2000 se, come ha ancora una volta ricordato Alberto Ronchey, neanche le date di riferimento sono certe e l'attuale scansione calendariale è in vigore soltanto dalla riforma gregoriana della fine del '500? «So bene», è la risposta di Sofri, «che il calendario è una convenzione mutevole nel tempo e nello spazio; e che gli anni sono Duemila per noi e non per tante altre genti di questo mondo. Ma perché rinunziare ai segni esteriori che promettono un appuntamento e un cambiamento; la solennità e la commozione di una sorte che ci porta in un punto speciale, proprio a Roma, o a Gerusalemme, proprio nell'anno 2000, proprio noi. La simpatia per questo Papa non si concentra forse nel suo modo di trascinare se stesso e gli altri verso questo appuntamento fatale?». In grande sintonia con queste argomentazioni di Sofri si dipana un bel libro di Lucetta Scaraffia, n Giubileo, che sta per essere 1 nibbi irato dal Mulino. La Scaraffia racconta con apparente semplicità - ma riuscendo a dare un quadro impeccabile dei complicatissimi dibattiti che nei secoli hanno accompagnato questa ricorrenza, come quello tardosecentesco tra «attrizionisti» e «con-Occasper ridisfunesta trizionisti» - la storia dell'istituzione e delle celebrazioni dell'Anno Santo. Partendo dalla preistoria, dal III e II millennio a.C. quando prima in Mesopotamia e poi in Siria furono promulgati periodici editti di remissione che prevedevano un esonero dal pagamento delle tasse. Fu dalla Mesopotamia che il provvedimento passò a Israele dove questo genere di remissione assunse periodicità regolare e carattere legale: il Levitico disponeva che dopo 49 anni («sette volte sette anni») ce ne sarebbe stato uno, il cinquantesimo, di «yobel» - qui compare il nome che indica il montone alla testa del gregge e da cui verrà il termine «giubileo» - in cui sarebbe stata proclamata «la libertà nella terra per tutti i suoi abitanti». Dopodiché nei testi dei Padri della Chiesa troviamo il tema del giubileo «poco presente e sempre con significato metaforico»: finché la cultura cristiana conservò «la tensione escatologica delle origini, cioè la sensazione dell'imminenza del regno di Dio, non ci fu spazio per una ripresa della periodizzazione giubilare». Indulgenze a pagamento Dopo l'anno mille, però, le cose cominciarono a cambiare anche se ancora per qualche tempo il termine giubileo venne usato semplicemente come sinonimo di indulgenza plenaria. All'epoca delle spedizioni in Terrasanta, soprattutto nella predicazione itinerante di san Bernardo in preparazione della seconda crociata, la remissione dei peccati concessa a coloro che partivano si inquadrò nuovamente in una cornice più complessa. Contemporaneamente in Inghilterra nei 1220 fu stabilita una forma cinquantennale di grande perdono in occasione della traslazione delle spoglie di Tommaso Becket a cinquantanni, appunto, dalla morte. Certo, c'erano stati i monaci itineranti irlandesi che già nel V e VI secolo avevano diffuso un sistema penitenziale «a tariffa». E con l'mizio delle Crociate le indulgenze furono offerte dapprima a coloro che andavano a liberare il Santo Sepolcro, poi a coloro che contribuivano economicamente all'impresa, quindi a coloro che partecipavano ad altri tipi di crociata come quella contro gli albigesi, infine a chi partecipava a battaglie contro altri eretici o persino famiglie di nemici del papa come i Colonna. Ma è solo nel 1300 che quel papa controverso di cui s'è detto, Bonifacio Vili, al secolo Benedetto Caetani, constatato un particolare afflusso spontaneo di pellegrini che aveva caratterizzato le prime settimane di quell'anno, il 22 febbraio con ima bolla istituì il giubileo. Giubileo che premiava non già chi in qualche modo contribuiva alle battaglie della Chiesa bensì tutti coloro che venivano a Roma e vi si trattenevano 30 giorni visitando quotidianamente le chiese di San Pietro e San Paolo fuori le mura. Il giubileo secondo Bonifacio Vili avrebbe dovuto esser celebrato in quel 1300 e poi ogni cento anni, all'inizio di ogni secolo. La Scaraffia, come Sofri, rende un grande omaggio a quel papa odiato da Dante. Anche se, con il rigore dello storico, non si esime dal ricordare che quel pontefice aveva «un carattere prepotente, violento», a cui si accompagnava «un odio forsennato nei confronti dei nemici della sua famiglia e una insaziabile avidità di denaro»; che perseguitò gli Spirituali protetti dai suoi rivali, i Colonna, e lasciò languire in prigione Jacopone da Todi; che «altero, duro e intollerante» fu oltretutto il primo papa a usare il proprio stemma familiare come insegna della Chiesa. Ciò non toghe però che l'invenzione del giubileo sia stata, secondo la Scaraffia, «una geniale operazione di finanziamento e di affermazione di potenza della Chiesa». Si obietterà: questa dimensione materiale del giubileo non è proprio quella che fu contestata dai protestanti nel '500 e dai giansenisti nel '700? Sì, lo è. Epperoquelle critiche secondo la Scaraffia non avevano fondamento. La «materialità» del giubileo, afferma la studiosa, va rivalutata per intero: a partire dal «denaro» offerto dai fedeli per «comprarsi» il paradiso e «utilizzato dai papi per ricostruire Roma»; per proseguire con la rappresentazione di «una dimen- sione del sacro attraverso oggetti - le reliquie, le opere d'arte - con cui i fedeli possono venire in contatto»; per concludere con il pellegrinaggio, «pratica religiosa che coinvolge anche il corpo del fedele». Il giubileo è inoltre «una celebrazione finalizzata a imprimere un senso religioso alla scansione del tempo, collegandolo direttamente con il traguardo finale del Giudizio universale, del quale, in un certo senso, il momento giubilare costituisce una anticipazione». Si tratta di un'«occasione straordinaria che, azzerando i peccati, permette di ricominciare da capo, operando un rinnovamento che si ripropone nel tempo, ma rimanendo all'interno di un calendario istituzionale: proprio per questo il giubileo è servito a istituzionalizzare le spinte al rinnovamento totale e al ritorno alle origini che periodicamente hanno attraversato la cultura cristiana». Questa capacità della celebrazione giubilare di assorbire le tensioni escatologiche si rivelerà «un fattore di stabilità importante per la Chiesa cattolica». Tant'è che il mondo protestante, il quale non avrà niente di analogo al giubileo, sarà tormentato da un numero infinitamente maggiore di movimenti millenaristici. Dopo quel 1300 la storia del giubileo fu assai carica di tormenti. Per oltre settantanni, dal 1305 al 1377, la dimora pontificia fu spostata ad Avignone e poi per altri quarantanni il tentativo di riportare la sede a Roma diede origine al grande scisma che tormentò la Chiesa. I pontefici che si susseguirono adattarono con disinvoltura l'intuizione di Bonifacio alle circostanze. Decisero dapprima di celebrare il giubileo anziché allo scadere di ciascun secolo ogni 50 anni. Poi ogni 33 anni. Sempre in concomitanza con tali celebrazioni si ebbero epidemie di peste. Le occasioni di lucro sfuggirono ad ogni controllo. Qualcosa di simile per grandiosità a quel che era stato nel 1300 si ebbe di nuovo soltanto nel 1450 quando papa Niccolò V, con la consulenza di Leon Battista Alberti, apprestò un piano urbanistico per la ricostruzione di Roma. L'afflusso di gente fu enorme. Roma non fu risparmiata né dalla peste, in estate, né, in dicembre, da un terribile incidente sul ponte Sant'Angelo dove tra calpestati e affogati morirono 170 pellegrini. Ma il giubileo nel suo insieme riuscì. Dalla carestia alla ricchezza Dopo di allora, per mettere ordine tra le diverse scansioni, si passò a quella definitiva, venticinquennale, che è in vigore ancora oggi. Per le celebrazioni del 1475 Sisto IV procedette a una nuova ristrutturazione urbanistica. Questa volta giunse un numero minore di pellegrini: Roma fu funestata dalla consueta epidemia di peste e da un'inondazione. Ma la città si arricchì. «Il giubileo di papa Niccolò V», scrisse un cronista di Viterbo, «intrò divizioso e uscì con carestia; e quello di papa Sisto IV intrò con carestia e poi venne divizia per la molta provisione fatta e perché per le guerre venne poca gente». E si arriva così a un altro importantissimo giubileo, quello del 1500, il primo che fu definito Anno Santo. Riconoscerne il significato comporta per la Scaraffia la rivalutazione, dopo quella di Bonifacio Vili, di un altro papa «maledetto»: Alessandro VI, al secolo Rodrigo Borgia. Il Borgia era stato fatto cardinale prima ancora di esser nominato sacerdote ed ebbe quattro figli riconosciuti prima del pontificato e altri quattro o cinque dopo «a cui cercò di assicurare vantaggi e rendite senza alcun ritegno». Uno di questi figli fu Cesare Borgia, a costruire le fortune del quale il pontefice non esitò neanche di fronte al delitto. Quel che in detrazione papa Caetani aveva avuto da Dante, papa Borgia lo ricevette da Savonarola. E la Scaraffia è la prima a riconoscere che «il papato di Alessandro fu oscurato da tutti i più gravi vizi attribuiti alla sede apostolica dai suoi critici: il nepotismo, di cui lo stesso papa era frutto, fu da lui applicato con una tenacia e con una sfrontatezza che non era stata ancora vista sul soglio di Pietro». Ciò detto, a parere della storica è doveroso riconoscere che «l'operato di Alessandro VI come papa non fu del tutto negativo», che fu «un buon amministratore», un «energico sovrano» e «soprattutto un custode geloso dei diritti papali e della fede cattolica». Quanto ai suoi vizi, «in realtà non furono molto più gravi di quelli dei suoi contemporanei anche se in lui risultavano particolarmente ripugnanti dato il suo contesto familiare». Ma va ncidenti sul ponte grini affogati considerato comunque un grandissimo pontefice. Soprattutto per il fatto che ad Alessandro VI si deve l'invenzione del rito dell' «apertura della porta»: una leggenda voleva che nella basilica di San Pietro fosse nascosta una porticina d'oro piccola e stretta e che chi la individuava e la varcava veniva liberato da ogni colpa: Alessandro, individuata una porta poco frequentata sulla facciata della basilica, la fece decorare, poi murare e inaugurò l'anno santo abbattendone il muro. Muro che alla fine del giubileo avrebbe fatto ricostruire perché con la sua distruzione potesse essere dato il via alle cerimonie di 25 anni dopo. Un rito fondamentale, con importanti valenze simboliche, che ha notevolmente arricchito quella «materialità» del giubileo di cui abbiamo detto. Nei tre secoli successivi la storia del giubileo avrebbe conosciuto una fase alta. Pur tra le violenze del sacco di Roma, episodi funesti come il rogo di Giordano Bruno ( 1600), le contestazioni dei luterani e dei giansenisti, si ebbero grandi manifestazioni di vita mondana (1550), esibizione di convertiti come il pronipote di Calvmo, Etienne de la Favergue (1575) o la regina Cristina di Svezia (1675). Fu per disciplinare i pellegrini che nacquero e si svilupparono le confraternite. Fu in occasione di giubilei, ad esempio quello del 1725, che furono edificate importanti opere come la fontana di Trevi e la scalinata di Trinità dei Monti. Venne poi, con la Rivoluzione francese, una lunga stagione di crisi dei giubilei. Nel 1825 ci fu in tono molto minore l'ultimo anno santo della Roma papalina passato alla storia per l'uccisione di due carbonari, Montanari e Targhini, e per il perdono concesso al brigante Gasparone. Dopodiché, fatta l'unita d'Italia, per tutto l'800 di giubileo non si parlò più. Nel 1900 Leone XIII promulgò l'anno santo ancorché «sotto nemica dominazione»; gli anticlericali organizzarono contropellegrinaggi «per visitare le quattro basiliche laiche: Pantheon, Gianicolo, Porta Pia e Campidoglio»; e una grande manifestazione il 20 settembre nell'anniversario della presa di Roma. Modestissime furono anche le celebrazioni in epoca fascista (1925), democristiana (1950) e di centro-sinistra (1975). Si può tranquillamente dire che quello del 2000 sarà il primo vero grande giubileo dopo oltre due secoli. Questo spiega il perché dell'acceso dibattito di cui si è detto. E di discussioni sul valore di questo o quel pontefice che non si avevano da tempo immemorabile. Istituito nel 1300 da Bonifacio Vili, il papa odiato da Dante, che ora da molte parti viene rivalutato Occasione per fare affari, per ridisegnare e ricostruire Roma, ma spesso funestata da gravi tragedie Inondazioni, peste e incidenti come quello del 1450 sul ponte Sant'Angelo: 170 pellegrini morirono calpestati o affogati Una straordinaria «operazione di finanziamento e di affermazione dipotenza della Chiesa» Una statua di Bonifacio Vili, al secolo Benedetto Caetani: altero, duro, avido, ma geniale governante. Il disegno è di Matteo Pericoli. In alto a sinistra Paolo Mieli