Il Brasile dice addio al «vescovo degli oppressi»

Il Brasile dice addio al «vescovo degli oppressi» Novantanni, aveva scelto di vivere in due stanzette di un quartiere popolare della sua diocesi di Recife invece che nello splendido palazzo arcivescovile «perché Cristo è nato povero» Il Brasile dice addio al «vescovo degli oppressi» Morto Helder Càmara, capofila della Teologia della liberazione Mimmo Candito Ci dev'essere un'amara ironia della Storia se la morte, ieri, di don Helmer Càmara coincide in qualche modo con l'ascesa, che in questi giorni pare inarrestabile, del colonnello Chavez in Venezuela. A mettere insieme le due storie non si fa blasfemia: l'America Latina ha una identità comune che va ben oltre il bolivarismo di comodo del neodittatore di Caracas, e si radica su una cultura antropologica, e su una struttura sociale, che assorbono nella geografia globalmente unitaria anche le evidenti diversità nazionali. E quando andavi a incontrarlo, don Càmara, nelle sue due stanzette povere di ma Henrique Dias, con il piccolo tavolo di legno e la brocca dell'acqua, la «missione di fede» della quale ti parlava non era affatto un progetto limitato al Brasile: «L'America Latina è il continente dove lo sfruttamento dell'uomo presenta forse il più alto tasso di disuguaglianza. E qui non sempre la voce di Dio ha saputo levarsi alta e chiara a denunciarlo». Don Càmara era piccolo, curvo, grigio, e aveva la faccia di un povero, quelle facce segnate che sembrano portarsi addosso la soffe¬ renza e i patimenti del mondo degl i umili ma non perdono mai il profilo di una dignità fuori da ogni ceto. Portava al collo una grande croce di legno, che in anni lontani avevo visto appesa a un filo di ferro e che ora, più di recente, lui teneva invece al collo con un pezzo di spago. Era un vescovo, don Càmara, e gli sarebbe spettato il grande palazzo arcivescovile di Recife, architetture barocche, splendidi saloni con l'impiantito di legno, vecchie pitture di tele seicentesche appese alle pareti; ma lui aveva scelto le due stanzette che stavano dietro la chiesa di quel quartiere popolare, «perché Cristo è nato povero, ha voluto nascere povero», diceva. E non aggiungeva altro. Questo «vescovo rosso» fu, con Leonardo Boff e con Camilo Torres, l'interprete più rappresentati¬ vo di quel terremoto che tra gli Anni 60 e 70 sconvolse la Chiesa latinoamericana - uno dei pilastri storici del potere e della stratificazione sociale, dal Rio Bravo alla Terra del Fuoco - e pretese di rompere le antiche solidarietà di classe tra la gerarchia ecclesiale e le oligarchie latifondiste che si erano fatte eredi naturali della potenza coloniale. La chiamarono «teologia della liberazione», sulla spinta del Concilio Vaticano II e, in loco, della Conferenza Episcopale di Mede 11 in : identificava il peccato con le ingiustizie sociali, e affermava il dintto degli oppressi di resistere alla violenza «istituzionalizzata» degli Stati dittatoriali. Erano gli anni del «fochismo», Camilo Torres si fece prete-guerrigliero. «Il cattolico che non è rivoluzionario vive in peccato mortale», diceva guardando alla sua terra dominata dalla dittatura. Papa Wojtyla riportò l'ordine. La «Teologia della liberazione» fu sconfessata, i suoi preti ribelli finirono muti, dispersi tra le foreste e le miserie di un continente di poveri. E le Comunità di base, che avevano costituito la stmttura più efficace di penetrazione del messaggio evangelico nelle periferie disperate di Rio, Caracas, Managua, Santiago, Bogotà, si spensero lentamente trasformandosi in microstrutture di lavoro politico. La normalizzazione rasserenava il Vaticano e il Dipartimento di Stato, il «containment» del comunismo tornava efficace. Il «vescovo rosso» continuò a vivere nelle sue due stanzette di ma Dfas e a ricevervi i poveri di Recife, dividendo con loro il suo pane e le sue elemosine. Quando lo andavi a intervistare, con quella sua gran croce di legno al collo, lui parlava come se comunque la sua missione non fosse mai cambiata; il Vaticano era lontano, e invece lì, accanto a lui, c'erano sempre i suoi morti di fame. In America Latina finì intanto il tempo delle dittature, e cominciò lentamente il tempo dello sviluppo: lo hanno chiamato neoliberismo, ha imposto i processi inevitabili della modernizzazione con un costo sociale molto alto, che ancora non è stato nemmeno pagato interamente. Delle distorsioni di quei processi neoliberisti è frutto la nuova ondata di dieta-blanda (una dietadura in guanti bianchi) che pare allungarsi su molte vecchie nazioni latinoamericane: il Venezuela di Chavez, ma anche il Perù, la Bolivia, e poi le ombre inquiete che assediano la vita parlamentare del Nicaragua, dell'Ecuador, della stessa Argentina (Cuba va fuori catalogo, si sa). Il neo-peronismo pare portare indietro il tempo, proprio mentre don Càmara se r.e va, tradito dai suoi 90 anni, da una bronchite curata male, ma forse, chissà, anche dall'angoscia di questo lento scivolare di un continente verso tentazioni autocratiche che sembravano inconiugabili nell'era della globalizzazione. Diceva: «In America Latina non sempre la voce di Dio ha denunciato le disuguaglianze» Dom Helder Càmara, arcivescovo di Olinda e Recife, saluta il Papa durante la visita pastorale del 1997 in Brasile