« Dividere il Kosovo? Una catastrofe » di Maria Grazia Bruzzone

« Dividere il Kosovo? Una catastrofe » IL RAPPRESENTANTE DELL'ONU A ROMA « Dividere il Kosovo? Una catastrofe » De Mistura: dieci e lode alla missione Arcobaleno intervista Maria Grazia Bruzzone ROMA DIRETTORE del contro informativo dello Nazioni Unito a Roma, Staffan De Mistura da 2!) anni si occupa di operazioni di urgenza in zone di conflitto corno Vietnam, Sudan; Etiopia, Ruanda, Afganistan, Kosovo. Un'esperienza che ne ha fatto uno degli uomini di punta di Kofi Armari. Signor De Mistura, la guerra in Kosovo è finita, ma gli scontri fra kosovari albanesi e serbi continuano. «K' vero. Questo ci fa dire che la pace multietnica non ò stata raggiunta. Ma anche che, se l'Uck non capisce tutti i messaggi che gli abbiamo dato, perchè mettano da parte la vendetta o l'idea di avere il Kosovo tutto per loro, la comunità internazionale finirà per dimenticarli: come in Afganistan e in Somalia». La cantonizzazione proposta dall'amministratore Onu del Kosovo, Bernard Kouchner, sarebbe una soluzione? «Kouchner non no ha parlato in prima persona ma solo citando una proposta dei serbi locali. Ma non è una soluzione proponibile, perchè significherebbe una ci- priolizzazione del Kosovo. Creerebbe un nuovo muro di Berlino, premessa per una nuova guerra fredda. E darebbe alla componente sorba l'opportunità di dire "adesso proteggiamo il nostro territorio". Gli altri farebbero altrettanto, col risultato di un conflitto permanente. Che ci siano dei luoghi dove intanto i sorbi debbano essere protetti, questo è ammissibile. Ma soprattutto, ci vogliono tempo o pazienza». Pazienza, sì. Però tanti profughi continuano a partire. E a venire in Italia. Come i Rom. «Ci sono tanti tipi di profughi ed è proprio questo il punto difficile di un dopo-guerra che, come in tanti altri analoghi, vedo continuare la violenza. Qui avviene in modo eclatante da parte dell'Uck nei confronti dei Rom e della popolazione serba rimasta. Sono questi che stanno partendo». Gli altri profughi invece? «I kosovari albanesi sono quasi tutti già tornati. Ora però devono affrontare l'inverno. E non potendo costruire in breve 47 mila case, quel che stiamo facendo è aiutarli a preparare almeno una stanza in ogni casa con tutto il necessario». Ultimamente la Missione Arcobaleno è stata oggetto di critiche: container di aiuti inutilizzati o consegnati agli albanesi anziché ai kosovari, provincialismo, mancanza di coordinamento. «Il commissariato dei rifugiati dell'Onu, è stato a suo tempo criticato dai responsabili dell'operazione Arcobaleno. Potrei tacere. Invece vorrei fare alcune considerazioni per chiarire la questione in termini obiettivi». Cominci dalla prima. «Fino all'ultimo noi tutti abbiamo pensato che la crisi si potesse risolvere con un compromesso. E anche quando scoppiò la guerra lo stesso Clinton lo ha riconosciu¬ to - credevamo che sarebbe durata non più di 3-4 giorni. E non prevedevano più di 20 rnilarifugiati, profughi dalle zone di frontiera. Nessuno sapeva che Milosevic avrebbe spietatamente attuato una strategia di deportazione massiccia, "Operazione ferro di cavallo", che portò fuori dal Kosovo un milione di persone. Questo per spiegare come mai l'Acnur all'inizio si è trovato del tutto impreparato». Che c'entra questo con la missione Arcobaleno? «C'entra eccome. Le emergenze umane hanno un momento di intervento immediato che si chia- ma "massa critica", dove il timing è fondamentale. In quei primLterribili giorni di profughi ne arrivavano 20-30 mila al giorno. Ebbene, oggi sappiamo che la strategia di destabilizzazione attuata da Milosevic sarebbe stata molto più efficace, con freddo fame, epidemie, morti, che avrebbero provocato disordini e panico in Albania. Se non fosse stato per due miracoli che dettero ossigeno alla comunità internazionale e anche all'Acnur, evitando ui catastrofe umanitaria». A quali miracoli allude? «L'operazione Arcobaleno e l'accoglienza da parte delle famiglie albanesi». Perchè li chiama miracoli? «L'operazione Arcobaleno riuscì in quel momento a cumulare le sinergie del sostegno popolare, di un volontariato attivissimo e di un'esperienza organizzativa che è quella della Protezione civile in Italia. Rapidamente, gli italiani si posizionarono nella zona a più alto rischio, quella di Kukes. Oggi lo stiamo studiando come un caso esemplare. Poi c'è stato miracolo albanese: 150 mila persone accolte da albanesi poveri, che meritano un aiuto per averci dato una mano, in modo inaspettato e straordinario». «La cantonizzazione sarebbe la premessa di una guerra infinita» «La missione italiana aKukesoggièpernoi un esempio da studiare» Staffa» De Mistura