«Riconciliatevi col digiuno»
«Riconciliatevi col digiuno» Ma il nuovo Diritto Canonico è più elastico: basta una preghiera «Riconciliatevi col digiuno» Domenico Del Rio Che cosa avrebbe dovuto fare, secondo le antiche regole, l'Arciprete della basilica di San Pietro, cardinale Virgilio Noè, se avesse dovuto «riconsacrare» il grande tempio vaticano, dopo il caso di suicidio avvenuto presso l'altare della basilica? Avrebbe dovuto digiunare il giorno prima e poi cospargere di acqua santa l'esterno e l'interno del sacro edificio («Ci vorranno barili di acqua santa per ribenedirlo», disse Pio IX quando i Savoia misero piede, profanandolo, al Quirinale, il quale, essendo dimora di Papi, era certamente benedetto). Ma si sa (meglio, lo sa il Codice di Diritto Canonico) che per «riconsacrare» una chiesa occorre che questa sia «sconsacrata». E la «sconsacrazione», sempre secondo il diritto canonico, avviene soltanto in due modi: primo, se l'edificio sacro viene distrutto; secondo, se viene destinato perennemente ad usi profani. In tutti gli altri casi, si tratta non di «sconsacrazione» ma di «profanazione». E, dunque, non si «riconsacra», ma, sempre secondo il parlar canonico, si «riconcilia». Si chiama «riconciliazione», infatti, la cerimonia di benedizione che si usa per una chiesa «profanata» o «violata» o «contaminata nel suo carattere sacro» da un atto considerato grave. Questi atti erano accuratamente enumerati nel vecchio Codice di diritto canonico. Eccone l'elenco: «Omicidio, al quale viene equiparato il suicidio; ingiurioso e rilevante spargimento di sangue (a meno che 1 omicidio o il ferimento avvenga per legittima difesa); usi empi e sordidi; sepoltura di un infedele o di uno scomunicato dopo la sentenza di condanna». In tale chiesa «contaminata» con uno di questi modi non si potevano celebrare gli uffici divini, amministrare i sacramenti, seppellire i morti, prima che fosse avvenuta la «riconciliazione», secondo una cerimonia minuziosa contenuta nei libri liturgici. «Riconciliata» sarà stata la cattedrale di Canterbury quando, nel 1170, vi fu massacrato l'arcivescovo Tommaso Beckett per ordine del re inglese Enrico II, «Riconciliata» sarà stata la cappella delle suore, a San Salvador, dove, il 24 marzo 1980, durante la celebrazione della messa, fu ucciso da una fucilata l'arcivescovo Oscar Romero. Ora, però, le cose si sono un po' ammorbidite. Dice, infatti, il nuovo Codice di diritto canonico, al canone 1211: «I luoghi sacri sono profanati se in essi si compiono con scandalo azioni gravemente ingiuriose, che a giudizio del vescovo sono tanto gravi e contrarie alla santità del luogo da non essere più lecito esercitare in essi il culto finché l'ingiuria non venga riparata con rito penitenziale, a norma dei libri liturgici». Come si vede, dalle stesse parole del canone, si può lasciare aperta la porta a una comprensione per una vicenda, come quella del suicida in San Pietro, che può essere considerata semplicemente dolorosa. Può bastare, infatti, come è già stato fatto, un semplice rito penitenziale, una preghiera, per dare una «riconciliazione» alla basilica vaticana. In fondo non si vede che ci sia stato «scandalo» né intenzione da parte del suicida di violare la santità del luogo. Forse, riandando indietro a tempi di gaudio mondano alla corte pontificia, ci sarebbe stato anche qualche altro consistente motivo di «riconciliare» la Basilica vaticana. Il fatto, per esempio, che Giulia Farnese, detta la Bella, amante di papa Borgia, sia andata a finire, nuda, a simboleggiare la Giustizia nel momumento eretto a Paolo III da Guglielmo Della Porta in San Pietro. Narrano le cronache che turisti vogliosi si rinchiudessero di notte nella basilica per fare atti «empi e sordidi» sul corpo di lei. Ora la bella Giulia è ancora lì, in San Pietro, col suo splendido e altero viso. Anche il suo corpo nudo di marmo è lì, ma nel Seicento gli hanno gettato addosso un lenzuolo di bronzo. Il gesto del pensionato viene messo sullo stesso piano della sepoltura di uno scomunicato In passato altri fatti di sangue: gli omicidi di Beckett e di Romero Il caso di Giulia Farnese
Luoghi citati: San Salvador
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