L'onore perduto del vecchio «sigarettaro» di Francesco La Licata
L'onore perduto del vecchio «sigarettaro» LA METAMORFOSI DEL «RE DELLE BIONDE», DA GALANTUOMO A DELINQUENTE ARROGANTE L'onore perduto del vecchio «sigarettaro» Un tempo avevano la benevolenza degli investigatori analisi Francesco La Licata ROMA SPANANO, corrono, travolgono, gettano in acqua i bambini per frenare la corsa degli inseguitori. Insomma, si comportano come «normali» delinquenti, arroganti, avidi, capaci di violenze che non dovrebbero trovar posto nella loro tradizione. 1 contrabbandieri di «bionde», infatti, a dar retta ad una sorta di «mistica» della bassa criminalità, raramente hanno dato problemi dal punto di vista dell'ordine pubblico. Tanto da essere riusciti, nel tempo, ad accattivarsi vere (j proprie simpatie persino negli ambienti degli investigatori. Ovviamente non tra i finanzieri, che sono i nemici di sempre. Con quelli i contrabbandieri non sono andati mai d'accordo, ma con le altre «divise» qualche volta c'è stato dialogo. Questori, comandanti dei carabinieri hanno spesso gioito - in silenzio, naturalmente - del fatto che i giovani disoccupati di Napoli o di Palermo vendessero le loro «Marlboro» e «Pali Mail», invece di andare a caccia di turisti da scippare. Insomma, il contrabbandiere ha potuto godere di una certa indulgenza, fino a riuscire ad accreditarsi come «povero sfortunato» che - infatti - si fa chiamare «sigarettaro» quasi a certificare che il suo non è poi un mestiere così illegale. E, come si sa. la benevolenza crea pessimi miti. Ci sono stati, nella storia criminale del Meridione d'Italia, personaggi più che discutibili eppure «simpatici» perché ammantati di falsa umanità. Il «business» delle sigarette di contrabbando, oggi concentrato più in Puglia e nelle mani di poche famiglie senza legge, è nato e prosperato a Napoli e a Palermo. In queste città sono fiorite autentiche leggende, favorite anche da una produzione di letteratura nazionalpopolare che vede al centro il «guappo» buono alla Mario Merola, uo¬ mo di sani principi che l'ingiustizia della vita relega ad un'esistenza sul filo del codice penale. Ma non si tratta di personaggi irreali, sono sagome copiate dalla realtà e ingigantite dalla retorica. Don Masino Spadaro oggi sta in carcere, condannato a 29 anni. E' ormai anziano e stanco. E' stato un autentico «ras» delle sigarette. Lo chiamavano il re della Kalsa e lui non nascondeva il suo delirio, presentandosi come «la Fiat di Palermo». «Io - diceva - dò da mangiare a migliaia di famiglie, praticamente a tutte quelle che non sono andate a lavorare a Torino». E che tante persone dipendessero da lui, era proprio vero. Spadaro è un mafioso, ed è forse questa «particolarità» che lo ha finito. Quando Cosa Nostra scoprì l'eroina, don Masino - che disponeva delle strutture basilari per il trasporto via mare e via terra - non potè sottrarsi al miraggio del facile guadagno. Ma di lui i palermitani preferiscono ricordare l'origine, quando predicava la non violenza e il «lavoro per tutti». E così, se arrivava la Finanza il sigarettaro «mollava» il carico e non muoveva dito. Figurarsi se allora era pensabile rispondere al fuoco dei finanzieri. Una volta don Masino fu sorpreso in mare, davanti al porticciolo del Grand Hotel di Villa Igiea. Come da regola, abbandonò la barca e si gettò in acqua. Il comandante Oliva, conoscendo il tipo, si precipitò in albergo per catturarlo. Lo trovò al bar, i vestiti zuppi e attaccati addosso ma con un impeccabile cocktail Martini in mano. «Spadaro, che fai?», gli chiese il colonnello. E lui, freddo: «Comandante sto gustando un drink. Ne faccio preparare uno anche per lei?». Così si combàtteva la guerra a di dare miglie olenza» coi finanzieri, che non erano certamente indulgenti. Un'altra volta Oliva lo fermò e gli chiese di aprire il cofano dell'auto. Don Masino cercò in ogni modo di eludere l'invito, giurando, spergiurando ed offrendo la parola d'onore che non aveva nulla da nascondere. Ma l'ufficiale fu irremovibile e Spadaro costretto ad aprire il cofano che, ovviamente, era strapieno di sigarette di contrabbando. «E queste?», chiese il finanziere. Don Masino non si perse d'animo, finse una enorme sorpresa e commentò ad alta voce: «Minchia comandante. Dove mette mano lei spuntano sigarette». La stessa strategia adottavano i suoi uomini. E così «Paluzzu», sorpreso di notte sulla spiaggia di Trabia, seduto su una cassa di «Marlboro», si giustificò in questo modo: «Stavo passeggiando, mi sono stancato e mi sono seduto. Come facevo al buio a vedere che erano sigarette?». Raramente finivano in galera, ma le multe - salatissime - quelle non le evitavano. Perciò se non potevano pagare si aprivano le porte dell'Ucciardone. Era l'esordio dell'industrializzazione di Cosa Nostra. Coi soldi delle sigarette la mafia sarebbe passata alla droga, all'edilizia e al traffico d'armi. Per questo Giovanni Falcone non si lasciò intenerire dal mito del contrabbandiere buono e sottolineò che, quello dei «sigarettari», era un sistema per reperire soldi che la mafia «poi investe in altri affari». E infatti così accadde. Edilizia, ristoranti, automobili, negozi di abbigliamento. La «Palermo felicissima» degli Anni 70 e 80. Quando arrestarono Don Masino Spadaro, gli trovarono un numero spropositato di indumenti di cachemire. Al giudice, che gli chiedeva spiegazioni, disse: «Dottore, che ci posso fare se mi piace il cachemire. E' leggero e tiene caldo. Che è un reato?». Spadaro era il detentore del- l'alleanza coi «napoletani». Erano loro i «maestri», con gli «scafi blu» tanto veloci da soppiantare i finanzieri. Li chiamavano i «luciani» perché stavano a Santa Lucia. Il loro «lavoro» consisteva nel raggiungere la «nave madre» al largo, caricare gli scafi e portare le «bionde» a terra dove venivano «distribuite» al dettaglio. Prima di partire in missione, bisognava prendere il «bigliettino» o la mezza banconota, cioè il segno di riconoscimento senza il quale dalla «nave madre» non neppure una cicca arrivava Dove si trovava la mezza banconota? Molto spesso nelle sezioni di partito dei vicoli di Napoli. Il «re delle bionde» era Michele Zaza, detto «'o pazzo» oppure «cuore matto» per via delle frequenti extrasistole che, alla fine, lo hanno ucciso davvero. Era «guappo», Zaza. E non esitò a fare la guerra a sono guappo rola Raffaele Cutolo, «'o professore» che pretendeva la tangente su ogni cassa di sigarette. Per non morire, si alleò coi siciliani. Brava gente, ma un po' permalosi e un tantino prepotenti. Quando nel traffico entrò Gerlando Alberti, palermitano della Zisa, si intensificarono episodi inquietanti. Come per esempio le aggressioni e le rapine ai sigarettari napoletani che avevano appena ricevuto un carico dai siciliani. Per riportare l'ordine, dovettero inventarsi una sorta di pace sancita da Nuvoletta e dai Greco di Croceverde Giardini. Ma ormai il peggio era arrivato e il «mestiere» si era definitivamente imbarbarito. Divenivano personaggi quasi irreali le donne siciliane dedite al contrabbando di sale. Per sfuggire al monopolio, lo facevano uscire dall'isola nascondendolo sotto le ampie gonne nere. Prendevano il «fer ribotto» e «scaricavano» a Villa San Giovanni. Sembrano cose di mille anni fa, ma accadeva no solo qualche anno prima dello sbarco dell'uomo sulla luna. Don Masino si vantava di dare lavoro a migliaia di famiglie e predicava la «non-violenza» A Napoli e a Palermo sono fiorite leggende sul guappo buono alla Mario Merola LE VIE DEL RACKET
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