A UN PASSO DALLA VITTORIA SUL TERRORE

A UN PASSO DALLA VITTORIA SUL TERRORE A UN PASSO DALLA VITTORIA SUL TERRORE Domenico Quirico li ULTIMO vero «emiro» lo hanno ucciso tre anni fa: Djamel Zitouni, alias Abou Abderrahman Amine, era un diabolico alchimista del ten-ore. Aveva firmato il clamoroso sequestro dell'Airbus francese ad Algeri nel dicembre del 1994 e la strage, nel' 96, di sette monaci francesi. Di lui tutto era misterioso, perfino il volto, dal momento che secondo molti le foto segnaletiche distribuì e dalle forze di sicurezza algerine in realtà erano quella di suo fratello Mustafà. E' stato l'ultimo a tenere in mano i frammenti dei Gruppi islamici armati, manovali di un terrorismo che ha corso il rischio di asfissiare l'Algeria nella sua nebbia di massacri. E' stato ucciso, ha comunicato il Già, da «eretici rinnegati», formula dietro cui si possono intravedere i greppi di autodifesa creati dal governo o le braci di una delle innumerevoli faide interne che hanno squassato il braccio armato islamista. Tre anni fa la mappa delle zone del Paese infettane dalla guerriglia era una enorma macchia nera. Oggi i santuari dei Già sono pochi coriandoli distribuiti tra la regione di Blida e Ain Defla, a Ovest della capitale, e nel Jijel kabilo. I vecchi capi storici, eredi di un progetto politico-religioso convertito in violenza, sono stati tutti eliminati. Restano un centinaio, forse duecento cellule fonnate ciascuna da poche decine di miliziani che cercano di sopravvivere. La svolta politica del presidente Bouteflika è la conseguenza anche di questa vittoria militare, ancora fragile ma rassodata da un anno di successi. Le schegge dei Già sono ancora in grado di colpire sanguinosamente, certo, ma per la prima volta la definizione di «terrorismo residuo» con cui i loro massacri vengono liquidati nei documenti dell'esercito algerino appare come verità e non come propaganda. I due ultimi capi, Antar Zouabri e Hassan Hattab, sono figure scolorite impegnate più in sanguinose faide interne che in una strategia. Le armi sono poche, primitive, gli esplosivi usati negli ultimi attentati che provengono da furti in depositi di materiale edilizio e sono innescati con miccie costruite artigianalmente. I contatti con la gigantesca retrovia fondamentalista,in Europa e in Africa, che ha sostenuto in questi anni l'assalto allo stato algerino, sono stati tagliati; il Sudan, grande vecchio del terrorismo imternazionale, sembra rassegnato a cercare la normalità dei rapporti con l'Occidente, e anche i finanziamenti del miliardario terrorista Bin Laden appartengono solo alla mitologia dell'internazionale islamica. L'esercito algerino ha copiato la controguerriglia francese: ha capito clie la guerra partita da Algeri doveva essere vinta ad Algeri. La capitale, con ogni mezzo, anche cruelli più brutali, è stata riconquistata, disinfettata quartiere per quartiere. Poi è stata la volta della grande periferia, slabbrata e miserabile, dove i ribelli hanno come alleata la disperazione della gente. Ma la ritirata dei Già è stata soprattutto il frutto delle contraddizioni del loro progetto politico militare. Il disegno, semplice e brutale, era di separare attraverso la violenza la società algerina, dividere i puri dagli eretici: un solco incolmabile segnato dalla complicità e dalla vendetta che doveva svuotare lo Stato di ogni legitimità e di ogni forza. La violenza veniva legittimata dal risultato finale, anche la delinquenza comune poteva essere utilizzata senza rimorsi. Come d'altra parte aveva fatto la generazione della guerra di liberazione di cui i fondamentalisti sostenevano di essere i legittimi continuatori. Ma la violenza usata al posto della strategia ha generato invece il rifiuto degli algerini, perfino degli islamici che avevano votato il vecchio Fis e il suo progetto di Stato etico. Ma la partita è ancora aperta. Bouteflika ha annunciato di voler colpire anche la corruzione e le zone grigie dello Stato. Era u progetto coraggioso di un suo predecessore, Boudiaf. E' stato assassinato.

Luoghi citati: Africa, Algeri, Algeria, Europa, Sudan