Con il cuore in gola allo stadio di Wembley

Con il cuore in gola allo stadio di Wembley Lo scrittore racconta una partita tra il suo Tottenham e il Leicester, in dieci contro undici per colpa di un arbitro «baro» Con il cuore in gola allo stadio di Wembley VISTI sulla strada che portava alla partita: un uomo passa davanti ad un pub poco distante dallo stadio, osservando con una smorfia di disgusto il marciapiede ricoperto da uno strato di bicchieri di plastica e lattine di birra vuoto. «Ecco perché in America non prenderà inai piede» dice con una punta di vergogna nella voce. Un secondo uomo gli fa eco: «Per non parlare del mangiare: solo pasticci di carne e fottuti hamburger». Il primo uomo scuote la tosta continuando a guardare i rifiuti e aggiunge: «Gli Americani non lascerebbero mai questo casino» sospira, «non potrebbero sopportarlo». Passa un terzo uomo, che riconosci; il primo andandogli incontro festoso: «Ehi, sei come la merda di cane, ti si trova dappertutto!» I tre poi, si allontano allegramente in direziono di Wembley. All'interno dello stadio, il campo ora ricoperto da teli su cui erano posati due giganteschi palloni. Quando le squadre entrarono in campo, qualcuno liberi) nell'aria qualche centinaio di palloncini bianchi e azzurri, abitudine evidentemente desunta dall'attenta osservazione del modo con cui gli americani organizzano le occasioni sportive. Bisognava proprio essere fatti di pietra per non percepire la diffusa eccitazione di trovarsi tutti insieme a fronteggiare se non il mondo intero, almeno la squadra avversaria. Da una parte all'altra del grande, vecchio stadio si levarono, ondeggianti, cori o canzoni. L'anno successivo, Wembley sarebbe stato demolito per far posto ad un superstadio da terzo millennio. Era la festa d'addio di una vecchia gentildonna. La partita ebbo inizio e fu subito evidente che non avrebbe fatto epoca: il Leicester sembrava una squadra di seconda categoria e gli Spur, nonostante avessero imposto il loro ritmo, non ispiravano alcuna fiducia. Al ventunesimo minuto, Sol Campbell, capitano e difensore di punta, mancò completamente un contrasto in area di rigore e il Leicester non segno per un soffio. Avevo il cuore in gola, ma Ginola mi regalò attimi di gioia, quando corso in profondità .seminando tre giocatori del Leicester, e controllò la palla per una fraziono di secondo, stoppando al volo di esterno destro un traversone, che risolse con un abile passaggio, repentino e pericoloso, Nel primo tempo non ci furono goal ma in compenso, durante il secondo si consumò un dramma. Al sessantatreesimo minuto, Justin Edimburgh del Tottenham fu brutalmente atterrato da un biondino, Robbie Savago del Leicester. Irritato dalla rozzezza del tackle, Edinburgh allungò una mano e colpì Savage sulla testa. Una massa di capelli biondi vibrò sotto il colpo e, dopo una pausa assurdamente lunga, Savage simuli) di essere gravemonte ferito: si lanciò all'indiotro e crollò a terra, contorcendosi dal dolore. In altre parole, si ora tuffato. L'arbitro, che si era fatto ingannare, ostrasse immediatamente il cartellino rosso por Edinburgh, cosa che implica non solo l'espulsione del giocatore dalla partita, ma anche l'impossibilità della sua sostituzione. Perciò adesso, con l'espulsione di Edinburgh, eravamo dieci contro undici. I tifosi cantavano e fischiavano: «Baro! Baro!». Il boato ili trentacinquemila persone che urlavano era mostruoso, tonificante, ma in cuor nostro temevamo di essorci fatti la giornata, anche perché i minuti successivi a quell'azione, in cui il Leicester si proiettava pericolosamente all'attacco, sembrarono giustificare le nostro paure. Il Leicester in effetti stava dominando la partita, ma lentamente il Tottenham riprese confidenza. Il difensore destro Stephen Carr cominciò a correre sempre più in profondità e anche Darren Anderton (finalmente in buona salute, dopo » suoi innumerevoli problemi che gli avevano fatto meritare il soprannome di «cartella clinica»), stava incornili- ciando a giocare bene, con la sua tipica falcata e i suoi pericolosi cross. Perfino Ginola sembrava tranquillo, mentre cercava di fare in modo che due o addirittura tre uomini del Leicester gli stessero addosso. Questo significava che gli Spur stavano incominciando a comportarsi come se avessero non un uomo in meno, ma uno in più. I tifosi, presero a incitare la squadra con il coro «Glory glory allelujah». Nel frattempo, Savage del Leicester, innervosito dalle urla di disapprovazione che riempivano lo stadio ogni volta che toccava palla, si era nuovamente un po' compromesso con un comportamento violento, ma se l'era cavata. Mancavano cinque minuti alla fine. Se allo scadere del novantesimo minuto il punteggio non fosse cambiato, ci sarebbe stata un'altra mezz'ora di gioco; in caso di ulteriore parità, la partita sarebbe stata decisa ai calci di rigore. (I tifosi odiano le partite che finiscono ai calci di rigore). A quattro minuti dalla fine dei tempi regolamentari Ian Walker, portiere del Tottenham, si lanciò per raccogliere una palla vagante e scivolò, perdendo il controllo. Sorprendentemente, nonostante Tony Cottee del Leicester si fosse precipitato sulla palla per ^dirizzarla verso la porta avversaria sguarnita, in area non c'era un solo giocatore del Leicester pronto a buttarla in rete. Dopo il terribile errore del suo portiere, il Tottenham aveva scampato il pericolo. All'ultimo minuto, un fulmine a ciel sereno. Il Leicester, che contava sui tempi supplementari, si fece cogliere impreparato da un insidioso passaggio a centro campo tra Les Ferdinand e Steffen Iversen, che era scattato sulla destra, prima di chiunque altro. Iversen si avvicinò alla porta e tirò. Non fu un gran tiro, anzi, era piuttosto debole, ma era in rete. In qualche modo, il portiere americano Kasey Keller si fece sfuggire la palla, amaro boccone che l allenatore Allan Nielsen dovette trangugiare. Boom! 0, come avrebbero detto i commentatori della Univision, Goooooooooal ! ! ! ! La partita terminò l'istante successivo, con la vittoria del Tottenham. Ci furono festeggiamenti (il Leicester ricevette la medaglia di consolazione e gli Spur quella della vittoria, oltre naturalmente alla Coppa) e cori: «E puoi star sicuro che, che, che di meglio non ce n'è, n'è». La bizzarra Coppa Worthington a tre manici fu amorosamente baciata da ciascun giocatore e passò di mano in mano. In genere, nel bel mezzo di una vittoria, i giocatori smettono la loro aria da superstar ricche e viziate per assumere invece quell'aria innocente da giovani atleti entusiasti, consci del fatto che stanno vivendo uno dei momenti più importanti della loro vita. Difatti, la qualità del gioco non è importante, quello che conta è il risultato. George Graham ora è noto per essere un allenatore di squadre «da classifica», quelle cioè da cui è possibile cavar fuori quello di cui hanno bisogno, i punti, senza l'eccessiva preoccupazione di far fare loro un gioco che sia anche bello da vedere. Non ricordo l'ultima volta che è stata usata questa espressione per gli Spur: il fatto è che è sempre stata ritenuta adatta all'Arsenal. Il «noioso Arsenal», per la sua abitudine a rubare le partite in questo modo, veniva anche chiamato il «fortunato Arsenal». Adesso chi era diventato altrettanto noioso e fortunato? Mentre lasciavo il campo, stupidamente raggiante, venni riconosciuto da un tifoso degli Spur che mi salutò allegramente: «E' la benedizione di Dio, Salman!» gridò. Io risposi al suo saluto ma non gli dissi quello che avrei voluto: «No, amico, Dio non gioca nella nostra squadra. D'altronde, non abbiamo bisogno di lui, visto che abbiamo già George Graham e David Ginola. Dio non ci serve, quando lasciamo Wembley da vincitori». (3 Fine Traduzione di Chiara Simonetti) All'ultimo minuto Iversen si avvicinò alla porta e tirò. Non un gran tiro, anzi piuttosto debole, ma era in rete. Il portiere avversario Kelsen si fece sfuggire la palla: gooooal! ! ! LEZIONI AMERICANE Football club di Salman Rusdhie Lo stadio di Wembley L'allenatore George Graham: per Rusdhie, un mago del calcio

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