Un mese senza musica
Un mese senza musica Discoteche chiuse per lutto, concessione all'Islam Un mese senza musica Fiamma Nirenstein Si pensa a volte che il silenzio della morte, dei morti della Turchia il cui numero, si stima, potrebbe giungere iino a 40.000, debba esser,e denso e totale. La tragedia è senza pari nell'intera storia turca, e come dice il ministre Sukru Gurel «al di là di ogni immaginazione». E tuttavia dalle rovine proviene senza tregua anche il regolare respiro tragico della storia e della politica di questo Paese, di cui troppo spesso siamo stati più pronti a giudicare le pecche che a percepire i problemi. Un'ordinanza governativa ieri ha ordinato ai bar e ai locali notturni, pena la chiusura, che in nessun caso si oda nelle loro stanze musica. Due giorni fa il primo ministro Bulent Ecevit si era curato di ricordare che la guerra contro le formazioni di Ocalan sarebbe proseguita, se del caso. Ambedue queste mosse politiche suonano particolarmente penose nel mezzo della tragedia. Sembra plausibile che il lungo e severo divieto di far musica sia, oltre che un ragionevole atto di dolore di fronte a tanta strage, anche un modo di onorare, nella Turchia che si sforza di essere un Paese laico abitato da musulmani (e non ci sarebbe nessuna dicotomia teoricamente: anche l'Italia è un Paese laico abitato da cristiani), la severa tradizione della religione della grande maggioranza; e anche certo di tenerne buoni gli integralisti che non mancano e che sono sempre in guerra contro la scelta laica del governo. La minaccia di chiudere, addirittura, i locali riporta al pugno di ferro che la Turchia esercita fin dai tempi di Kernal Ataturk con grandi e frequenti violazioni dei diritti civili, ma all'interno di uno scontro reale e anche disperato fra la scelta occidentale e la risacca autocratica e confessionale mediorientale. E anche in un momento come questo il richiamo di Ecevit allo scontro con i curdi ci . riporta dietro la tragedia. La Turchia è un Paese oggi condannato a orribili sofferenze, è sempre dilaniato, destinato a mille scontri e strazi in cui essa stessa si è avvolta forse anche perché lasciata troppo sola, e troppo facilmente condannata. Forse l'umana simpatia nata dopo il terremoto può compiere almeno il piccolo miracolo di renderci più sensibili a una storia tirata avanti con i denti stretti, a una scelta quasi impossibile non beneficiata nè dai miracoli del cielo, né tanto meno dall'aiuto dell'Occidente cui la Turchia si è sempre ispirata.
Persone citate: Bulent Ecevit, Ecevit, Fiamma Nirenstein, Gurel, Ocalan
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