Nel palaghiaccio diventato morgue

Nel palaghiaccio diventato morgue CENTINAIA DI CADAVERI DOVE DANZAVANO I PATTINATORI Nel palaghiaccio diventato morgue Era l'orgoglio di Izmit, ormai città fantasma reportage Brunella Gioverà inviato a IZMIT SU questo ghiaccio che si scioglie piano ci sono settantotto cadaveri allineati in fila come birilli. I piedi scivolano sull'acqua, la passatoia di plastica non serve a niente, chi entra nell'Olimpik Buz Pateni Salonu non può che rischiare di cadere e di finire sull'inutile ghiaccio che non ce la fa più a raffreddare i morti di Izmit. La Pista Olimpionica di pattinaggio del Grande Municipio di Izmit Kocaeli è diventata una Morgue da 3500 spettatori, sedioline gialle per i paganti e rosse per le autorità. Struttura di cemento armato e acciaio, vetri a prova di freddo. Costruita dalla ditta Yurt Insaat: due gonfaloni appesi così in alto che nessuno ha potuto ancora toglierli firmano questo palaghiaccio «orgoglio della Turchia. E' l'unico del Paese abilitato a gare internazionali», spiega giustamente fiero il tecnico Safak Mehmet Gursoy. Lunedì scorso Safak ha dato un'ultima occhiata ai generatori diesel che mantengono la pista refrigerata a - 6,5 gradi, ha salutato i colleghi e se ne è andato a casa. A mezzanotte il custode ha spento le luci e ha chiuso le porte dietro agli ultimi ragazzi del corso di pattinaggio artistico, e ai quattro istruttori russi che costruiscono i campioncini turchi. Tre ore più tardi alcuni di questi dodicenni erano sepolti sotto le loro case dopo la prima scossa, la più forte. In pieno caos il governatore di Izmit Memduh Oguz riceveva «una telefonata da Ankara», dal governo: «Avete una pista di ghiaccio e i generatori che funzionano. I cadaveri metteteli lì». Safak e i colleghi sono tornati al palazzetto bianco. «Danni non ce n'erano, a parte un vetro rotto. Le luci si sono riaccese subito. Poi è cominciato questo». Le ambulanze hanno scaricato morti, e morti, e morti. A decine, dai camion dell'esercito. Uno alla volta dalle macchi- ne dei sopravvissuti, che arrivavano sgommando sul piazzale e si fermavano lì con le mani sul volante: «ci hanno detto di portarli a voi». Safak è diventato becchino, e ha dato una mano a sistemare i cadaveri «almeno in fila». Poi si è pensato di mettergli un numero addosso, per facilitare i riconoscimenti, e di togliere le porte da hockey che portavano solo via spazio utile. Ma il via vai di gente viva e morta stava sciogliendo il ghiaccio della bella pista. Safak ha forzato i generatori, nel caldo torrido che spingeva attraverso le porte lasciate aperte. Una nuvola di condensa ha riempito il palazzetto: una nebbia fredda che non ha dato nessun sollievo a chi arrivava stravolto da fuori, dalle urla dei feriti intrappolati nelle case nella notte calda di 35 gradi. Poi i motori diesel si sono fermati, «erano surriscaldati a 240 gradi, nella sala macchine si crepava di calore. Ma noi abbiamo un sistema "automatik": a 240 si ferma tutto per sicurezza, e riparte da solo dopo 15 minuti». Così ha aspettato. Dopo 15 minuti i motori sono ripartiti, il freddo è tornato. Ma il ghiaccio ha iniziato a fiorire d'acqua. 1 due operai addetti alla lisciatura della pista si sono preoccupati, «non ce la farà a resistere». Dentro c'erano circa quattrocento morti. E alcuni parenti che si aggiravano nella nebbia a sollevare coperte, sacchi, teli di plastica per cercare i loro. «Il governo ha inandato un medico e due fotografi». Il medico si chiama Inci Sukes, ò una ragazza di 32 anni, medico dello Stato. Nor. ha specializzazione, ma non avrebbe mai pensato di finire a fare questo lavoro: «Mi hanno detto "vai al palaghiaccio di Izmit, registra i morti. Le autopsie non servono. Scrivi se sono maschio o femmina e l'età presunta"». Ne ha registrati oltre cinquecento. Ieri lo definiva «un lavoro da pazzi. Io li guardo e scrivo una cartella. Poi arriva il fotografo e scatta. Ma tanti sono sfigurati, nessuno li potrà riconoscere, oppure non hanno più nessuno che venga a cercarli». Mercoledì le è passato tra le mani il cadavere «del marito di una mia amica. E poi quello di un mio vecchio amico, anche lui medico dello Stato. Rainazaran Senei, si chiamava. Era un internista. L'ho riconosciuto io, poi l'ho mandato a lavare». Quando il morto ha un nome 10 portano sul retro del palazzetto. Qui c'è un pullman speciale, attrezzato per ricomporre i cadaveri prima di seppellirli. Il lavoro tocca all'imam di Izmit, che adesso è chiuso dentro con 11 corpo di un ragazzo. Lo lava, lo sistema in un lenzuolo chiuso, poi lo restituisco ai parenti. Se il corpo è femminile, ci pensa una pia donna di Izmit scelta dall'imam. Una donna che da mercoledì pulisce da sola decine di corpi: amiche, vicine di casa e sconosciute, così vuole la legge della pietà. Il «doktor» luci Sukes si risiede sotto l'ombrellone Algida piazzato all'ingresso della morgue. «Non ho niente da dire, sono solo stanca, e non ho più lacrime, mi erode?». Offro un bicchierino di tè caldo, e una mascherina di tela sterile. Dentro, sul ghiaccio semisciolto, settantotto fagotti di stracci. Un uomo li spruzza con una macchina da verderame piena di disinfettanti; Zefirolitim. L'odore è acre, gli occhi bruciano. Una donna si aggira da un fagotto all'altro, ne scopre alcuni, si ferma davanti ad una faccia, fa un segno ad un uomo che pattinando sull'acqua spinge fino a lei una barella. Caricano il corpo e lo portano fuori, al pullman. Fa fresco, non freddo. «Abbiamo chiesto al governo dei bidoni di formaldeide, speriamo che arrivino domani. Morti non ne prendiamo più, però», dice la dottoressa. Ìndica dei segni scuri sul ghiaccio. Lì c'erano altri cadaveri che hanno impregnato il ghiaccio di liquame. Li hanno portati via, hanno lasciato delle sindoni stampate in profondità: la testa, il tronco, le braccia e le gambe. La decomposizione non si ferma nemmeno qui dentro, i 5 gradi sotto zero che Safak cerca a tutti i costi di mantenere costanti domani scenderanno a -4, e poi a -3. Alle tre del pomeriggio nel piazzale arriva un camion che gira piano attorno alla statua di bronzo dei due pattinatori, allacciati in un paso doble acrobatico. Fretta non c'è: sul pianale scoperto ci sono due uomini stravolti dal calore e un morto. La dottoressa gli dice di andare al magazzino statale della frutta di Izmit: «Portatelo lì. E' tornata l'energia elettrica, i free! zer funzionano di nuovo, lo di morti non ne voglio più». L'ordine è arrivato da Ankara: i morti metteteli lì. Ma le porte si aprono in continuazione per l'arrivo di nuovi corpi e il ghiaccio si sta sciogliendo

Persone citate: Brunella Gioverà, Inci, Oguz, Safak, Safak Mehmet Gursoy

Luoghi citati: Ankara, Turchia