Tra i centomila dannati di Golcuk

Tra i centomila dannati di Golcuk UNA CITTA' A 130 CHILOMETRI DA ISTANBUL DIMENTICATA DALLO STATO Tra i centomila dannati di Golcuk Niente acqua né luce, e solo tre medici reportage Brunella Giovara inviati a GOLCUK UN uomo con la camicia stracciata aggredisce il medico in camice verde sporco di polvere. Lo prende per le spalle, gli urla che vuole anche lui la mascherina di garza da mettere sulla bocca. AJ medico quasi cascano gli occhiali, gli dice di calmarsi, ma l'altro ò folle, deve andare a scavare qualcuno nelle macerie, subito. «Io devo avere la mascherina». Erman Pektor, giovane cardiochirurgo di Izmir, alla fine gliene trova una usata e lo manda via da questa piazza di Golcuk, 130 chilometri da Instanbul, città di dannati abbandonati a se stessi dalla notte del terremoto, sotto un cielo oscurato dal fungo nero della raffineria di Tupras che brucia da tre giorni, e dalla polvere che si alza dalle macerie. Nella piazza è riinasta in piedi una caserma, e una statua di Ataturk, «padre dei turchi», in colbacco di astrakan, che rimira la disfatta del suo popolo: branchi di donne accovacciate per terra, due vecchi sdraiati su un cartone con la flebo infilata nel braccio. Un bambino solo. Un'anziana con l'abito nero rimboccato in vita che scopre i mutandoni bianchi e una gamba sporca di sangue. Un uomo con un braccio ingessato che trasuda pus. Si lamentano piano piano solo quando sentono le scosse che fanno cadere gli ultimi vetri delle case. Il cardiochirurgo Pektor, volontario arrivato da Izmir, mostra il suo personale tavolo operatorio, tavolo da cucina con sopra bottiglie di disinfettante e garze, una bottiglia di sciroppo, una decina di scatole di antibiotici, siringhe e supposte. Chiede morfina e vaccini antitetanici, probabilmente accetterebbe anche farmaci scaduti, in questo avanposto di primo soccorso organizzato da lui e da due suoi colleghi pediatri. In questa città di centomila abitami che ieri ha sentito 125 scosse in sole due ore, lo Stato non è ancora arrivato, alle tre del pomeriggio di giovedì 19 agosto, 50 ore dopo il grande terremoto. Mercoledì i morti ufficiali erano 133, ieri erano 3143, compresi quelli di Izmit. I tre medici che ricevono i feriti medicano i leggeri e caricano i più gravi sulle ambulanze che passano a sirene spiegate e li portano ai tre ospedali della città. Ma la città è bloccata dal traffico di chi scappa verso Instanbul e dalla colonna di mezzi che cercano di raggiungere Golcuk. Lo stradone principale è presidiato da centinaia di uomini armati di bastoni, decisi a sfondare il parabrezza di chi ostacola le ambulanze o è rimasto in panne a bordo di una vecchia macchina. E' un esercito di gente stracciata e ferita, che ha organizzato un servizio d'ordine contro gli stranieri che arrivano a mani vuote, contro il governo che non ha mandato niente, contro gli sciacalli che rubano la roba dei morti, ma che nulla può fare contro il tifo, il tetano, le infezioni di una città che non ha acqua, elettricità, e nemmeno più benzina per scappare da un'altra parte. Oggi, dicono ad Istanbul, comincerà un programma di vaccinazione degli abitanti di Golcuk. Li vaccineranno contro tutto, hanno paura di un'epidemia. Troppi cadaveri, troppe ferite marce. Chi farà queste vaccinazioni, nessuno lo sa dire. I tre medici della piazza non ci credono e continuano a steccare braccia e gambe e a dirottare i traumi toracici e le amputazioni negli ospedali. Ammettono che gli ospedali sono pieni, ma loro non sono neanche riusciti ad arrivarci per vedere come stanno le cose. Ma adesso vedono questo carro funebre con la mezzaluna d'argento dipinta ma senza finestrini che sgomma sui calcinacci per portare via due morti con i piedi scoperti. E il Tir frigorifero dei gelati marca Schoeller che non riesce a svoltare e blocca tutto, tra la gente che urla, un agente della polizia di Instanbul che fa il gesto di tirare fuori la pistola per convincere gli altri a spostarsi, trattori e Mercedes, vecchie Fiat e nuove Passat con l'aria condizionata. Quel Tir caricherà cadaveri, finché avrà benzina staranno freschi, quando finirà cominceranno a decom¬ porsi, altra soluzione non c'è. Lo stradone è costeggiato da palazzi crollati. Condomini afflosciati su se stessi, a strati come torte di nozze. Uno strato di cemento, uno di materassi, mobili, letti, cucine e morti schiacciati. Un altro di cemento, e su su fino all'ultimo piano. I sopravvissuti stanno seduti davanti alle loro ex case. Zeynep Kilic ha quarant'anni e sta, insieme alle vicine di casa che si sono salvate, su un tappeto di pezzi di coperte e lenzuola recuperate tra i mattoni. Le loro lenzuola, le loro coperte. Altro non hanno. Lei aspetta che qualcuno tiri fuori i suoi tre figli. Uno faceva il marinaio nella base militare, «se fosse rimasto in caserma l'avrebbero cercato, perché tutti i soccorsi li hanno mandati lì, alla base navale. Qui, niente». La zia Esme ha salvato un paio di sandali dorati e una forma da budino. Le altre donne i vestiti che indossavano quella notte, e il velo. Sono coperte di terra, la polvere sollevata dal traffico non le disturba, hanno una bottiglia di acqua ciascuna, e una forma di pane bianco che gruppi di volontari gettano dai camion agli sfollati. Cento metri più avanti ci sono due cadaveri avvolti in lenzuola coi pizzi, sotto un fico. I servizi igienici non esisto¬ no più. «Vada alla moschea, forse lì le "tuvalet" funzionano». La moschea è sbarrata. Al Murat Restaurant due donne bevono Coca Cola al tavolino, il padrone indica una fila di soldati che aspettano per la sua «tuvalet». Ma dietro la tenda c'è un solo gabinetto pieno fino all'orlo, il pavimento è coperto da dieci centimetri di escrementi. Domani lo farà murare come hanno fatto tutti gli altri sullo stradone, il distributore di benzina Turkpetrol, il negozio Korfez Elektrik. «Non c'è acqua, sorry». La strada finisce davanti alla base della Marina militare. Il piantone spiega che è vietato chiedere notizie. Davanti alle sbarre abbassate c'è una fila di gente che elemosina qualcosa. Dentro la guardiola, un soldato fuma seduto su un muretto caduto, il fucile appoggiato al muro. Un suo collega spiega che lì dentro sono morti otto ammiragli e ottanta ufficiali. I marinai morti sono «quattrocento, forse cinquecento. Li stanno ancora cercando con gli esperti e i cani arrivati da Israele». Nella casa di fronte hanno appena tirato fuori un morto. Lo hanno avvolto in un tappeto e caricato su una Opel rossa che è partita piano, come un vero carro funebre. Due drammatiche immagini di salvataggi a Golcuk. La cittadina è stata praticamente distrutta dal terremoto

Persone citate: Brunella Giovara, Elektrik, Erman, Esme, Murat, Schoeller, Zeynep Kilic

Luoghi citati: Israele, Istanbul