In Turchia la lunga notte dell'apocalisse

In Turchia la lunga notte dell'apocalisse I, MORTI, CAOS E TERRORE: UN PAESE IN GINOCCHIO In Turchia la lunga notte dell'apocalisse Si scava a mani nude tra le macerie dei palazzi crollati reportage ra inviata a ISTANBUL Edurato quarantacinque secondi. Un tempo infinito, raccontano i sopravvissuti che hanno sentito il pavimento sprofondare sotto i piedi, e si sono trovati in una nuvola di polvere, nel caos, nel buio totale in cui l'altra notte è sprofondata una metropoli come Instanbul, colpita da un terremoto che ha fatto oltre 2000 morti e migliaia di feriti in tutta la Turchia nordoccidentale. L'epicentro del sisma è stato registrato a un centinaio di chilometri dalla capitale, a Izmit, nella provincia di Kocaeli. Una zona industriale affacciata sul mar di Mannara dove la scossa - di magnitudo 7,8 della scala Richter - ha distrutto fabbriche, case, ponti, strade, centrali termoelettriche, una raffineria di petrolio che si è incendiata. E dove i soccorsi sono arrivati tardi, e inadeguati: in molte zone della città a scavare tra le macerie sono i sopravvissuti, perché nemmeno i mezzi dell'esercito sono ancora riusciti a raggiungerli, e la disperazione è al massimo. Dalle rovine di condomini alti dieci piani arrivano ancora i lamenti dei feriti, ma nessuno sa come spostare travi spezzate, pareti abbattute una sull'altra, e balconi, rottami di mobili, i resti delle abitazioni di migliaia di famiglie che alle tre di notte hanno provato sulla propria pelle la forza di un terremoto come questo. A Golcuk la principale base della marina turca è stata annientata dalla scossa: 248 militari sono sepolti sotto le macerie. Ieri sera si continuava a scavare alla luce delle fotoelettriche, ma a quasi venti ore dal terremoto, le speranze di trovarli vivi erano poche. Non ci sono vittime tra i turisti, nessun italiano è registrato tra i feriti: i turisti vivono nei grandi alberghi, che hanno tremato a lungo, la notte scorsa, ma hanno resistito bene alla violenza del sisma. Il governo turco ha proclamato lo stato di emergenza, il premier Bulent Ecevit in un messaggio alla nazione ha invocato «Allah, perché ci aiuti e ci preservi da nuovi disastri. Ieri mattina ha visitato alcune delle zone più pesantemente colpite, ha invitato la popolazione a essere solidale, ad aiutare chi ha perso tutto. «Stiamo mandando squadre specializzate nelle aree più colpite», ha detto il premier. Molti" Paesi, primi fra tutti la Grecia e la Germania, hanno già inviato aerei speciali carichi di medicinali e di staff medici addestrati ad intervenire in zone colpite da terremoti. Centinaia di equipaggi della '(Mezzaluna rossa» sono partiti subito per le zone disastrate. Ma il grosso dei soccorsi è tuttora affidato ai militari, che hanno acceso i generatori e cominciato a scavare con le pale e con le mani nude, e solo ore dopo la scossa hanno visto arrivare le prime macchine scavatici. Un disastro. Il terrore. Bill Richardson, il ministro americano dell'Energia, l'altra notte era ad Istanbul in visita ufficiale: «La terra ha tremato. Poi la città è piombata nel buio. Dalla finestra del mio albergo ho sentito le urla della gente che scappava in strada». Ieri pomeriggio il centro della città era vuoto. Ma le periferie, e soprattutto la zona del porto, erano piene di famiglie accampate alla meglio nei giardini pubblici e nelle aiuole spartitraffico della tangenziale che dall'areoporto Ataturk porta versò la zona storica. Donne disperate e sporche con sacchetti di plastica in mano, bambini sotto choc, uomini che cercavano di costruire ripari per la notte appoggiando lenzuola e coperte alle siepi di oleandri che fiancheggiano il lungomare. E i primi fuochi accesi per cucinare qualcosa, mentre mi¬ gliaia di auto sfrecciavano via, fuori dalla città, cariche di tutte le ricchezze che una macchina può contenere, in una fuga verso le zone più lontane dai quartieri colpiti. La paura di tutti è che il terremoto ritorni, e sorprenda di nuovo tutti in casa, mentre si dorme, come è successo la notte scorsa. Nessuno vuole restare a Baagcilar, a Bayrampasa, a Esenyurt, a Catalca, Kartal, Buyucekmece, quartieri di pa¬ lazzoni moderni che si sono afflosciati a decine, per un sisma che ha colpito capricciosamente, lasciando in piedi condomini interi e abbattendone altri vicini. Nel buio di questi quartieri quasi abbandonati a se stessi la gente piange e urla nomi di mariti, figli, neonati rimasti sepolti che nessuno riuscirà ad estrarre prima di altre ventiquattro ore. Sullo sfondo le moschee illuminate dal tramonto, i minareti della città dei turisti, che non osano uscire dagli alberghi e dalle finestre guardano le strade principali, riconoscibili dalla poca luce che le illumina, e intere zone completamente buie: le zone più povere, dove sono rimaste accese solo le insegne dei Burger King e quelle dei distributori di benzina. Loro hanno i generatori, possono continuare a lavorare. Nel quartiere di Avcilar, tagliato in due dalla superstrada É5, le fotoelettriche illuminano le rovine dei palazzi crollati. Sui bordi della strada soldati distrutti dalla fatica mangiano il rancio e aspettano di dare il cambio alla truppe impegnate nei soccorsi. I fari della auto e delle ambulanze svelano un cartello «Welcome in Avcilar», ma qui i ' benvenuti non sono più i turisti alla ricerca della vera Istanbul. Sono le organizzazioni di volontari, sono i giovani della «Turkish Search and Rescue Society», che sono accorsi a centinaia con le loro borse di pronto soccorso, le attrezzature da speleologo. Sono ragazzi che si calano nelle fessure tra le macerie con il casco e l'imbragatura, e corde che sperano possano servire a «portare su il figlio di quella donna sdraiata laggiù». Una donna di trent'onni, con l'abito lungo bianco sporco di terra, e un velo in testa macchiato di sangue. Urla un nome, o forse urla solo perché è disperata e nessuno sa quando tireranno fuori il suo bambino di tre anni. Un agente della «Polis» cerca di chiamare la centrale con il suo cellulare. Ma le linee sono quasi inesistenti. Molti ponti sono caduti, e i pochi rimasti sono intasati: migliaia di emigrati turchi cercano di chiamare i loro parenti dalla Germania, intasano le linee dei centralini internazionali che altro non possono rispondere se non che «ci sono dei problemi». Quanl e le vittime? L'agente è riuscito a trovare la linea, i colleghi gli dicono che «siamo arrivati a 113C, anzi 1137...». Le cifre si aggiornano di minuto in minuto, dai sobborghi di Istanbul e dalle altre zone colpite arrivano numeri di morti e dispersi. «Ritengo che la perdita di vite umane sarà pesante, ma se Allah lo vorrà non ci ritroveremo a far fronte a un quadro tremendo come invece s'era temuto». Se Allah lo vorrà. A Golkuk 250 marinai sono rimasti sepolti nella caserma A Izmit si è incendiata la grande raffineria di petrolio Il premier Ecevit: Allah aiutaci Gli effetti devastanti della prima scossa su un palazzo al centro di Istanbul. Nella foto più piccola, un gruppo di persone rimaste senza casa accampate davanti alla «Moschea blu»

Persone citate: Bill Richardson, Bulent Ecevit, Ecevit, Mezzaluna, Richter