Prigionieri, assediati, infelici
Prigionieri, assediati, infelici VIDEOCLUB Prigionieri, assediati, infelici AMMIRATO e premiato all'estero più che in Italia, «L'assedio» di Bernardo Bertolucci, inizialmente previsto per la televisione, è un film bello e anomalo nella storia del regista: tutto interiore e ambientato in un unico interno romano, con due personaggi e pochissime parole, ellittico, allusivo, leggero e insieme tragico, letterario per origini (è tratto da un racconto dell'inglese James Lascimi, pubblicato con altri racconti da Garzanti) ma musicale per struttura e scandito da musiche africane o di Mozart, Grieg, Beethoven. Bertolucci contempla facce e gesti di Thandie Newton e di David Thewlis con assoluta intensità; e trasforma la casa romana in cui i due si muovono vicinissimi e remoti, straordinario ' appartamento in verticale segmentato da una scala elicoidale e affacciato sulla scalinata di Trinità dei Monti, in un luogo chiuso come un carcere e aperto come un mondo. In alto, nella casa ricca colma d'oggetti d'arte, vive un musicista inglese strano, goffo e laconico, che suona, compone e dà lezioni ai bambini sul suo pianoforte Steinway. In basso vive una ragazza africana che gli fa da cameriera e intanto studia medicina. Lui la spia, la guarda, le lascia fiori e un anello, le confessa: «Io ti amo. Sono completamente innamorato di te. Sposami. Cosa devo fare per farmi amare? Farei qualunque cosa». Lei risponde, aspra: «Tiri fuori mio marito dalla prigione», perché s'è visto all'inizio del film come il marito, un maestro, sia stato arrestato da militari in Africa per motivi politici. Lui non replica, non promette. I due silenziosi prigionieri (uno di se stesso, l'altra delle circostanze) seguitano a vivere affiancati e lontani. Ma la casa, a poco a poco, cambia, si spoglia dei suoi arredi più preziosi, si svuota, s'impoverisce, si denuda finché il musicista dà un piccolo concerto per gli allievi bambini, prima che anche il pianoforte della sua vita venga portato via: e da suoi brevi incontri si capisce che i soldi ricavati dalle vendite sono spesi per la liberazione del marito di lei. Questi, liberato, annuncia il proprio arrivo a Roma. Nella notte precedente l'inglese e l'africana fanno l'amore. Lei scrive un biglietto, «Caro Mr. Kinsky, ti amo». Ma abbandona il letto quando il marito suona alla porta: l'indefinitezza del finale sembra soltanto apparente, rimane un test per gli spettatori. Alla storia d'infelicità dolorosa e impassibile si possono naturalmente attribuire tutte le interpretazioni che il film si guarda dal dare: i bianchi di buoni sentimenti rovinati dai neri di buoni diritti, il depauperamento dell'Occidente democratico e sfinito da parte delle vitali migrazioni africane o asiatiche, l'amore che con l'amore si piaga, eccetera. Ma «L'assedio», inquietante per i possibili significati e toccante per le visibili emozioni, è soprattutto un film girato con tale maestria, con tale perfezione che si potrebbe usarlo come un manuale; e si riconosce molto nitidamente l'apporto di Clare Peploe, la regista moglie del regista, che ha suggerito LI soggetto ed è cosceneggiatrice, produttore associato de «L'assedio». Il film di Bertolucci, bello e anomalo nella storia del regista, è girato con tale maestria che si potrebbe usarlo come un manuale Lietta Tornabuoni Bernardo Bertolucci L'ASSEDIO Italia, 1998. Medusa Home Video. A noleggio DRAMMATICO Nella foto grande un momento del film «L'assedio», con Thandie Newton e David Thewlis. A destra il regista Bernardo Bertolucci
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