«Così siamo scampati alla morsa dell'abisso»

«Così siamo scampati alla morsa dell'abisso» Gli speleologi raccontano il salvataggio «Così siamo scampati alla morsa dell'abisso» «Nella grotta c'erano soltanto due gradi ci siamo riscaldati con la luce dei caschi» Giulio Baluardi BRIGA ALTA Si sono abbracciati a lungo, padre e figlio, commossi, di fronte alla tenda rossa del campo base, a poche centinaia di metri dall'imboccatura della grotta maledetta che si sarebbe potuta trasformare in una tomba. Non è stato così: Riccardo Pozzo lo speleologo biellese di 29 anni, studente in storia, è uscito dall'abisso Cappa, nel massiccio del Marguareis, tra Imperia e Cuneo, invaso dall'acqua per un nubifragio: è stato salvato l'altra sera alle 22, dopo 12 ore d'angoscia e riierche disperate. Suo padre, Mario, lo ha lasciato riposare fino a ieri mattina, poi ha raggiunto le montagne a quota 2300, sfidando il vento gelido, e lo ha svegliato. Un abbraccio che è valso una vita. Il compagno di esplorazione di Pozzo, Daniele Grossato, 36 anni, torinese, dipendente della Telecom, è riuscito a rivedere la luce ieri mattina alle 11. E' uscito dalla stretta imboccatura dell'abisso in cui era rimato intrappolato a 650 metri di profondità, con le sue forze, il fiato che si condensava e il casco viola sulla testa con la luce all'acetilene ancora accesa. Un'espressione stanca, ma contenta. E' quello che tra i due ha rischiato di più: con la tuta bagnata ha cominciato ad avvertirei primi sintomi dell'ipotermia, il freddo che uccide. E' lui stesso a raccontarlo, ancora provato per quello che è accaduto, ma sostanzialmente sereno. «Quando l'acqua ha cominciato a salire, ci siamo riparati in una sala alta. Il rumore del torrente che si gonfiava era tremendo, assordante. Non avevamo l'orologio, ma siamo stati almeno 12 ore rifugiati sotto la tenda termica riscaldata con la fiamma dell'acetilene dei caschi. E' stato l'unico conforto che abbiamo avuto». Nel corso della notte tra giovedì e venerdì i due speleologi hanno controllato due volte il livello dell'acqua nel cunicolo che si era trasformato in una trappola: un sifone profondo, impossibile da superare, se non immergendosi in un liquido nero e gehdo. Ha continuato Grossato: «Pozzo, che indossava una muta da subacqueo, ha controllato ancora: il livello dell'acqua Marguareis, alcu«Esserein qucondsignificala m stava lentamente scendendo». Si sono riaccese le speranze di uscire da quel tunriel senza fondo, da quell'abisso nel cuore della montagna. Aggrappandosi alle pareti, con l'acqua che lambiva le gambe, i due speleologi sono riusciti a superare lo stretto spazio che separava la sala dove si erano rifugiati dal resto della grotta, verso l'uscita. «Per me questo passaggio è stato il più pericoloso - racconta Grossato -. Io indossavo una tuta normale. Bagnandosi, il freddo si è trasmesso al corpo e ha rischiato di bloccare ogni mio movimento». Ad aggravare la situazione il fatto che l'abisso Cappa è una della grotte più fredde dell'intero sistema del Marguareis. La temperatura media è di circa 2 gradi: alcune pareti sono interamente ricoperte da ghiaccio. «Essere bagnati in queste condizioni - dice Grossato - equivale a rischiare la morte. Quando abbiamo superato il sifone, abbiamo raggiunto una zona asciutta ma il freddo era tremendo». I due speleologi hanno così cominciato una lenta ed estenuante risalita verso l'uscita. Nella grotta era stato approntato da altre spedizioni di speleologi un campo d'emergenza «distante però - dice ancora Grossato quattro o cinque ore dal punto in cui ci trovavamo. Abbiamo disperatamente cercato di raggiungerlo». Nel frattempo, fuori dall'abisso, tre squadre di soccorritori si erano calate nella speranza di arrivare in tempo. Così come capita ogni volta che si mette in moto la macchina dei soccorsi per speleologi in difficolta, è stata approntata una linea telefonica di emergenza: è l'unico modo per comunicare in grotta, le radio non funzionano. Da lì è arri ovata la notizia dell'incontro a -500. «A un certo punto - racconta Grossato - abbiamo sentito delle voci. Erano le squadre di soccorso. Eravamo salvi. Confesso che in certi momenti ho davvero avuto paura di non farcela. Ma sono vivo e questa è la cosa più importante». Il medico Beppe Giovine, del Soccorso speleo, dopo aver visitato Pozzo e Grossato, ha preferito far rimanere quest'ultimo a riposare nella grotta fino a ieri mattina, quando è finalmente potuto uscire. ni dei soccorritori bagnati uelle izioni rischiare orte» «Essere bagnati in quelle condizioni significa rischiare la morte» Marguareis, alcuni dei soccorritori

Luoghi citati: Briga Alta, Cuneo, Imperia