«Nessun incubo malthusiano»

«Nessun incubo malthusiano» _. :.-JV. ' - - — LA NUOVA PAURA DEL TERZO MIUENNIO • . :— j —j^hXj., • ykì'ì i*- « t <;a.ito,■■ —w.--:.„>.:,>.■ ,ìy, nr'..■ ■ i■..■ —■—i —. u 1. ■ «Nessun incubo malthusiano» Economisti e intellettuali sono ottimisti analisi Claudio Marocca MA ce la farà l'India a sostenere il suo miliardo di persone? Un miliardo è un miliardo, una cifra che fa paura, un sesto dell'intera umanità, e questo Paese in cui ogni anno i nuovi nati sono circa il triplo dei morti, che è grande tre volte la vecchia Europa ed è colorato da un vivacissimo mosaico etnico e da una sterminata ricchezza di lingue e dialetti, resta inchiodato, nonostante i suoi exploit tecnologici e militari, a un'immagine di povertà radicale, a quella profonda «tenebra» evocata dallo scrittore Naipaul. «Non mi spavento affatto»: l'economista Antonio Martino, ex ministro degli Esteri nel governo Berlusconi, non smentisce la sua fiducia nei confronti dell'andamento naturale dei fenomeni. L'India potrebbe addirittura aumentare ancora la sua popolazione, senza per questo affondare di nuovo nella carestia. Argomenta così, Martino: ci sono Paesi sovrappopolati e ricchi, come la Svizzera e il Giappone, e ci sono Paesi sottopopolati e poveri, come l'Argentina e la Russia. La sua Sicilia, con cinque milioni di abitanti, è un caso esemplare, perché è molto più povera di Taiwan, che è di poco più grande e ha ben 21 milioni di abitanti. Non esiste dunque nessuna correlazione certa fra popolazione e sviluppo. «I Paesi non nascono ricchi, lo diventano - afferma Martino . li lo diventano non per le risorse naturali, ma per quelle umane». Ora l'India, con il potenziale culturale che ha, come testimoniano i medici, e gli informatici che sparge nel mondo, potrebbe benissimo decollare con successo. A una condizione, però: che le sue energie vengano finalmente liberate, fuori dagli attuali, residui vincoli statalistici. Per Martino infatti l'India ha sofferto, e in buona parte soffre ancora, di una malattia specia¬ le, indotta fin dagli anni Cinquanta da un economista allora famoso, Gunnar Myrdal, che nel suo atelier dottrinario elaborò per il governo un modello di sviluppo economico con forti dosi d'interventismo statale. «Un fallimento». Bando dunque a ogni pessimismo malthusiano: T'India non corre verso la catastrofe. E tuttavia, nel pensiero di sinistra, si nutrono forti preoccupazioni. Martino lo sa bene: «Il mio amico Michele Salvati, dei Ds, direbbe forse che occorre subito una politica di contenimento demografico. La sinistra ha infatti fatto proprie le tesi degli ambientalisti, è convinta che la troppo affollata umanità stia precipitando verso il disastro ecologico. Per i verdi, soltanto la natura è ordinata. Il disturbo è l'uomo. La verità è che, per molta sinistra, l'incubo ecologico è rimasto l'ultimo alibi per giustificare l'intervento pubblico». La discussione resta aperta. Certo è che un figlio celebre dell'India, un po' economista e un po' filosofo, Amartya Sen, si colloca in un'area mediana fra queste due posizioni. Sen insegna a Harvard, e di recente, in un incontro qui in Italia, ci parlò dei suoi sforzi per far convivere l'aiuto sociale con la salvaguardia del bilancio pubblico: «La chiave di questa conciliazione è una parola molto nota anche da voi, la partecipazione», disse Sen. Partecipazione come dialogo tanto conflittuale quanto liberatorio e creativo, come abbraccio comune delle responsabilità, rispetto delle differenze. Sen ha un'ossessione quasi religiosa delle differenze e delle libertà individuali. Per lui «lo sviluppo non è una questione di incremento dell'offerta di merci, ma di aumento delle capacità delle persone». Il che comporta, per l'India, un immane compito educativo, di istruzione e formazione. «Un compito essenzialmente morale», ama dire questo straordinario e untissimo studioso nato nel Bengala, che a tre anni imparò il sanscrito dalla voce dell'uomo che più ha contato per lui: «Mio nonno, amico di Tagore. Fu lui a insegnarmi l'amore per la morale». Sono parole e intenzioni che insospettiscono un innamorato viscerale dell'India, Elémire Zolla. Per Zolla l'India corre un solo pericolo: il contagio dell'Occidente. L'odierno miliardo di anime indiane è quasi una garanzia di salvezza, perché l'In- dia è immensa, è inafferrabile e plurima, radicatissima nelle sue mille e diverse tradizioni: «Nemmeno gli inglesi, con il viceré Macaulay nel primo Ottocento, riuscirono a sostituire il sanscrito con il latino. Ma certo, gli inglesi hanno raschiato via parecchio». Zolla patisce l'inarrestabile occidentalizzazione dell'India, e guai a parlargli di povertà da combattere: «Là essa non è umiliante e soffocante come da noi. Quale povertà? L'indiano non conosco i deliri del nostro io, accetta il destino e si sente consanguineo con tutto il vivente, non distinguendosi da una pietra». Un'affollata strada di New Delhi. Ogni giorno in India nascono 72 mila bambini