In Europa la svastica postmoderna

In Europa la svastica postmoderna In Europa la svastica postmoderna Gli studiosi: frange pericolose ma marginali analisi Claudio Altóroccs MA com'è possibile, dopo tanto esecrare e demonizzare, che un giovane caschi ancora nel nazismo e ne Imbracci emblemi e violenze? (Perché non fa il picchiatore ■semplice? Che cosa mai lo affascina? «Le nuove violenze all'insegna della croce uncinata cambiano significato a seconda dei luoghi», è la prima risposta di un filosofo particolare, Remo {Bodei, che proprio in questi giorni sta finendo un saggio per Feltrinelli sul nazismo storico e in genere sull'invasione completa della coscienza da parte della politica. Si deve prima parlare un poco degli Stati Uniti - dice Bodei - per capire meglio il neonazismo europeo e nostrano. Là il neonazismo è una cosa più complessa. Da una parte c'è il vecchio Ku-Klux-Klan del Sud o comunque la vecchia idea del suprematismo bianco, che però è risalita e s'è diffusa bel resto del Paese dopo il 1954, dopo cioè che le macchine per la raccolta del cotone hanno costretto a emigrare milioni di neri. Dall'altra parte c'è un sentire anticapitalistico: il denaro è male, corrompe, degenera nell'usura, come sosteneva Ezra Pound; meglio la terra, la comunità, il primitivismo autosufficiente con il suo pacato, sano scambio in natura. «Ho visto sfilare a Las Vegas centinaia e centinaia di neonazisti con bandiere hitleriane - racconta Bodei -. La polizia caricava. A Las Vegas, simbolo del capitalismo totale, persino ludico». Ed è ben presente, nel mix, anche l'avversione agli ebrei, come testimonia il caso del nazista Buford Furrow che l'altro giorno ha sparato sui bambini dell'asilo ebraico di Granada Hill: «Perché gli ebrei sono percepiti come simboli estremi della modernità, dell'individualismo, del denaro, dell'economia globale - sostiene il filosofo -. I neonazisti vagheggiano invece la comunità ristretta, la concretezza di un territorio». E in Europa? In Germania il neonazismo riapparirebbe fra i S'ovani sia per ragioni storiche n nonno, un padre, un parente è stato nazista), sia soprattutto per spaventare. Sì, «spaventare» dice Bodei: disegnare una svastica, scrivere «Sieg Heil!» (Viva la vittoria)), fa più paura che colorarsi i capelli di giallo o viola e indossare giubbotti bor- chiari neri. Più che altro una forma di intimidazione, per i naziskin. Quanto all'Italia, il neonazismo sembra circoscritto davvero a pochi episodi minori, tipo violenza da stadio. E cosi il neonazismo in Europa è un fenomeno «da non appiattire sul nazismo storico», ma sarebbe, per così dire, «postino- derno», depotenziato cioè da ideologie pesanti e devastatrici, più uno slogan valido per la coesione di un branco giovanile che un programma spietato. Sampre pericoloso, pero: «E in effetti sono preoccupato - ammette Bodei -. Tutto dipende dalla tenuta del quadro politico. Per il momento non dram¬ matizzo». C'è ora uno scrittore, Ugo Riccarelli («Un uomo che forse si chiamava Schulz», ed. Piemme, storia del grande narratore ebreo-polacco Bruno Schulz massacrato in un Lager per una stupida ripicca fra ufficiali tedeschi), che invece è impaurito da queste violenze neonaziste: «Il mio romanzo è sul passato, ma sapevo che la stona non finiva lì, che è una forma mentale che tende a tornare, una ricerca d'identità a scapito del più debole nel mondo dell'omologazione universale: perché il nazismo è orribilmente facile, adatto a chi non capisce o non accetta la realtà così complicata del nostro tempo». Altre voci. A Londra, Gitta Sereny, che ha scritto il bellissimo «In lotta con la verità» (Rizzoli) su Albert Speer, amico e architetto di Hitler, non è impensierita più di tanto dalle violenze neonaziste in Europa: «Sono delle nette minoranze assicura -. Persino folcloristiche. Soltanto in Austria c'è una destra abbastanza forte, ma per un certo malessere sociale, senza ideologia». A Berlino tinche lo storico Joachim Fest, un campione di liberalismo, autore di una fortunata biografìa del Fuehrer, trova che in Germania i neonazisti sono per ora «gruppi o gruppuscoli senza ideologia, scontenti del mondo, uniti da un misto di insoddisfazione e violenza e dalla tendenza a fare spettacolo, a suscitare interesse». Il nazismo come scenografia, come show. Ma anche questo può rappresentare un pericolo: «Non sono convinto infatti che le nuove generazioni assicurino la democrazia. Ho scritto i miei saggi proprio per dare una mano a impedire che il nazismo si ripeta». Fest va oltre, approfondisce: «I tedeschi non hanno dimenticato, hanno fatto molto per penetrare il nazismo, e se non lo fanno loro lo fa il mondo. Ovunque il tedesco è ricordato come l'uomo cattivo, ovunque continua a essere il capro espiatorio, e continuerà così. Non ci vedo niente di male. Ma i miei figli dicono: "Adesso basta". Parlano di responsabilità, non di colpa, che dev'essere individuale, non sociale, nazionale. E' una cosa amara. Il mondo ha bisogno del male esorcizzato e le SS sono lì, sono il diavolo. Il tedesco è ancora un sostituto del diavolo, una controfigura. E' un destino non facile, essere tedesco di questi tempi. E la mia non è autocommiserazione. Non ho pietà di me stesso». Il filosofo Bodei: al posto dell'ideologia slogan per tenere insieme il branco Lo scrittore Ugo Riccarelli: è un credo focile, che offre una scorciatoia a chi non capisce il nostro tempo Lo storico Fest: i gruppi tedeschi sono accomunati solo dalla violenza e dalla voglia di fare spettacolo Sopra, il giornalista e storico Joachim Fest Qui accanto, la scrittrice Gìtta Sereny