Da Hollywood un rivale per Gore di Maurizio Molinari

Da Hollywood un rivale per Gore Dice l'attore: «Non è affatto un segreto che sono un democratico liberal e temo per le sorti del mio Paese» Da Hollywood un rivale per Gore Warren Beatty si prepara per la Casa Bianca Maurizio Molinari inviato a WASHINGTON «Non e un segreto che sono un democratico liberal e che temo per le sorti del mio paese». Con queste parole pronunciate dalla sua casa di Los Angeles, l'attore e regista Warren Beatty ha rivelato l'intenzione di candidarsi alla Casa Bianca ■lite presidenziali dol novembre 2000. I suoi strotti collaboratori erano al corrente del progetto già da qualche settimana. «Warren ci sta pensando molto seriamente ed ha elaborato diverso idee negli ultimi tempi» conferma Ellcn Miller, presidente della «Public «Senza mofinanzrischiamo di diven«Il partittropptornare aiForse la Campaign» di Washington, una società nota per il suo impegno a favore della riforma del sistema di finanziamento delle campagne elettorali. Potrebbe essere questo uno dei temi forti del candidato-Beatty se e quando annuncerà formalmente il grande passo. «Ho numerose, forti sensazioni, ma quella più intensa - ha ammesso il 62enne attore di Richmond, Virginia - mi dice ohe senza moficare il sistema complessivo di finanziamento dei candidati, i cui tentacoli arrivano ovunque nella nostra società, rischiamo di ritrovarci più vicini alla plutocrazia di quanto pensiamo. E credo che siano molto pochi i cittadini americani a volere tutto ciò». Si tratta di una sfida che mira al cuore del sistema politico. Il pubblico americano leggo oggi le parole di Beatty come una cntica dura al più accreditato candidato repubblicano alla Casa Bianca, George Bush jr, che vanta linoni il record di donazioni elettorali o si accingo a stravincere gli StawpolIs (una simbolica mini-convention repubblicana) di sabato nell'Iowa pagando 25 dollari per ogni suo supportar accreditato. Ma 1 obiettivo vero di Beatty è assai più ambizioso: rivedere drasticamente il sistema deelle donazioni significa puntare a rompere il legamo fra i candidati e i gruppi di interesse (lo lobbies) che prima li sostengono a colpi du milioni di dollari e poi chiedono il rispetto degli impegni presi a colpi di leggi. Non a caso Warren Beatty pensa di candidami corno «liberal alternativo» ovvero fuori dal sistema bipolare tradizionale. Fuori quindi anche dal partito democratico per il quale ha servito fedelmente in più occasioni negli ultimi trent'anni: prima a fianco di Robert Kennedy nel 1968, poi schierandosi con George McGovern nel 1972 e quin¬ di come stretto consigliere di Gary Hart negli anni Ottanta. Ma ora Beatty guarda oltre e non fa mistero di essere insoddisfatto dei candidati democratici alla successione di Bill Clinton: Al Gore e Bill Bradloy. «I democratici stanno andando troppo al centro, lontano dai liberal» osserva, puntalizzando però che «non ha nulla contro Clinton», al quale si è limitato a rimproverare negli arroventati giorni del Sexgate solo «mancanza di leadership». Che l'attore e regista di «Bonnie and Clyde» (1967), «Il Paradiso può attendere» (1978) e «Reda» (1981) avesse nel mirino i «Nuovi democratici» lo aveva proannunciato il suo ultimo film «Bulvvòrth» (Il Senatore): la storia di un senatore democratico corrotto e allontanatosi a tal punto dai suoi valori politici da voler espiare le proprie colpe e assoldare un killer per farsi assassinare alla vigilia della rielezione. Alla fine però il protagonista si riscatta da se stes¬ so, cambia volto, lascia i panni del politico vip di Beverly Hills trasformandosi in un danzatore di rap nei querticri popolari di Los Angeles. Ed è proprio questa la svolta che Beatty, da immarcescibile libe¬ ral, vuole imprimere" «Non vogho tornare al New Deal ma bisogna cambiare» dice. Politica e cinema si sono spesso incrociati nella sua vita: «Shampoo» del 1975 venne letto dai critici dell'epoca come una impietosa satira su sesso e politica riferita alla campagna elettorale del tandem repubblicano Nixon-Agnew del 1968 e il protagonista del kolossal «Reds» faceva proprie le emozioni «di sinistra» del giornalista americano John Booti nei giorni della rivoluzione bolscevica del 1917. E' l'attenzione per i valori (le «questioni sociali» nella terminologia politica americana) che spinge Warren Beatty verso la scommessa sulla Casa Bianca perché non vuole più schierarsi seguendo gli schemi della politica di Washington. «Democratici o repubblicani oggi che differenza fa?» si chiede polemicamente, definendosi «nè un socialista nè un comunista ma una persona semplice che si rende conto che stiamo andando nella direzione sbagliata». «Io non ho nulla contro il mondo degli affari ed il libero mercato - aggiunge - ma l'America va di male in peggio, dall'Amministrazione di Ronald Reagan in poi ostentare ricchezza è diventato qualcosa di cui non ci si vergogna più mentre i poveri ed i bisognosi sono stati progressivamente dimenticati, abbandonati dalla politica». «Il punto è che il partito democratico oggi - conclude polemicamente - è diventato troppo moderato mentre il modello rimangono i valori che furono del liberalismo del New Deal, di presidenti e leader come Roosevelt, Truman, i Kennedy, di Johnson e Humphrey». Del progetto di una candidatura indipendente, basata sui valori liberal ma alla ricerca dell'elettorato scontento dal sistema politico nel suo complesso, Beatty ne ha parlato con uno dei più stretti collaboratori del reverendo Jesse Jackson, a cominciare da quel Steve Cobble che gli organizzò la campagna elettorale inventando la «Coalizione arcobaleno». Fra le ipotesi sul tavolo c'è anche quella, a sorpresa, di tentare di ottenere la nomination per. la Casa Bianca da parte del Reform Party di Ross Perot alla ricerca di un leader dopo il rifiuto ricevuto da Jesse Ventura. «Senza modificare il sistema del finanziamento dei candidati rischiamo più di quanto si creda di diventare una plutocrazia» «Il partito di Roosevelt è oggi troppo moderato, bisogna tornare ai valori del New Deal» Forse la star correrà per Perot Nella foto grande Warren Beatty autore di film spesso impegnati. Qui accanto, il vicepresidente Al Gore

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