Ferie blindate per i giudici di Andreotti di Giovanni Bianconi

Ferie blindate per i giudici di Andreotti Ferie blindate per i giudici di Andreotti «Questo è un processo che non si può fermare» reportage Giovanni Bianconi PERUGIA ■ L giudice Giancarlo Orzella è lun tranquillo signore che a ■ novembre compirà 65 anni. Viene da Arsoli, un paese al confine tra Lazio e Abruzzo, fa il magistrato dal 1963 ed è presidente della Corte d'assise di Perugia. Le vacanze, da sempre, le passa in montagna. Tranne quest'anno. Nell'estate dell'eclisse di sole e delle polemiche sulla «par condicio» lui, il suo collega Nicola Rotunno e altri sei giudici popolari - quattro uomini e due donne - hanno rinunciato alle ferie e trascorrono il mese d'agosto nel carcere di Capanne, un mostro di cemento armato ancora in costruzione, piazzato nel bel mezzo della campagna umbra, tra i campi di grano e una centrale elettrica in disuso. Obiettivo: stabilire il più presto possibile se il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti e gli altri cinque imputati dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli meritano l'ergastolo - come sostengono i pubblici ministeri - oppure no. Bisogna fare in fretta, perché dal 16 settembre due degli accusati, i boss mafiosi Pippo Calò e Michelangelo La Barbera, saranno impegnati in altri processi, e non potranno venire a Perugia. Così, per arrivare al verdétto entro quella data, la Corte d'assise ha deciso di procedere a tappe forzate, udienze tutti i giorni, mattina e pomeriggio, unica interruzione dal 14 ali 6 agosto. Il presidente Orzella non ne fa un dramma: «O facciamo così oppure questo processo rischiamo di non finirlo più, quindi... Ai magistrati capita spesso di dover rinunciare alle vacanze per motivi di lavoro, stavolta ò toccato a noi». E le ferie? «Vedremo». Il bunker di Capanne, come tutte le carceri, è un frigorifero d'inverno e un forno d'estate. Nella palestra riadattata ad aula di giustizia l'orologio segna le 16,10 anche se sono le 9 del mattino, e tre ventilatori tentano di rendere il clima un po' più sopportabile, Accanto a Orzella, avvolta nella fascia tricolore, c'è una signora che ha spedito al mare marito e bambini; è laureata in legge, e tra i giudici popolari è quello che mastica meglio il diritto. Di tanto in tanto prende qualche appunto mentre parla il difensore di Pippo Calò. L'avvocato grida e batte i pugni sul tavolo, s'indigna perché - dice «questo è un processo politico fondato sul nulla». Attacca i pentiti e spesso ride delle accuse che hanno lanciato contro il suo assistito, cercando di trascinare la corte dietro le sue ironie. Ma i giudici rimangono seri e immobi- Oggi va un po' meglio degli altri giorni, il termometro segna «solo» 34 gradi. Fino a ieri i gradi erano 38 già nelle prime ore del giorno, quando il pulmino della polizia scaricava i giudici popolari prelevati nelle rispettive case. Anche loro - persone qualunque e mestieri qualunque - hanno spedito le famiglie nei luoghi di villeggiatura e sono rimasti qui per ascoltare le arringhe delle parti civili e dei difensori, nelle quali s'intrecciano i misteri d'Italia che fanno da sfondo all'omicidio di quel giornalista ammazzato in una strada di Roma vent'anni fa, nel marzo del 1979: dal caso Moro allo scandalo Italcasse, dalla vicenda Sindona ai delitti firmati dalla famigerata «banda della Magliana». Il processo Pecorelli è approdato qui perché tra gli imputati c'è pure Claudio Vitalone, ex senatore andreottiano che nel '79 faceva il magistrato nella capitale, e il codice vuole che i giudici romani vengano processati a Perugia. La scorsa settimana la Corte dei «forzati di ferragosto» ha dovuto dirimere anche una delicata questione giuridica: un altro imputato, il boss Gaetano Badalamenti detenuto negli Stati Uniti, ha fatto sapere che voleva venire ad assistere alle udienze, ma pare che le autorità americane non glielo vogliano permettere. I suoi difensori hanno chiesto lo «stralcio» della sua pozisione, il che avreb- be significato sfilare Badalamenti dal processo e giudicarlo chissà quando. La Corte, invece, ha deciso che Badalamenti rimane un imputato «contumace», come avevano chiesto i pubblici ministeri. Dagli atti della Corte e dall'ordinanza della scorsa settimana risulta che da tre anni e mezzo cioè dalla prima udienza - Badalamenti non ha mai fatto l'unica cosa che secondo i giudici doveva fare per venire in Italia: presentare formale richiesta per partecipare al processo. Archiviata questa scaramuccia legale, il processo va avanti con la pattuglia degli imputati al completo. Nell'aula bollente sono presenti solo Calò e La Barbera, camicia bianca a maniche corte il primo, maglietta a righe verticali il secondo, sorvegliati da un manipolo di agenti penitenziari. Non c'è Andreotti e non c'è Vitalone, che ha seguito il dibattimento come nessun altro. Manca pure Massimo Carminati, l'ex terrorista nero accusato di essere uno dei due killer di Pecorelli. Ai giudici togati e popolari che si sforzano di mantenere viva l'attenzione sfidando l'afa, la stanchezza e la difficoltà a districarsi tra le decine di nomi e delitti che affollano le migliaia di pagine di atti processuali, gli avvocati che assistono la fami glia Pecorelli hanno chiesto di condannare tutti gli imputati Dietro l'omicido del giornalista secondo loro, ci sono i segreti del caso Moro, che nel 1979 faceva no ancora paura, e un patto di morte tra Andreotti, Vitalone e la mafia. «Per quei segreti venne ro uccisi prima Pecorelli e poi Carlo Alberto dalla Chiesa», ha tuonato l'avvocato Alfredo Ga lasso, protagonista di tanti prò cessi contro Cosa Nostra. Abban donati sugli schienali delle poi trone, i volti visibilmente prova ti, i giudici ascoltano. In attesa della sospirata camera di consi glio che li porterà prima all'«ar dua sentenza» e poi, finalmente, in vacanza. «0 andiamo avanti a tappe forzate o rischiamo di non finire mai più questo dibattimento» Gli imputati liberi sono in ferie Nel bunker restano difensori e magistrati Accanto: Mino Pecorelli, in basso il senatore a vita Giulio Andreotti. In aito: la corte al completo