L'economia, paradosso di tutte le Russie di Aldo Rizzo

L'economia, paradosso di tutte le Russie ANALISI L'economia, paradosso di tutte le Russie Aldo Rizzo L5 OCCIDENTE ha fatto buon viso a cattivo gioco, non si è mostrato sorpreso più che tanto dall'incredibile stranezza di un quinto capo del governo russo in un anno e mezzo. E il nuovo arrivato, Vladimir Putin, ha confermato le attese di continuità degli Stati Uniti, dell'Unione europea, del Fondo monetario internazionale. La Russia proseguirà sulla sua strada. Già, ma quale strada? Quella delle faide interne di potere? E alla lunga, o anche solo nel medio periodo, saranno queste compatibili con la stabilizzazione dell'economia e con una prospettiva di ricambio democratico e pacifico della leadership? In realtà, l'Occidente è pieno di timori, pensando alle cruciali scadenze di dicembre (elezioni parlamentari) e del giugno del 2000 (elezioni presidenziali), e anche ai sussulti etnico.-politici .di \ una Federazione precaria, di nuovo minacciata dai ribelli islamici dei Caucaso. Ma, a torto o a ragione, non vede all'orizzonte alternative incoraggianti al lungo e logoro potere di Eltsin, di cui segue le mosse con una sorta di disperata fiducia. Paradossalmente, fra tanti e comtinui colpi di scena, l'economia russa è in ripresa. La produzione industriale è in aumento (a luglio ha registrato un 11 per cento in più, rispetto allo stesso mese nel 1998), il commercio estero è in attivo, aiutato dalla crescita del prezzo del petrolio, il rublo si barcamena dopo la gravissima crisi di un anno fa, l'ammontare degli stipendi arretrati si è quasi dimezzato in un anno, l'inflazione è in una certa misura sotto controllo, e così via. Ma, se si scatena una definitiva rissa politica, questi vantaggi (resi possibili dagli aiuti internazionali, ma anche da una tal quale vitalità interna) sono destinati a perdersi. E, a parte l'economia, se così si può (si potesse) dire, che ne sarebbe alla fine della democrazia? Ovviamente, una crisi acuta del potere centrale avrebbe anche l'effetto di rafforzare le spinte centrifughe della Federazione (il nucleo panrus- so sopravvissuto alla dissoluzione dell'impero). E ciò provocherebbe per reazione soprassalti autoritari a Mosca. Con immaginabili conseguenze sulla politica estera, verso l'Occidente. Nessuno può dimenticare che, con tutti i suoi guai, la Russia resta la seconda potenza nucleare, che delicatissimi accordi di disarmo sono tuttora in bilico, che il rapporto con la Nato nella crisi del Kosovo è stato estremamente dialettico, anche se alla fine positivo (ma con frizioni ancora in atto, quando non è neppure cominciata la vera fase di ricostruzione, in tutti i sensi, dei Balcani). A favore di Eltsin, nonostante tutto, giocano vari fattori, nel giudizio dell'Occidente. E' lui che ha reso possibile quell'embrione di democrazia (suscettibile di crisi, ma anche di sviluppo) che si è visto negli ultimi otto anni in Russia. E' lui il primo capo russo eletto, per due volte, direttamente dal popolo. Ha usato spesso un linguaggio duro, ma non ha mai fatto mancare, al momento decisivo, la collaborazione di Mosca. Ciò non toglie che egii ora affronti la sua prova più difficile, che è anche una prova inedita per la storia della Russia: quella di un leader investito del potere democraticamente che, altrettanto democraticamente, acconsente a una successione sancita dagli elettori. Anche se non fosse la successione a lui più gradita. All'Occidente (all'America, ma anche all'Europa) non mancano i volti, le voci e i mezzi per premere in questo senso. Naturalmente premendo non solo su Eltsin, ma anche sui suoi concorrenti e rivali, perché le regole del gioco valgono per tutti, così come vale, o dovrebbe valere, per tutti salvare la Russia e, con essa, la stabilità internazionale.

Persone citate: Eltsin, Vladimir Putin