Torna l'antica paura del cielo nero di Silvia Ronchey

Torna l'antica paura del cielo nero Molti astrologi associano le profezie di San Giovanni alle prossime congiunzioni planetarie Torna l'antica paura del cielo nero «Un 'eclisse scatenò i cavalieri dell'Apocalisse» Silvia Ronchey PATMOS Ho ricevuto pochi giorni fa un inquietante biglietto: «Patmos, 2 agosto 1666. Gentile Signora, La invitiamo vivamente, in occasione del Suo prossimo soggiorno nell'amabile Isola di Patmos, a visitare nei giorni dell'Eclisse - sia a titolo personale che per il Suo importante giornale - le nostre famose eppure trascuratissime SCUDERIE, dove fervono i preparativi per una (siamo in attesa di conferma al riguardo) imminente cavalcata dei nostri colorati Destrieri. I QUATTRO CAVALIERI». Il testo era sigillato in nero. A un invito così perentorio chi non darebbe subito ascolto? Anche perché il riferimento all'Eclissi è più che pertinente. Nel brano dell'Apocalissi di Giovanni in cui compaiono i Quattro Cavalieri è anche scritto: «Il sole diventò scuro come Panno da Lutto». La raffigurazione dei Quattro Cavalieri è stata interpretata e ampliata lungo i secoli. Nelle incisioni apocalittiche di Durer la magrezza irreale dei cavalli si contrappone alla loro foga implacabile. Negli affreschi, cimiteriali berlinesi di Cornelius il Primo Cavaliere, bianco, la Peste, ha in viso tratti etìopi; il secondo/nero, la Carestia, è vecchio, calvo, scheletrico; il terzo, rosso, la Guerra, è giovane, atletico e ha i capelli irti; il quarto, giallo, la Morte, ha un sorriso sardonico e rotule puntute che spronano più di qualsiasi sperone. Recita una canzone popolare patmiota sui Quattro Cavalieri, echeggiata da alcuni celebri versi Tu Ceronetti: «Alla rottura del sigillo Quattro / vidi la Morte su un cavallo giallo 7-con-^Inferno a lei stretto sulla gèbppa / semina piaghe e forche* altri coltelli». Molte leggende sono ancora tramandate dai vecchi di Chora, il villaggio su cui il millenario monastero di Giovanni Teològos stende i suoi neri bastioni come un'enorme aquila dalle ali spiegate. Nei racconti locali il Primo Cavaliere è Marmaroménos, pietrificato. Abita nelle viscere del monte più alto dell'isola, dove sorge l'eremo del Profeta Elia, in asse con la Via Lattea, la Galaxìa che attraversa il cielo stellato. Addormentato col suo destriero bianco come il marmo, il cavaliere è pronto a svegliarsi per il Giorno della Battaglia Finale, come è scritto, al termine dell'Apocalissi: «Poi nel cielo aperto vidi un cavallo bianco... I suoi occhi brillano come il fuoco...». Il nesso tra Cavalieri dell'Apocalissi e predizione astrale e tuttora più che mai vivo. Nelle ultime settimane astrologi insigni hanno associato le quattro figure descritte da Giovanni alle quattro minacciose congiunzioni planetarie previ* . ste nel cielo dei primi mesi del Duemila. Secondo una tradizione inaugurata dal protomartire Giustino e irrisa da Voltaire, si ritiene che Giovanni abbia ricevuto la Rivelazione fra le rocce in cui le miniature più antiche lo raffigurano accovacciato con la penna hi mano: forse quelle stesse che si protendono nella baia di Grìkou, crivellate di grotte e cunicoli scavati dai primi eremiti bizantini e dove gli abitanti del luogo mostrano l'impronta di un enorme zoccolo dall'alone sulfureo, perfettamente conservata, come fosse stata impressa nella lava fresca. Ma quando? Non ci sono mai stati cavalli sull'isola. Asini e muli solamente, ridono i contadini, che ancora li aggiogano alla macina del grano nelle fattorie dell'entroterra. Mai, mai cavalli, a memoria d'uomo, e qui la memoria è lunga, perpetuata dalle cronache.. Come quella del 1659, in cui si legge che ili 19 14] Muovete I fogli in lineo con II sofino o quando novedrete l'immagdel sole sull'altrfoglio. giugno, un sabato, la flotta veneziana arrivò tutta intera, «navi grandi e piccole, i galeoni erano ottanta, senza contare le fregate, sbarcarono, il nome del generale che ci ha saccheggiati era Gardelli, del casato dei Morosini, che Dio lo perdoni». La pirateria cristiana dei veneziani e dei Cavalieri di San Giovanni rovinò e terrorizzò l'isola ben più dei turchi. Una memoria visiva dell'attacco rimane nel graffito che si conserva in un altro luogo segreto di Patmos, una minuscola cappella inerpicata nella parte più alta e interna del monastero, normalmente inaccessibile, malgrado l'interesse di quelle immagini per i non pochi studiosi della marineria veneziana. «Era il rifugio più sicuro da quei predoni», spiega il. monaco che ci guida fin lì attraverso un bianco labirinto di celle e scale, corridoi e terrazze. L'antico confratello seicentesco deve avere visto dall'alto avvicinarsi quell'enorme flotta in uno stato di puro terrore. Il disegno delle navi è tracciato da mano incerta, forse inesperta. Ma a fare tremare chi guarda, più che la raffigurazione delle navi, è l'altra che affiora sbiadita accanto, non menzionata da nessuna guida: quella di un cavaliere su un cavallo nero, che sormonta lo schieramento come se volasse, con in mano una bilancia. Fuori del monastero, giù per il dedalo di pietre e calce, disseminato di cupole e croci, nel sole a picco una vecchia sta spargendo incenso su un'antica soglia di pietra. Accanto a lei, un uomo molto anziano è seduto sul gradino con in mano un buzuki, il tradizionale strumento a corda. La porta semiaperta dà su una cappella buia. Alla domanda sui Cavalieri dell'Apocalissi, entra decisa nella chiesa e indica', fiammeggiante alla luce dei ceri, il destriero impennato della grande icona di San Giorgio appesa all'iconostasi di legno intagliato. La spada è sguainata, i capelli irti, il mantello rosso teso dal vento. Il vecchio intona piano il ritornello di una ballata famosa a Patmos sulla Rivelazione di Giovanni: «Bello era il giorno e chiara la mattina. / La terra sarà tutta una rovina». Forse i Cavalieri sono le Furie della Grecia Antica. Si sono trasformate, ma il loro lavoro è lo stesso ed esistono solo nella mente di ciascuno di noi. Dunque anche l'Apocalissi vista da Giovanni sarebbe solo in ognuno di noi? Vengono in mente le ultime teorie degli storici delle religioni, secondo cui la «fine del mondo» della letteratura apocalittica ah drebbe letta come fine dell'individuo, rottura mistica delle barriere dell'io, e addirittura la descrizione della Città Celeste, con le sue mura concentri che e i suoi colori di pietre preziose, sarebbe una struttura di meditazione individuale assimilabile al mandala buddi sta. Se è così, allora forse anche l'Eclissi ci incute timore perché simboleggia qualcosa che può avvenire da un momento all'altro non solo fuori ma dentro di noi: la possibilità che tutto il nostro mondo, la realtà che vediamo in chiara luce, siano a un tratto oscurati da un Panno da Lutto, la buia ombra del nostro io. Infinite leggende si nutrono dell'attesa del «quartetto» di Peste, Carestia, Guerra e Morte Ma secondo alcuni interpreti la «fine del mondo» sarebbe la trasformazione dell'io Asole che si oscura ci intimorisce perché rappresenta la trasformazione . i ? o Alcuni appassionati della British Astronomica! Society preparano i telescopi schermati con speciali filtri e OSSERVAZIONE SICURA 1 ■ 1 di» fogli di corta. 2j Fate un piccolo buco In uno dei fogli. Un foto grande teme l'unghia del pollice 31 Tenete il foglio 4] Muovete I fogli in lineo con II sole fino o quando non vedrete l'immagine del sole sull'altro foglio.

Luoghi citati: Grecia, Lutto