Ma per il mercato globale Maastricht è già superata di Alfredo Recanatesi
Ma per il mercato globale Maastricht è già superata OLTRE LA LIRA Ma per il mercato globale Maastricht è già superata Alfredo Recanatesi GRANDE è stata la soddisfazione per i dati di finanza pubblica resi noti la settimana scorsa. Il disavanzo dei primi sette mesi dell'anno è sceso a 31.900 miliardi di lire, ben 13.000 in meno rispetto allo stesso periodo del 1998. E' tutt'altro che infondata la prospettiva che l'anno possa chiudersi con un rapporto tra disavanzo e Pil al 2,2%, molto meglio di altri e più blasonati partner dell'unione monetaria europea, e che il quadro previsionale sul quale è stato costruito il Dpef risulti nella realtà migliore del previsto, offrendo margini di elasticità che consentono di impostare in una chiave molto più serena il confronto sullo stato sociale in calendario dopo l'estate. E' stato rilevato che questi pur soddisfacenti risultati sono stati ottenuti più per il tambureggiante gettito delle entrate che per interventi sulla spesa. Questo è vero solo in prima approssimazione perché, se il totale della spesa è rimasto in linea con le previsioni, al suo intemo si va verificando una riqualificazione tutt'altro che irrilevante dal momento che toma a crescere, ed ha un buon ritmo, la spesa per investimenti, ossia la componente che, per difendere quanto più possibile la spesa corrente, negli anni della convergenza sui parametri di Maastricht, era stata particolarmente sacrificata. Nel complesso, si può sostenere che il risanamento della finanza pubblica stia dando prova di capacità di autosostentamento tanto più significative in quanto si verificano in tempi di congiuntura ancora fiacca. In ogni caso, smentiscono le valutazioni di alcatorietà e di precarietà che gli economisti del centro-destra vanno formulando da anni sugli equilibri della finanza pubblica; ciò che sarebbe il caso di tenere a mente un po' più spesso nel calibrare il credito da riservare loro ogni volta che si esprimono in materia. La soddisfazione per la solidità dei conti pubblici ha tuttavia un'ombra. C'è poco da essere soddisfatti di un disavanzo tanto ridotto quando è sempre più evidente che proprio la sua esiguità è tra le cause di un tanto fiacco andamento dell'economia. E' opportuno tenere sempre presente che il disavanzo è il risultato di una spesa per interessi sul debito, che rimane assai elevata anche dopo l'abbattimento dei tassi di interesse, e di un saldo conseguentemente attivo di tutu: le altre voci di bilancio, quelle che esprimono il prelievo di risorse da un lato e, dall'altro, le spese di funzionamento, erogazioni e trasferimenti, le prestazioni sociali. Spesa per interessi a parte, dunque, il bilancio dello Stato continua a svol- Esull'economia un effetto ittivo che si giustifica as- sai meno ora con la finanza pubblica prossima ad uno stabile equilibrio. La situazione corrente dei conti pubblici è simile a quella che appena qualche anno fa potevamo definire «tedesca» per dire, appunto, di un sostanziale equilibrio che consentiva bassi tassi di interesse e facili finanziamenti dell'economia produttiva. Ma, ora che c'è, come in un supplizio di Tantalo ci si accorge che non basta più: a copertura del suo disavanzo lo Stato assorbe una quantità di mezzi finanziari molto minore di prima, ma il resto di quelle risorse, anziché trovare impiego nella crescita dell'economia, espatria a beneficio di altri sistemi economici come dimostra il fatto che il risparmio italiano impiegato in titoli esteri è molto più consistente di quello che l'estero impiega in Italia. E così la ripresa sembra sempre sul punto di arrivare, ma continua a farsi attendere. La via per uscire da questa impasse è, secondo molti, quella americana: meno stato sociale per consentire meno tasse e flessibilità nell'utilizzo del fattore lavoro. In questo modo i capitali non uscirebbero dall'Italia, anzi ne verrebbero da fuori e là ripresa potrebbe finalmente decollare. Ma la via americana dimostra anche che in questo modo il decollo va a beneficio di pochi, che accresce anziché ridurrete sperequazioni distributive, che genera ansie e stress diffusi; dimostra insomma che aumenta il Pil, ma peggiora la qualità della vita. Se dunque in Italia e in Europa vi sono resistenze ad intraprendere questa strada qualche ragione c'è. E allora, se i conti pubblici, in Europa e in Italia, sono a posto ed affidabili; se ogni rischio di inflazione è tenuto ben a bada dalla concorrenza «globale», se la «via americana» incontra resistenze che solo chi non conosca la storia e la cultura europea può denigrare o deridere, quel che manca è proprio il recupero di un molo pubblico nell'innescare un ciclo di sviluppo più deciso. Una simile tesi è in palese contraddizione con la cultura di questi anni, ma la cultura di questi anni è in palese contraddizione con quella che è maturata in Europa nel corso dei secoli. E forse un giorno si comprenderà che, globalizzazione o no, non è una brillante trovata pensare che l'Europa - con i suoi assetti e la sua organizzazione civile possa diventare tanto simile all'America. mùej
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