FOOTBALL CLUB

FOOTBALL CLUB Lo scrittore spiega agli americani la bellezza di un gioco che loro non sembrano comprendere: anche lui, cresciuto a Bombay, ignorava il pallone, finché anni non arrivò a Londra e vide la sua prima partita, Arsenal - Real Madrid FOOTBALL CLUB ARRIVAI a Londra nel gennaio del 1961, accompagnato da mio padre. Avevo tredici anni fliuSlWftrò 0"T P**1" i in notfe calava^una^eDDm^hVida. Dopo che ci fummo sistemati in un albergo che somigliava a una caserma, il Cumberland a Marble Arch, mio padre mi chiese se volessi assistere ad una partita di calcio tra professionisti. (A Bombay, dove sono cresciuto, gli sport in voga erano il cricket e l'hockey su prato, del calcio non se ne parlava neanche). La prima partita cui mio padre mi portò fu quella che più tardi avrei imparato a chiamare un' «amichevole», che venne disputata tra una squadra del Nord di Londra chiamata Arsenal e i campioni di Spagna, il Real Madrid. Io non sapevo che la squadra in trasferta fosse considerata probabilmente la miglior squadra mai esistita, che avesse appena vinto la Qoppa dei Campioni per il quinto anno consecutivo o che due suoi giocatori, entrambi stranieri, l'ungherese Fé rene Puskas, chiamato «il piccolo generale» e un argentino, Alfredo Di Stefano, fossero due tra i più celebri calciatori di tutti i tempi. Di quella partita ricordo che nel corso del primo tempo il Real Madrid schiacciò l'Arsenal: quest'ultimo era peraltro ben noto per la solidità della difesa (per anni è stato chiamato «il noioso Arsenal»), che però era stata violata dagli spagnoli quasi a piacimento. Al qua rant acinquesimo, il Real conduceva per 3 a 0, ma dato che in fondo si trattava di un'amichevole, decise di rimpiazzare i suoi campioni con un gruppo di giovani riserve. L'Arsenal invece, continuando testardamente a lasciare in campo i titolari, fini col pareggiare 3 a 3, ma nemmeno i tifosi più intransigenti dell'Arsenal poterono mai rivendicare il fatto che il risultato non riflettesse in qualche modo il livello qualitativo delle due squadre. Mentre tornavamo in albergo, mio padre volle conoscere la mia opinione. ««Beh,»» gli dissi ««quella squadra non mi sembra granché; ma mi son piaciuti gli spagnoli. Non c'è una squadra inglese che giòchi bene come il Real Madrid?». Senza che lo sapessi, avevo chiesto quasi l'impossibile; come se, quando Michael Jordan volava alto al culmine della sua carriera, avessi domandato: ««C'è una squadra che gioca come i Chicago Bulla?». Mio padre, la cui innocenza in questo campo era quasi pari alla mia, disse: ««Vado a chiedere al concierge». La risposta che ottenne da quel portiere ignorato da tutti cambio la mia vita : pochi giorni dopo andammo alla partita di un'altra squadra londinese, ilTottenham HotSpur, e me ne innamorai perdutamente. C'erano ancora molte cose che non sapevo. Ad esempio che tra il Tottenham e l'Arsenal, gli Spurs e i Gunners, ci fosse una antica rivalità ed un odio profondo e reciproco. (Il nome degli Spurs ha origine dalla storia inglese ed è tratto da Henry Percy, noto anche come HotSpur, - D temerario -, appassionato ribelle del quattordicesimo secolo che appare sia nel «Riccardo H» che nell'«Enrico IV» di William Shakespeare. Il nome dell'Arsenal invece ha origini più prosaiche: la sede della squadra originariamente era nella zona Sud di Londra, vicino all'arsenale Woolwich. Quando si spostò a Nord, ad Highbury, perse il nome Woolwich e rimase semplicemente Arsenal; il soprannome Gunners - artiglieri - invece, rimase). Ignoravo inoltre che tradizionalmente gli Spurs si distinguevano per una brillante capacità di attaccare e per una difesa a tratti inaffidabile e che, se l'Arsenal veniva schernito per la sua scarsa prolificità dell'attacco (si diceva che i suoi tifosi cantassero perfino per celebrare un pareggio senza goal) nondimeno la labile difesa degli Spurs era regolarmente motivo di scherno. Non sapevo neanche cantare la versione degli Spurs del «The Baule Hymn of The Republic» («Distrutto, sparito, L'Arsenal è finito!!! Correte, ballate, gli Spurs son tornati!!»), ma soprattutto non sapevo che sotto la direzione dell'allenatore scozzese Bill Nicholson (Billy Nick) e del loquace capitano irlandese Danny Blanchflower, il Tottenham si era distinto come la miglior squadra inglese fin dai tempi dei Busby Babes. I Busby Babes erano una ventina di eccezionali teen-agers che formavano la leggendaria squadra del Manchester United, il cui aereo si schiantò a Monaco nel 1958 in una notte tempestosa: in q uell'incident e morirono Otto giocatori, il manager, l'allenatore e alcuni giornalisti. Il portiere del nostro albergo aveva ragione. Il Tottenham avrebbe davvero potuto spaventare il Real Madrid. I super Spurs stavano vivendo il loro anno migliore, durante il quale stavano per accaparrarsi il Santo Graal del calcio inglese, l'Accoppiata, vale a dire la vittoria, in una singola stagione, sia del Campionato che della principale gara ad eliminatorie del Paese, la Coppa FA. Non ricordo il nome della squadra sbaragliata quel giorno dagli Spurs, ma so che quella visita ad un tetro quartiere settentrionale, di una città in cui ero ancora uno straniero, mi aveva in qualche modo profondamente cambiato. Quel ragazzo che camminava in White Hart Lane lasciandosi alle spalle lo stadio degli Spurs dopo il fischio di fine partita non era più solo un semplice spettatore. Era diventato un tifoso. Ancora oggi posso elencare i nomi di quella formazione: Bill Brown, Peter Baker, Ron Henry, Danny Blanchflower, Maurice Norman, Dave Mackay, Cliff Jones, John White, Bobby Smith, Les Alien, Terry Dyson. So anche quasi tutti i nomi delle riserve: Johnny Hollowbread, Mei Hopkins, Tony Marchi, Terry Medwin, Edelie Clayton, Frank Saul... scusate, scusate. Mi fermo qui. Naturalmente sono perfettamente in grado di ricordare l'orrore con cui accolsi tutta una serie di disgrazie che contribuirono a fiaccare la squadra: ho vissuto come tragedie personali l'infortunio di Blanchflower al ginocchio, la gamba rotta di Norman e la duplice frattura della stessa gamba di Mackay, anche se la morte di John White, ucciso su un campo da golf da un fulmine che colpì l'albero sotto il quale si riparava, è di gran lunga superiore a tutte. Curiosamente, il soprannome Spur di White era «fantasma». L'anno seguente la duplice vittoria della stagione 1960-1961. gli Spurs non riuscirono a ripetere l'impresa per un soffio e, per tutti i trentasette anni successivi, spesso hanno potuto disporre, come si dice in Inghilterra, ««di una buona squadra da Coppa»», con la quale hanno vinto gare a eliminazione inglesi ed europee senza però mai riuscire a vincere il Campionato. Ecco cosa significa essere tifosi: aspettare, patendo decenni di disillusioni, senza avere alcuna valida alternativa su cui riversare la propria dedizione. Ogni fine settimana vado a cercare automaticamente sulle pagine sportive i risultati degli Spurs: se hanno vinto, il weekend è decisamente più piacevole, se hanno perso, sulla mia testa si insedia una nuvola nera. E' patetico. E' una droga. E' un'amore monogamo stile finché-morte-nonci-separi. (1 continua. Traduzione: Chiara Simonetti) La passione nacque con il Tottenham: «Non ricordo il nome della squadra sbaragliata dagli Spurs, ma so che da quel giorno, in una città in cui ero ancora straniero, non ero più solo uno spettatore, ero diventato un tifoso Lo scrittore spiega agli americani la bellezza di un gioco che loro non sembrano comprendere: anche lui, cresciuto a Bombay, ignorava il pallone, finché anni non arrivò a Londra e vide la sua prima partita, Arsenal - Real Madrid o i " . n ,