«Il regime di Belgrado sta per cadere»

«Il regime di Belgrado sta per cadere» LE STRATEGIE DIPLOMATICHE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI «Il regime di Belgrado sta per cadere» Dini: ore decisive, dopo Slobo un governo di tecnici intervista Maurilio Molinari LAMBERTO Dini, ministro degli Esteri, come è andatala seconda visita a Trìpoli in poco più di quattro mesi? «Molto bene. Stiamo facendo numerosi e sostanziosi passi vanti nello sviluppo delle relazioni bilaterali». Non le sembra con i suoi viaggi di esporre troppo l'Italia nei rapporti con Libia di Gheddafi visto che le sanzioni delle Nazioni Unite sono per il momento solo sospese? «Le sanzioni sono, appunto, sospese e sono delle Nazioni Unite mentre i nostri rapporti con la Libia sono strettamente bilaterali e nascono dall'impegno per favorire un'area di stabilità nella regione del Mediterraneo del Sud. Con questo obiettivo politico ci siamo impegnati a rilanciare il dialogo euromediterraneo andando lo scorso anno in Algeria e Marocco, recentemente in Tunisia e continuando a lavorare per un più stretto legame con la Libia. Il compito dell'Italia nel Mediterraneo à di promuovere la stabilità: nell'Unione Europea, nei Balcani, in Medio Oriente ed anche del Nord Africa, area nella quale abbiamo interessi strategici. Su questa linea siamo in piena sintonia con Londra, Parigi e Bonn pur rimanendo fermamente contrari a qualsÉwfetìjJlO grXSSM di direttorio. Non dimentichiamoci infine che vi è un'attenzione da parte degli americani per la Libia, a conferma che la reintegrazione di Tripoli nella comunità internazionale è nell'interesse di tutti». Gli esuli italiani dalla Libia però protestano, si sentono dimenticati ed affermano che questa riconciliazione con il colonnello Gheddafi sta avvenendo a scapito dei loro diritti... «Le assicuro che comprendiamo bene le loro ragioni e lavoreremo per farle rispettare. Ne ho parlato con il ministro degli Esteri al Mountasser perché dobbiamo tradurre in pratica gli impegni politici presi». Tripoli invece ci accusa di aver ripetutamente promesso di sminare i campi risalenti alla Seconda Guerra Mondiale ma di non averlo mai fatto. E' vero? «E' un problema grave ed urgente. Soprattutto nella regione di Tobruk. Molti civili continuano a soffrirne. Potrebbe essere necessario l'invio di nostri militari per sminare i campi». L'annunciata visita di Giovanni Paolo II in Iraq durante il Giubileo solleva molti dubbi a Washington per l'inevitabile stretta di mano fra il Papa e Saddam a dispetto delle sanzioni dell'Orni. Lei come la pensa? «Come dicono i cristiani ed i cattolici le vie della Provvidenza sono infinite. In questo caso le ragioni del Santo Padre sono umanitarie e di pace. Le sue parole vogliono portare conforto, speranza e pace superando differenze e confini. Non vedo ragione di opporsi a tutto questo». Il leader serbo di opposizione Vuk Draskovic ha chiesto aiuto all'Italia per allontanare il presidente Slobodan Milosevic da Belgrado. Cosa stiamo facendo? «L'Italia è impegnata per favorire una svolta democratica a Belgrado. Stiamo incoraggiando le forze democratiche serbe all'opposizione. Perseguiamo il dialogo con i serbi isolando il regime di Milosevic». Milosevic secondo lei può cadere o resisterà tino all'inverno? «Qualsiasi cambiamento deve venire dall'interno della Serbia, non da fuori. Siamo a mio avviso alla vigilia di un momento importante, forse decisivo. Il 19 agosto si svolgerà infatti alle porte di Belgrado una grande manifestazione delle forze democratiche di opposizione in favore della sostituzione di Slobodan Milosevic con un governo di tecnici, senza politici, per traghettare il Paese verso le nuove elezioni democratiche». L'economista Dragos Avramovic potrebbe guidare questo governo di tecnici? «Avramovic è un grande personaggio, con esperienza e spessore, a cui spero che gli esponenti dell'opposizione guardino con interesse. Mi ha esposto il suo programma che, come quelli di altri gruppi, contiene elementi di valore per la Serbia in termini di riforme economiche e rispetto dei diritti umani». E' possibile la convocazione di un vertice dell'opposizione serba in Italia? «Esponenti politici dell'opposizione serba sono venuti e continueranno a venire nei prossimi tempi. Avremo incontri e organizzeremo tavole rotonde con loro perché siamo interessati ad ascoltarli e ad aiutarli. La riunione fra loro in Italia non ha però ancora una data precisa». I serbi continuano a fuggire da Pristina da quando sono arrivate le forze della Nato. Crede ancora che si possa evitare l'indipendenza del Kosovo? «La K-Force si è dimostrata non sufficiente ad impedire violenze ed atti di rappresaglia che purtroppo continuano a ripetersi. Per questo sarà dispiegata una forza di polizia internazionale alla quale i Carabinieri daranno un contributo importante. Dei trecentomila serbi che vivevano in Kosovo ne sono rimasti oggi circa cinquantamila. Il loro esodo è un fenomeno indesiderato che contrasta con il testo della risoluzione delle Nazioni Unite 1244 (sul ritiro di esercito jugoslavo e milizie serbe, ndr). L'allontanamento dei serbi non è comunque una ragione valida per pensare all'indipendenza del Kosovo. Gli accordi raggiunti al termine dell'intervento della Nato in Kosovo sono inequivocabili: i confini della Federazione Jugoslava devono rimanere dove sono, non devono mutare. Lo stesso presidente Clinton, nel suo intervento al vertice di Sarajevo ha detto "non siamo qui per modificare i confini dei Balcani"». Ma la decisione della repubblica del Montenegro di inviare un ultimatum a Belgrado non rischia di mandare in pezzi ciò che resta della Federazione? «La mossa del Montenegro rientra in sostanza nelle pressioni che vengono esercitate su Belgrado in questo momento affinché il Paese si avvii verso una svolta democratica in tempi molto stretti». Dopo il vertice di Sarajevo sta per iniziare la grande partita economica sulla ricostruzione del Kosovo. Riusciremo questa volta a non recitare la parte del fanalino di coda in Europa? «La partita della ricostruzione deve ancora iniziare. Al momento siamo solo alle promesse di aiuti, di fondi. Ma concretamente tutto resta ancora da definire. Dopo la riunione dei donatori nei giorni scorsi a Bruxelles la conferenza sulla ricostruzione di Bari in autunno sarà un passaggio decisivo». Il governo presentò la ricostruzione del Kosovo come grande occasione per le aziende italiane. Manterrete la promessa? «Il governo offrirà alle nostre aziende un piano per il Kosovo. Dovrà inoltre essere definito il progetto allo studio dell'Unione Europea su interventi in più settori dalle infrastrutture ai trasporti, all'istruzione. Anche questo sarà a disposizione delle imprese italiane. I tempi nel complesso non saranno lunghi ma quelli tecnici di preparazione non possono essere evitati». Di certo se la ricostruzione tarderà rischiamo di ricevere nuove ondate di profughi sulle coste dell'Adriatico... «Gli aiuti essenziali, umanitari ed alimentari, vengono già garantiti ai profughi albanesi che sono tornati in Kosovo. Il nostro impegno è comunque per accellerare il più possibile i tempi della ricostruzione». Le nomine di Javier Solane a uMr Pese» e di George Robertson a segretario generale della Nato aprono la strada alla realizzazione della difesa comune europea. Che cosa comporterà per l'Italia? «L'Italia è impegnata da tempo in favore dell'identità europea di sicurezza e difesa che però deve essere ancora concretamente istituita, miche se abbiamo le indicazioni del vertice del Colonia su cui lavorare. La prospettiva della difesa comune obbligherà il nostro Paese, come tutti gli altri partner dell'Unione Europea, a porsi il problema dell'aumento delle risorse economiche destinate alla sicurezza». Secondo lei bisognerà aumentare la spesa militare sin dalla prossima legge finanziaria? «No, non da questa finanziaria, probabilmente da quella dell'anno venturo perché l'Italia dovrà prima attendere le decisioni dell'Unione Europea sulla politica di difesa. Quando verranno prese il nostro Paese, come gli altri partner, trarrà le conseguenze. Sarà un appuntamento che non potremo mancare perché la costruzione della difesa europea è la nuova frontiera dell'integrazione, la sfida a cui l'Europa è chiamata per assumere in modo crescente su di se l'onere della propria sicurezza e la gestione dei conflitti che la riguardano direttamente». «Le nostre relazioni con la Libia servono per rilanciare la stabilità nel Mediterraneo Siamo in sintonia con gli alleati» ssa ma «Il viaggio del Papa in Iraq è dettato da ragioni umanitarie e di pace, vuole portare conforto e speranza. Non c'è ragione per opporsi» «Le nostre relazioni con la Libia servono per rilanciare la stabilità nel Mediterraneo Siamo in sintonia con gli alleati» r ,HL^\i 1 15 A sinistra un gruppo di profughi serbi in fuga dalle vendette dell'Uck In Kosovo In alto. Giovanni Paolo II che durante il Giubileo sarà in visita in Iraq Da sinistra il presidente della Federazione Jugoslava Slobodan Milosevic e il leader della Jamahiriya libica Muammar Gheddafi Il ministro Lamberto Dini ha compiuto due visite a Tripoli dopo la sospensione delle sanzioni dell'Onu in poco più di quattro mesi Nella foto in basso truppe italiane in Kosovo