Una lady di ferro al tribunale dell'Onu

Una lady di ferro al tribunale dell'Onu Dopo le inchieste su mafia, denaro sporco, traffico d'armi e i nuovi «padrini» russi dovrà occuparsi della messa in stato di accusa dei criminali di guerra nella ex Jugoslavia Una lady di ferro al tribunale dell'Onu Annan designa Carla Del Ponte per la Corte dell'Aia Francesco La Licata ROMA Da sentinella d'Europa contro le infiltrazioni del denaro sporco, quello della droga, della mafia, del traffico d'armi, dei nuovi «padrini» russi, ad accusatrice dei criminali di guerra. Sarà Carla Del Ponte - se, come sembra, avrà seguito la «raccomandazione» di Kofi Annan - a ricoprire il ruolo di procuratore capo del Tribunale Internazionale dell'Onu, all'Aia. La «lady di ferro», dunque, spauracchio di mafiosi e trafficanti ma anche giudice non sempre in sintonia con le aspirazioni dei vertici finanziari del suo Paese (por anni contrari alla sua posizione sul segreto bancario), abbandonerebbe le curiosità sui conti correnti «sospptti» per dedicarsi alle drammatiche inchieste sui crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. E non le mancherà il lavoro. Ma non sarà certamente questo a spaventare Carla Del Ponto, una donna abituata al rischio ed alle difficoltà di una professane certamente non agevole. Nella sua lunga lotta al crimine, è stata anche sfiorata dalla morte. Accadde a Palermo, quando Cosa Nostra mise in otto il primo tentativo di far fuori Giovanni Falcone. Settanta candelotti di «gelatina» adagiati, dentro una borsa da «sub», ai piedi della villa dell'Addaura - a Mondello - dove il magistrato trascorreva il periodo estivo. Era la fine di giugno e Carla Del Ponte, insieme con un collega dol Canton Ticino, era venuta a Palermo su invito di Falcone. Il giudice seguiva il filo dei soldi dell'eroina che Cosa Nostra reinvestiva e cercava di riciclare nelle banche svizzere o del Lussemburgo. Erano in pochi a sapere che quel giorno Falcone avrebbe pranzato coi colleghi per poi fare un giro in barca. Eppure stranamente fu scelto quel giorno per portare a fondo il primo vero attacco al giudice. L'attentato fallì perchè la scorta, andando in perlustrazione sugli scogli, notò la borsa abbandonata. La verità su quell'attentato non è mai venuta fuori «tutta». Oggi la responsabilità viene attribuita a Cosa Nostra, ma restano da chiarire più lati oscuri della vicenda: se fu determinante, per la mafia, la presenza dei magistrati svizzeri che con le loro notizie potevano offrire a Falcone una chiave di lettura molto più ampia. E di preoccupazione ne doveva girare tanta, se le indagini vennero «uccise» in partenza facendo brillare l'ordigno che era l'unica vera traccia rimasta nelle mani degli investigatori. Carla Del Ponte, in quella occasione, potò verificare di persona quali fossero i metodi adottati dai «signori con la coppola», eppure non si fece intimidire. Continuò a collaborare con Falcone, dandogli tutte le notizie di cui disponeva. Il feeling tra i due era notevole. Piaceva al palermitano, quella collega che amava definire così: «La tenacia è la sua prima qualità. E' caparbia, capace e determinata Preparatissima tecnicamente, è soprattutto una donna decisa ad andare fino in fondo alle sue inchieste. E non guarda in faccia nessuno». E' stato notevole l'aiuto fornito da Carla Del Ponte a tanti magistrati italiani. Prima Falcone, poi Di Pietro e Colombo e tutto il pool di «Mani Pulite». Con l'aiuto della «signora giudice», specialmente nel¬ l'ambito delle rogatorie internazionali, è stato possibile più d'una volta aggirare il ferreo segreto bancario degli istituti di credito svizzeri. Non sarebbe esagerato affermare che Carla Del Ponte - per la mole di documenti che ha letto - conosce meglio di qualche magistrato italiano le inchieste che hanno coinvolto personaggi del potere. Non ultime le indagini sulla corruzione nel palazzo di giustizia di Roma. Per questo non è sempre amata da tutti, Carla Del Ponte. Anche nel suo Paese è andata incontro a critiche, specialmente per le sue idee sul segreto bancario. «Eppure - ha sempre detto - io non sono contraria. Ma c'è il problema fin dove e fin quando esso vada difeso. E' assoluto finché non c'è un procedimento penale. Ma noi chiediamo alle banche di collaborare con noi per le situazioni sospette». E se oggi la collaborazione delle banche svizzere, in presenza di indagini penali, è a livelli più che accettabili, si deve anche a quanto è avvenuto in passato coi sistemi «artigianali» di Carla Del Ponte Certo, dai primi passi degli Anni Ottanta si è giunti alle grandi inchieste di fine Millen nio. Sono transitate dal suo ufficio del Canton Ticino, pri ma, e poi da quello di Procurato re Generale, a Berna, megain chieste come quella sui soldi sporchi del «cartello» colombiano, scaturita dall'arresto di Severino Junior Escobar. La Del Ponte andò in elicottero a caccia di trafficanti e quelli non esitarono a sparare per cercare di tirarla giù. Neppure allora si intimidì. L'ultima inchiesta che le è passata per le mani riguarda i parenti del presidente russo Boris Eltsin. Un giro vorticoso di miliardi di dollari (probabilmente generato dalla privatizzazione dell'Aeroflot) che coinvolge il genero del presidente, Valerj Okoulov, e che è confluito in Svizzera. Per queste vicende la Russia ha conosciuto forse la sua più grave crisi istituzionale, con la richiesta di impeachment dello stesso Eltsin. Avranno di che temere i criminali di guerra dell'ex Jugoslavia, forse tireranno un sospiro di sollievo i signori della finanza. Carla del Ponte con il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan Cosa Nostra tentò di ucciderla insieme a Falcone quando seguiva la pista del riciclaggio dei guadagni dell'eroina nelle banche svizzere Ha collaborato strettamente con il pool di Mani pulite per aggirare il vincolo del ferreo segreto bancario